Road to Oscars 2021: Mank, la lettera d’amore al cinema di David Fincher

Sono tanti i registi che con le loro pellicole hanno voluto creare una lettera d’amore per la Settima arte e per quell’essenza pura che in essa è intrinseca. Pensiamo ad esempio all’ultimo film di Quentin Tarantino che con il suo sognante “C’era una volta a…Hollywood” (2019) ci catapulta sul finire degli anni Sessanta e nella fabbrica dei sogni non ancora macchiata dai brutali omicidi di Charles Manson che fratturarono per sempre una Hollywood che non sarebbe mai più stata la stessa. Una dichiarazione d’amore nei confronti del cinema che Tarantino ci ha trasmesso alla perfezione.               

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E che dire di “La La Land”? Anche Damien Chazelle nel 2016 con il suo non convenzionale musical ci ha reso partecipi, oltre che della favolistica storia tra i protagonisti Mia e Sebastian, del suo amore incondizionato per il cinema e per tutto quello che ne fa parte, compresi i limiti e le frustrazioni di un un ambiente che, purtroppo, sta lasciando sempre meno spazio alla purezza.

David Fincher non è stato da meno e con il suo “Mank” che vedremo concorrere agli Oscar 2021 nella notte tra il 25 e il 26 aprile con ben 10 candidature, tra cui Miglior film, Miglior attore protagonista (Gary Oldman) e Miglior attrice non protagonista (Amanda Seyfried). Il film narra le vicende di un uomo ancora puro, innamorato del cinema e legato ancora a degli ideali che vede mano a mano scomparire davanti ai suoi occhi, sullo sfondo di una Hollywood tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta che si sta trasformando.

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Il film narra le vicende di Herman J. Mankiewicz, co-sceneggiatore di uno dei film più di importanti e di impatto di tutti i tempi, “Quarto potere” (1941). Siamo nel 1940 e Mankiewicz detto Mank, costretto a letto a causa di un incidente e schiavo dell’alcol, si isola nel bel mezzo del deserto della California con due assistenti per stendere la sceneggiatura di “Quarto potere”, commissionata dal talentuoso e ambizioso Orson Welles a cui è stata data completamente carta bianca.

Il film si snoda tra il presente degli anni Quaranta e numerosi flashback durante gli anni Trenta, in cui vediamo estratti di esperienze vissute da Mank . Ci troviamo dunque in un momento in cui il cinema di Hollywood corre verso l’età dell’oro e un velo di nostalgia percorre l’intera pellicola. Le cose cambiano e il cambiamento è decisamente doloroso. Persino a livello politico è una pellicola che non si risparmia, sullo sfondo difatti ci viene mostrata l’eterna lotta e gli scontri politici, in questo caso tra repubblicani e democratici, ambiziosi e scorretti che sembrano giocare una partita a carte.                   

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Insomma, le cose non sono poi così cambiate e per questo Mank, nonostante la fantastica fotografia in bianco nero di Erik Messerschmidt (meritatamente candidata all’Oscar) rispecchia tutte le caratteristiche del cinema degli anni Trenta e Quaranta. E’ una pellicola estremamente attuale. Mank è forse l’ultimo romantico di quegli anni, con un’aurea ancora pura e non abbastanza contaminata dalla Fabbrica dei sogni che corre verso una nuova era.

Possiamo avvertire la nostalgia del protagonista sotto la pelle e il suo tentare di resistere al cambiamento e al combattere contro i mulini a vento, come Don Chisciotte. Mank è davvero una perla di altri tempi, intrisa di nostalgia e di ricordo e con questa pellicola anche Fincher, dopo tanti altri film degni di nota, ha firmato la sua personale lettera d’amore per la settima arte e per quella strana magia che è il cinema, come afferma Mankiewicz stringendo tra le mani il suo meritatissimo premio.

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Ok, amo il cinema. Fin da quando, da bambina, restavo a bocca aperta davanti al Gladiatore o al Frankenstein di Mary Shelley mentre gli altri si entusiasmavano per i cartoni animati. Dopo una laurea in Scienze dell’educazione e anni di lavoro nel settore, ho lasciato tutto dopo la seconda laurea in Scienze della comunicazione per fare ciò che amo di più: scrivere di cinema. Tarantino, l’enfant prodige Xavier Dolan e l’aura onirica di David Lynch sono punti di riferimento. Amo la scrittura perché, Bukowski docet, “scrivere sulle cose mi ha permesso di sopportarle”.