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“How We Roll”, ecco il primo singolo targato Rockin’1000

Esce oggi in tutto gli store digitali “How We Roll”, una canzone che si propone come il risultato di numerose ore di dedizione, creatività e passione della comunità di Rockin’1000 di 65.000 persone. “Insieme, stiamo spingendo i confini e ridefinendo l’essenza dell’essere una rock band” si legge sulle pagine social della band. Tra gli autori della canzone, oltre “ai mille”, Nic Cester, Giulio Nenna, Daniel Plentz, and Andrea Debernardi. Alla registrazione hanno collaborato i Black Stone Cherry, con importa vocale di Chris Robertson.

Out now “How We Roll”, this song is the result of countless hours of dedication, creativity, and passion from a 65,000 people community. “Together, we are pushing boundaries and redefining the essence of being a Rock band”. A song co-written by the Thousand and Nic Cester, Giulio Nenna, Daniel Plentz, and Andrea Debernardi. The song has a featuring with Black Stone Cherry.

Cannes 76, Palma d’oro ad “Anatomie d’une Chute'”, italiani a secco

La giuria della 76ª edizione del Festival di Cannes ha premiato con la Palma d’Oro “Anatomie d’une Chute”, il film diretto dalla regista francese Justine Triet che diventa così la terza regista donna a vincere il prestigioso riconoscimento nella storia della kermesse cinematografica dopo Jane Campion (premiata nel 1993 per “The Piano Lesson”) e Julia Ducournau (premiata nel 2021 per “Titanium”).

Il primo premio, dunque, torna alla Francia in un’edizione davvero globale ed un palmares, deciso dalla giuria guidata dallo dal regista svedese Ruben Östlund, che ha guardato molto anche ad Oriente.

Il film vincitore mette sotto la lente di ingrandimento la famiglia composta dalla scrittrice tedesca Sandra (interpretata da Sandra Hüller), dal marito scrittore Samuel (interpretato da Samuel Theis) e dal figlio adolescente non vedente Daniel, che vive in un remoto chalet di montagna sulle Alpi francesi. Samuel, però, muore in circostanze misteriose dopo una caduta dal piano più alto del cottage. Sorge un interrogativo: si è trattato di suicidio o di omicidio?

L’Italia è rimasta fuori, incassando la visibilità di tre film in concorso – “Rapito” di Marco Bellocchio, uscito ora in sala, “Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti premiato anche dal box office e “La Chimera” di Alice Rohrwacher che uscirà in autunno.

Questo il Palmares completo della 76/a edizione del Festival di Cannes con Ruben Ostlund
presidente di giuria:

  • Palma d’Oro a “Anatomie d’une Chute” della francese Justine Triet
  • Grand Prix a “The Zone of Interest” di Jonathan Glazer
  • Premio per la miglior regia a Tran Anh Hung per “La Passion” de Dodin Bouffant
  • Migliore sceneggiatura a Sakamoto Yuji per “Monster” di Kore-eda Hirokazu
  • Migliore attrice Merve Dizdar per “About Dry Grasses” di Nuri Bilge Ceylan
  • Miglior attore Koji Yakusho per “Perfect Days” di Wim Wenders
  • Premio della Giuria a “Les Feuilles Mortes” di Aki Kaurismaki
  • Camera d’Or a Ben Trong Vo Ken Vang (“L’arbre aux papillons d’or”) di Thien An Pham
  • Palma d’oro per il miglior cortometraggio a “27” di Flóra Anna Buda.

Emergenza maltempo, Rockin’1000 lancia un concerto in estate per raccogliere fondi

Un nuovo concerto a Cesena, dove tutto è partito, con mille musicisti a cantare “Learn To Fly” e varie altre canzoni che hanno fatto la storia del rock. Questa è la proposta lanciata da Fabio Zaffagnini, fondatore di Rockin’1000, per raccogliere fondi a sostegno delle zone colpite dall’emergenza maltempo. Non solo. L’annuncio sui canali ufficiali della superband è stato corredato da un appello, rilanciato anche in diretta su La7 “a tutti i musicisti semisconosciuti, conosciuti e anche artisti importanti per fare tutti insieme un grande concerto”.

Tra gli artisti chiamati in causa dall’invito lanciato sui social, Cesare Cremonini, Gianni Morandi, Ligabue, Laura Pausini, Luca Carboni, Nina Zilli, Samuele Bersani, Vasco Brondi, Vasco Rossi, Zucchero Fornaciari, Lo Stato Sociale, Biagio Antonacci, Lorenzo Jovanotti Cherubini, Alteria, Saturnino, Selton, Subsonica, Rodrigo D’Erasmo. Una email è arrivata anche alla casella di Dave Grohl. Vedremo chi risponderà.

“La mattina dell’alluvione ero partito per Milano – ha raccontato Zaffagnini a Federica Mingarelli di Billboard.it -. Ho saputo dell’inondazione della mia città, Cesena, e stavo impazzendo. Sia perché non sapevo cosa fosse successo alla mia casa, sia perché non sapevo cosa fare per aiutare. Pensavo solo al fatto che i romagnoli si sarebbero mobilitati immediatamente per gli aiuti. Ma sapevo anche che lo avrebbero fatto in maniera impulsiva. Mi immaginavo orde di gente disordinata per le strade, e le amministrazioni comunali in difficoltà nella gestione degli interventi”. È nata così la piattaforma VolontariSos.it di cui abbiamo già parlato.

Antonio Roma, pubblicato il primo romanzo “Festa del Perdono”

Antonio Roma festa del perdono

L’autore, attore e regista Antonio Roma presenta il suo primo romanzo “Festa del Perdono”, edito da Infinito Edizioni (Collana Sound Ciak) e in uscita nelle librerie (fisiche e digitali) dal 19 maggio.

Un racconto vibrante, appassionato e poetico, che ben rappresenta una generazione, ma in cui tutti possono ritrovarsi e che porta a delle profonde riflessioni sia sociali che individuali.

«”Festa del Perdono”, mio romanzo d’esordio e prima pubblicazione con una casa editrice importante, affonda le radici in una presa di coscienza. Mi spiego meglio: durante il lockdown mi sono trovato a rileggere, dopo anni,” Ask The Dust (Chiedi alla polvere)” di John Fante e non ho potuto non trovare delle analogie tra il suo Arturo Bandini e un Arturo, il mio, che stavo in quel momento soltanto abbozzando per una sceneggiatura teatrale, diventata poi altro ovvero questo romanzo. C’è dunque un legame, un filo sottile e trasparente agli occhi degli altri, che unisce l’Arturo di Fante ed il mio, entrambi protagonisti procrastinatori di una vita filtrata da un abito di scontentezza, una vita nella quale la Testimonianza non ha modo di prescindere dalla scrittura». – spiega Antonio Roma – «Ma le analogie mi piace pensare ci siano anche tra Fante e me. John era figlio di Nicola Fante, un immigrato italiano originario di Torricella Peligna o come lo chiamavano a Denver (in Colorado) “a fucking italian man” e Antonio Roma, mio nonno che, arrivato a Torino nel secondo dopoguerra da Montegiordano, trovava solo cartelli con scritto “non si affitta ai meridionali”. I meridionali a cui non affittare casa sono poi diventati gli albanesi prima, gente con un colore della pelle e/o un credo diverso dal nostro poi. Il protagonista di Festa del Perdono si confronta con questo sostrato, nel quale ha le radici, ma vive nella Milano e nell’Italia di oggi, dove abitare costa troppo e se di mestiere fai l’insegnante del liceo a tempo determinato ti chiamano supplente e lo stipendio non sai quando te lo danno. Il protagonista di Festa del Perdono appartiene ad una generazione, la mia, che, spaesata ma resiliente, insegue Utopie, con la speranza si facciano concrete, ma con il timore che se ciò avvenisse troppo presto questa Italia sarebbe inadeguata ad accoglierle e ne spezzerebbe i petali».


SINOSSI “FESTA DEL PERDONO”

Milano, Festa del Perdono, una mattina d’inverno. Un sole lento mitiga il freddo. Arturo, insegnante precario di Lettere, siede in un bar frequentato da studenti e, caffè alla

mano, legge le poche pagine scritte con la stilografica di un libro che da anni abita solo nel suo stomaco. Conosce Ambra, poi s’imbatte casualmente in Aiša, persa anni prima. Due incontri che si snodano in 48 ore e che del tempo si prendono gioco, in un dialogo intimo con l’alterità e con il sé, il solo capace di dare corpo all’identità, individuale e collettiva, di una generazione spaesata e resiliente.

La prefazione di “Festa del Perdono” è firmata da Veronica Atitsogbe.

L’immagine di copertina è “Sedia a colori” di Alice Ponti.

CHI È ANTONIO ROMA

Antonio Roma è autore, attore e regista di Teatro Civile. È laureato in Scienze sociali per la globalizzazione e in Lettere. Convinto dell’urgenza in questo momento storico di un lessico inedito, che affondi le radici nel legame tra le parole Testimonianza e Umanità, le sole capaci di portare Autenticità, il 7 gennaio 2019 ha fondato Educare alla Bellezza APS, della quale è presidente.

È autore di un’opera poetica, “Tra le corde di un’altalena”, con prefazione di Emanuele Fiano, e voce di un podcast, “Markale – Voci da Sarajevo”, scritto con Alice Ponti. Ha un blog, ‘Na tazzulella ‘e café, e diverse Utopie…

“My Love Will Not Let You Down”, la promessa (mantenuta) di Bruce al Circo Massimo [Live Report 21-05-2023]

Sono da poco passate le 19 e i 60mila del Circo Massimo si stanno godendo quei dieci minuti che il sole ha concesso dopo un pomeriggio pieno di rovesci. I tre maxischermi del palco si accendono annunciando che da lì a pochissimo saliranno uno a uno i membri della E Street Band. L’inquadratura poi arriva su Bruce Springsteen, indugiando sulla chitarra. Partono le prime note di “My Love Will Not Let You Down”, canzone scelta tra le opener consuete di questo tour, la sua promessa oltre pioggia e fango. La sua risposta in musica a giorni di polemiche che hanno accompagnato il suo concerto di Ferrara. Il suo modo di infrangere il silenzio.

Ecco “Death to my Hometown” che si arricchisce di tamburi e fiati da fanfara, seguita dall’energia di “No Surrender”, Poi arrivano in sequenza “Darkness on the Edge of Town”, “Promise Land”, prima di una versione travolgente di “Kitty’s Back”. Springsteen si riprende il ruolo di chitarra solista, con il suo stile aggressivo: Little Steven sul palco cura le ritmiche e le backing Vocals. A Nils Lofgren, il chitarrista che umiliò un giovane Springsteen e la sua band al primo concerto della carriera a San Francisco, si abbandona a uno dei suo assoli da super virtuoso solo in “Because The Night”, che continua ad essere uno dei momenti più intensi del concerto. “Nightshift”, pescato dal recente album di cover soul “Only The Strong Survive”, aveva fatto storcere la bocca a più di un fan: dal vivo il brano dei Commodores diventa una celebrazione della Black Music con i coristi a disegnare vocalizzi. “Mary’s Place” e l’amatissima “E Street Shuffle” precedono il primo momento di pausa, con l’acustica “Last Man Standing” dedicata al fondatore dei Castiles, la prima band di Bruce, George Theiss, morto nel 2018.

Sui maxischermi, appare in italiano la trascrizione del suo ricordo. Bruce aveva stava imparando a suonare la chitarra e George aveva una band tutta sua, i Castiles. Grazie all’intercessione della sorella, George gli propone di suonare con loro e la cosa funziona per tre anni. Il racconto va avanti di altri cinquanta: le parole di Springsteen disegnano il letto di morte dell’amico nella mente di chi ascolta. Parole che sanno trascendere. “Quando sei avanti negli anni ti senti di camminare su un lungo binario e a un certo punto vedi lontano una luce bianca venirti incontro. Ma più si avvicina più tutto è illuminato. L’ultimo regalo della morte è una visione più ampia della vita”.

E poi ancora: “A 15 anni ci sono tanti ‘domani’ e ‘arrivederci’, ma andando avanti ci sono sempre più ‘ieri’ e ‘addii’. Tutto questo mi ha fatto comprendere quanto si importante vivere ogni momento, quanto sia importante approfittare di ogni istante, anche se talvolta questo lo si dice come un cliché. Quindi siate buoni con voi stessi, verso coloro che amate, e verso il mondo in cui viviamo”. Si apre così una sequenza narrativa che raggiunge idealmente il pezzo di congedo, “I’ll See You in My Dreams” dove tra i versi spuntano quella chitarra conservata accanto al letto, insieme ai libri letti e i dischi preferiti”. Tutto conservato gelosamente, “come ogni istante di vita insieme che porto nel cuore”.

C’è spazio per una sequenza di classici “She’s The One”, “Badlands”, aperta da uno dei più iconici fill di batteria di sempre, “Thunder Road”, con l’intera prima strofa cantata in coro dal pubblico, “Born In The Usa” dove Max Weinberg sprigiona tutto il suo virtuosismo da erede dei grandi batteristi da Big Band, “Born To Run”, “Bobby Jean”. Il concerto si avvia alla fine: in “Glory Days” rinasce la coppia da cabaret Springsteen-Van Zandt, “Dancin’ In The Dark”, “Tenth Avenue Freeze Out”, con le immagini di Clarence “Big Man” Clemons e di Danny Federici, i due componenti storici che non ci sono più. Si chiude, dunque, con Springsteen da solo con la chitarra a salutare i fan innamorati con “I’ll See You in My Dreams”. Poco meno di tre ore con la E Street Band con i vecchi amici Roy Bittan piano e sintetizzatori, Nils Lofgren chitarra e voce, Garry Tallent basso, Stevie Van Zandt chitarra e voce, Max Weinberg batteria, Soozie Tyrell violino, chitarra e voce, Jake Clemons sassofono, Charlie Giordano tastiere cui si aggiungono le sezioni di fiati e i quattro coristi. Certo, la voce risente dei segni del tempo, ma il tiro è pressoché intatto. Tre ore di spettacolo di qualità che si aggiungono alla buona performance in apertura dei White Buffalo (acoustic-country ben strutturato) e alla sorprendente prova di Sam Fenders (sentiremo a lungo parlare di lui).

Parterre d’eccezione sotto al pit del Circo Massimo (e senza “Roll call”). Tra gli ospiti internazionali Sting, Chris Rock, Lars Ulrich dei Metallica, Nick Mason, Nick Cave e Woody Harrelson. Tra il pubblico molti anche gli italiani: Thomas dei Maneskin, Edoardo Leo, Luca Marinelli, Giuseppe Battistini, Aiomone Romizzi dei Fask, Carlo Calenda ed Eleonora Daniele.

Certo, tra i tanti “Roma! Roma! Roma”, per qualcuno non sarebbe guastato un “Romagna”. Ma dichiarazioni di circostanza a volte lasciano il tempo che trovano. A volte è meglio tacere e lasciar parlare la musica.

SCALETTA CONCERTO

MY LOVE WILL NOT LET YOU DOWN
DEATH TO MY HOMETOWN
NO SURRENDER
GHOSTS
PROVE IT ALL NIGHT
DARKNESS ON THE EDGE OF TOWN
LETTER TO YOU
THE PROMISED LAND
OUT IN THE STREET
KITTY’S BACK
NIGHTSHIFT – COVER DEI COMMODORES
MARY’S PLACE
THE E STREET SHUFFLE
LAST MAN STANDING
BACKSTREETS
BECAUSE THE NIGHT
SHE’S THE ONE
WRECKING BALL
THE RISING
BADLANDS
THUNDER ROAD

BORN IN THE U.S.A.
BORN TO RUN
BOBBY JEAN
GLORY DAYS
DANCING IN THE DARK
TENTH AVENUE FREEZE-OUT
I’LL SEE YOU IN MY DREAMS

LE FOTO

Cinque minuti da soli con Van Gogh: il nuovo format espositivo di Palazzo Ducale a Genova

Foto di Prawny da Pixabay

Dal 12 maggio al 10 settembre 2023 Palazzo Ducale a Genova ospita, nella suggestiva Cappella del Doge, Paesaggio con covoni e luna nascente, capolavoro di Vincent Van Gogh del 1889.  Un’occasione unica per ammirare un’opera d’arte in maniera raccolta ed intima, in completa solitudine oppure con i propri familiari.

Indossare gli occhi dell’artista

Dopo il grande successo di “Cinque minuti con Monet” a Palazzo Ducale di Genova torna il format che consente di stare a tu per tu con i grandi capolavori della storia dell’arte. L’idea originaria nata nel 2020 durante la pandemia da Covid 19, viene oggi riproposta con un intento nuovo.

Ammirare un quadro da soli non è più una mera misura di protezione, ma un modo per vivere un’esperienza estetica e sensoriale a 360 gradi. Avere cinque minuti a disposizione per contemplare da vicino un dipinto, senza persone intorno, avvolti da musiche o letture pertinenti consente al visitatore non solo di apprezzare il risultato finale, ma anche di cogliere le emozioni che hanno condotto alla genesi.  Si compie una sorta di magia: indossare lo sguardo dell’artista. E se tre anni fa era stato Monet a “prestare i suoi occhi” per ammirare le celebri Ninfee, stavolta è Van Gogh a condurci nei campi di grano di Saint-Rémy-de-Provence.

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Cinque minuti a tu per tu con Vincent

“Cinque minuti con Van Gogh” offre ai singoli appassionati la possibilità di dialogare con l’arte del pittore olandese come in una sorta di colloquio privato.

Non a caso, quest’anno ricorrono i 170 anni dalla nascita dell’artista e anche la scelta dell’opera è ponderata. Paesaggio con covoni di grano e luna nascente è già stato esposto nella mostra su Van Gogh di Palazzo Bonaparte a Roma (uno strepitoso successo sancito da quasi 600mila visite) ma nella Cappella del Doge di Palazzo Ducale assume un’aura quasi mistica.

Circonfuso da una luce calda che spezza la penombra del solenne luogo di culto, il dipinto diventa un vero prolungamento dello sguardo di Van Gogh, l’esatta porzione di paesaggio che riusciva a vedere dalla finestra con le sbarre del manicomio di Saint-Paul-de-Mausole. Osservare da vicino le pennellate vigorose della tela, poter ascoltare in sottofondo la lettura di una lettera al fratello Theo, aiuta a percepire lo stato d’animo dell’artista per un’esperienza immersiva ed emotivamente intensa.

Vincent Van Gogh, Paesaggio con covoni e luna nascente, 1889, Kröller-Müller Museum, Otterlo. Public domain via Wikimedia Commons.

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Paesaggio con covoni e luna nascente

L’8 maggio del 1889 Vincent Van Gogh entra volontariamente nel manicomio di Saint-Paul-de-Mausole, sufficientemente lucido e consapevole di dover arginare la sua sofferenza psichica. Il fratello Theo intercede a suo favore per fargli avere una camera dove dipingere, al primo piano dell’istituto.

Per quasi un anno, Van Gogh si affaccia ogni giorno all’unica finestra di quella stanza per ritrarre il panorama nelle varie ore del giorno e a ogni cambio di stagione. Proprio come Monet aveva trattato le ninfee e le cattedrali, così Vincent registra il mutamento della luce e dei colori di uno stesso punto di vista nel corso dei giorni e dei mesi. Nonostante il disagio psicofisico, riesce a portare avanti un progetto complesso e razionale: programma le sue sessioni di lavoro, studia gli effetti cromatici e compone la tela attraverso pennellate energiche.

Esistono almeno dieci versioni di Paesaggio con covoni e luna nascente. Si potrebbe pensare a un atteggiamento ossessivo compulsivo, ma tali studi pittorici aprono oggettivamente la strada a una nuova corrente artistica: l’Espressionismo.

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Il parere degli organizzatori

A cura di Costantino D’Orazio, l’evento “Cinque minuti con van Gogh” è organizzato dalla società Arthemisia, in collaborazione con il Kröller-Müller Museum di Otterlo, Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Comune di Genova e Regione Liguria.

Il presidente della Fondazione Palazzo Ducale, Beppe Costa, spiega con queste parole lo speciale format: «Sono cinque minuti di pura adrenalina. Uno che si siede ad ammirare questo dipinto, da solo o insieme alla famiglia, prova un’emozione che è difficile da descrivere. E questo è ciò che vogliamo si portino a casa i visitatori, l’emozione di stare a tu per tu davanti a un capolavoro del genere».

Anche la direttrice di Palazzo Ducale, Serena Bertolucci, rilascia dichiarazioni entusiaste e annuncia una novità che verrà inserita nei prossimi giorni per rendere ancora più suggestiva la fruizione dell’opera di Van Gogh.

«Ci sembrava il momento giusto per questo e lo facciamo con l’auspicio di offrire qualcosa in più. È un format innovativo che speriamo sarà sempre più apprezzato. Questo quadro è stato scelto perché inquadra un preciso momento della vita del pittore: van Gogh in manicomio dipinge ciò che vede da dietro alle sbarre. Nelle prossime settimane metteremo a disposizione mascherine che riproducono le sbarre per un particolare in più che si aggiunga allo stato d’animo dell’artista».

Il dipinto rimarrà esposto nella Cappella del Doge a Palazzo Ducale fino al prossimo 10 settembre e sarà visitabile su prenotazione. Per informazioni sull’acquisto dei biglietti è possibile collegarsi ai seguenti siti web: www.midaticket.it, www.palazzoducale.genova.it e www.arthemisia.it .

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Il maltempo non ferma il concerto del Boss a Ferrara

Con il passare delle ore monta la polemica sui social sull’opportunità che stasera si tenga regolarmente il concerto di Bruce Springsteen a Ferrara, nonostante la drammatica ondata di maltempo che ha investito l’Emilia Romagna causando vittime e danni. Gli organizzatori al momento hanno confermato il live del Boss, al quale sono attese 50mila persone, anche perché la città non si trova in zona rossa, ma in tanti, anche fan, chiedono che venga annullato.

“Adoro #Brucespringsteen ma davanti ai morti e ai paesi sommersi nel fango il concerto di Ferrara stona. Una volta si andava a spalare e aiutare chi era sommerso nel fango non a cantare e ballare spensierati nella stessa zona.#EmiliaRomagna”, scrive su Twitter Tiziana Ferrario.

E c’è chi va giù duro chiedendo “rispetto per le vittime”. Qualcuno chiama in causa anche il ministro dell’Interno: “Piantedosi che usa il pugno di ferro con i ragazzi di un rave ma che oggi non fa annullare il concerto del Boss nonostante i morti a pochi km, le autostrade bloccate, i treni in difficoltà, la protezione civile impegnata nell’emergenza”.

L’ondata di maltempo che ha messo in ginocchio una vasta area dell’Emilia-Romagna ha risparmiato la zona e gli organizzatori – pur nella consapevolezza della gravità della situazione nella regione e dei problemi alla viabilità e nel massimo rispetto per le persone colpite – confermano l’evento. “Siamo perfettamente consapevoli della situazione di disagio, ma tutto quello che stiamo facendo, lo stiamo facendo nella massima sicurezza e nel massimo rispetto delle esigenze di tutti”, premette Claudio Trotta, fondatore della Barley Arts e
storico promoter di Springsteen. “Per quindici giorni siamo stati sotto una pioggia costante, ne sono caduti 500-600 millimetri a fronte di una media di 55 millimetri in questa zona nel mese di maggio. Grazie a una squadra straordinaria, all’impegno delle maestranze, siamo in una situazione ottimale dal punto di vista della produzione dello spettacolo dell’allestimento dell’arena. Domani, quando apriremo le porte, saremo tranquilli che tutto si svolgerà regolarmente”.

Rispetto all’emergenza di questi giorni “siamo perfettamente consapevoli del dramma delle zone alluvionate. Ma Ferrara non è zona rossa, le scuole non sono state chiuse, gli eventi meteo sono in esaurimento come indicano le previsioni e anche le istituzioni”. Peraltro “le unità della protezione civile di Ferrara sono impegnate nelle zone colpite, hanno traportato materiali a Cesenatico e Forlì e così anche i vigili del fuoco hanno lavorato nelle aree alluvionate: ci tengo a precisarlo – sottolinea – per smentire chi ci accusa di usare risorse pubbliche, cosa totalmente falsa”.

Restano i problemi alla viabilità, “ma dell’autostrada A14 sono chiusi soltanto alcuni tratti, sotto costante monitoraggio, e in alternativa si può usare l’Adriatica. Gli aeroporti sono aperti, i treni speciali che come Barley Arts abbiamo organizzato con Trenitalia sono tutti confermati”.

“Da anni lavoriamo a questo evento, se qualcuno fosse stato qui in questi giorni avrebbe respirato un’aria di passione e di attenzione per questo lavoro. Sono convinto che domani sarà una giornata memorabile”, conclude.

“Dog Days Are Over”: il significato della canzone di Florence Welch che fa ballare i Guardiani della Galassia

Era il 1° dicembre del 2008 quando la band britannica Florence and the Machine pubblicava il singolo “Dog Days Are Over“, secondo estratto dall’album di debutto “Lungs“. Un brano travolgente nel ritmo e profondo nel significato. Intimo ed emozionante, secondo il trademark che avrebbe contraddistinto da quegli anni ad oggi Florence Welch, artista tra le più apprezzate nella scena alternative pop/rock.

Una canzone ritornata prepotentemente in auge proprio in queste settimane, grazie alla colonna sonora de I Guardiani della Galassia Vol.3, all’interno della quale è stata inserita. Non diremo molto di più per non spoilerare troppo a chi ancora deve vedere l’ultimo capitolo della trilogia con Star-Lord, Rocket, Drax, Gamora, Groot, Mantis e altri, ma certamente qualche passaggio ce lo concederete, eccome se ce lo concederete. Eventuali spoiler, va da sé, saranno comunque segnalati. Vi basti pensare che la stessa Florence si è commossa nel vedere una tra le scene più emozionanti del film, quella nella quale le note da lei cantate riempiono lo schermo e i cuori degli spettatori.

Su TikTok è stato pubblicato un video dove, nel guardarla, non riesce a trattenere le lacrime (lo trovate in fondo all’articolo).

Nella lingua inglese l’espressione dog days, letteralmente giorni da cane, ha un significato ambivalente: può indicare le giornate afose d’estate o un periodo duro e fallimentare in cui tutto va per il peggio. È questo il caso della canzone di Florence and the Machine nella cui versione italiana infatti dog days è tradotto con “i giorni duri“. Proprio quelli vissuti dai protagonisti del film di James Gunn.

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Giorni duri dovuti presumibilmente ad un amore finito male, vissuti tra dolore e alcol, che finalmente sembrano entrare a far parte del passato. La prima parola del brano è Happiness: dopo un periodo buio, la protagonista della canzone si apre di nuovo alla felicità. Un sentimento messo da parte per troppo tempo e che può arrivare con una prorompenza tale da diventare quasi violenta: se ne parla con metafore dure e veloci, come un treno in corsa, un proiettile o una mandria di cavalli che corrono tutti insieme e da cui si rischia di esser travolti. Vi dice niente?

Ma i cavalli in corsa forse non sono qualcosa da cui fuggire prima che ci calpestino. Forse bisogna correre per esser pronti a saltare insella e riprendere la corsa -appunto- verso la vita, cogliere le occasioni al balzo e cavalcare la vita. Per farlo, per tornare in carreggiata e sopravvivere, bisogna alleggerirsi, lasciare indietro il tuo amore, tutti i tuoi sentimenti.

Sacrificare i sentimenti evidentemente a senso unico, soffocare il dolore per riprendersi. Non solo per se stessi ma per le persone che ci stanno a fianco e per cui vale la pena lottare: Corri veloce per tua madre, corri veloce per tuo padre / Corri per i tuoi bambini, per le tue sorelle e fratelli cantano Florence and the Machine.

Nel 2010 compare su Youtube un secondo video di Dog Days Are Over diretto da Georgie Greville e Geremy Jasper e curato da Paul Snyder.

Un video “tanto”: un pastiche di elementi molto differenti fra loro che rendono l’atmosfera talvolta nipponica o ancora africana, soul e rinascimentale. In primo piano Florence ricoperta completamente da trucco lattiginoso che danza leggiadramente in uno spazio totalmente bianco, vestita di veli, bracciali, anelli e una grossa collana dorata con un pendente madreperlaceo. Pian piano altri elementi si aggiungono alla scena: ballerine, percussionisti tribali, arpisti, piattisti, grancassisti e un intero coro gospel, abbigliati e truccati in modo stravagante.

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Alla fine della canzone, una nuvola di polveri colorate, vivaci ma buie, invade lo spazio. In mezzo a questo caos Florence corre e salta stringendo una bandiera blu a mo’ di Libertà che guida il popolo, opera tra le più celebri del pittore francese Eugène Delacroix. Poi, avvolta in un sontuoso kimono, fa sparire le persone che la attorniano, che si tramutano in polvere e piume iridescenti: letteralmente tutti esplodono come fuochi d’artificio. Il video di Dog Days Are Over si conclude con il fumo variopinto che si dirada e con Florence di nuovo sola, con indosso una pelliccia ornata di frange di velluto e nastri scarlatti.

Un ballo di libertà, per scrollarsi di dosso dolore e tensione e brindare a una nuova vita, a una rinnovata speranza, a nuovi legami e prospettive. Un inno al futuro, alla rinascita e alla virtù. La saga de I Guardiani della Galassia è, forse, quella che, più di tutte, all’interno delle trilogie Marvel elogia l’amicizia e la fratellanza. Questo terzo capitolo lo ribadisce, esalta i valori dei rapporti umani, li spinge all’estremo e non lascia indietro niente. Divertenti e scanzonati, pungenti ed emozionanti, profondi e genuini: piacciono perché in loro possiamo ritrovare molte delle nostre umane debolezze, tanto nei pensieri quanto nei modi di fare e agire. Non sono senza macchia e senza paura ma anzi, spesso incappano proprio negli errori. Gli stessi che, mettendoli in discussione, fanno sì che lo spettatore possa immedesimarsi nei loro panni e con loro empatizzi.

“Dog Days Are Over”, non poteva esserci finale migliore. Ma siamo sicuri che sia il finale???

Il testo

Happiness hit her like a train on a track
Coming towards her stuck still no turning back
She hid around corners and she hid under beds
She killed it with kisses and from it she fled
With every bubble she sank with her drink
And washed it away down the kitchen sink

The dog days are over
The dog days are done
The horses are coming
So you better run

Run fast for your mother, run fast for your father
Run for your children, for your sisters and brothers
Leave all your love and your longing behind
You can’t carry it with you if you want to survive

The dog days are over
The dog days are done
Can you hear the horses?
‘Cause here they come

And I never wanted anything from you
Except everything you had and what was left after that too, oh
Happiness hit her like a bullet in the back
Struck from a great height by someone who should know better than that

The dog days are over
The dog days are done
Can you hear the horses?
‘Cause here they come

Run fast for your mother, run fast for your father
Run for your children, for your sisters and brothers
Leave all your love and your longing behind
You can’t carry it with you if you want to survive

The dog days are over
The dog days are done
Can you hear the horses?
‘Cause here they come

The dog days are over
The dog days are done
The horses are coming
So you better run

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La traduzione

La felicità la colpì come un treno sui binari
Arrivando dritto addosso a lei, eppure non ritorna indietro
Lei si nascose dietro gli angoli e si nascose sotto i letti
Lo uccise di baci e dopodiché fuggì
con ogni bollicina si affogò nei suoi drinks
E li lavò via nel lavandino della cucina

I giorni duri sono finiti
I giorni duri se ne sono andati
Stanno arrivando i cavalli quindi farai meglio a correre

Corri veloce per tua madre, corri veloce per tuo padre
Corri per i tuoi bambini, per le tue sorelle e fratelli
Lascia indietro il tuo amore, tutti i tuoi sentimenti
Non puoi portarli con te se vuoi sopravvivere

I giorni duri sono finiti
I giorni duri se ne sono andati
Riesci a sentire i cavalli?
Perché eccoli che arrivano

E non ho mai voluto nulla da te
A parte tutto ciò che hai e tutto ciò che ti rimane
La felicità la colpì come un proiettile nella testa
si schiantò da una grande altezza, qualcuno avrebbe dovuto saperlo meglio di lei

I giorni duri sono finiti
I giorni duri se ne sono andati
Riesci a sentire i cavalli? Perché eccoli che arrivano

Corri veloce per tua madre, corri veloce per tuo padre
Corri per i tuoi bambini, per le tue sorelle e fratelli
Lascia indietro il tuo amore, tutti i tuoi sentimenti
Non puoi portarli con te se vuoi sopravvivere

I giorni duri sono finiti
I giorni duri se ne sono andati
Riesci a sentire i cavalli?
Perchè eccoli che arrivano

I giorni duri sono finiti
I giorni duri se ne sono andati
Stanno arrivando i cavalli
quindi farai meglio a correre

I Mudhoney e l’eredità della Sub Pop, intervista a Mark Arm

Mudhoney foto Emily Rieman

“Queste canzoni erano lì da sempre, nascoste dagli altri esseri mortali. Le abbiamo registrate una volta che si sono rivelate a noi”. Onesto, diretto e a tratti irriverente, Mark Arm parla così delle 13 tracce di “Plastic Eternity” (Sub Pop Records/Audioglobe) l’ultimo album dei Mudhoney. Un lavoro uscito nell’anno del 35esimo anniversario sia del gruppo sia della Sub Pop, etichetta simbolo dell’alternative rock.

Registrato in nove giorni al Crackle & Pop! di Seattle, con il produttore di lunga data Johnny Sangster, “Plastic Eternity” si propone come una corsa inebriante attraverso tutti i proto-generi del rock guitar based con un occhio attento alle vacuità nel mondo, nel nostro tempo.

Nati dalle ceneri dei Green River (gruppo di cui, oltre a Mark Arm e Steve Turner, facevano parte Jeff Ament e Stone Gossard, fondatori dei Pearl Jam), i Mudhoney sono stati secondo alcuni critici il primo gruppo in assoluto della scena grunge, termine che fu utilizzato proprio durante un loro tour in Inghilterra, o, quantomeno, il gruppo che contribuì maggiormente al propagarsi dell’utilizzo del suono sporco e particolarmente distorto.

La band ha rappresentato di fatto la prima impresa riuscita per l’etichetta indipendente Sub Pop Records di Seattle e il loro successo all’interno della scena indie ha preparato il terreno per il movimento che di lì a poco avrebbe fatto di Seattle, la nuova capitale dell’universo rock.

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Sebbene, infatti, i Nirvana rappresentino il gruppo che ha espresso l’inquietudine di un’intera generazione, la cosiddetta generazione X, e altri gruppi come i Pearl Jam e i Soundgarden abbiano venduto molti più dischi, i Mudhoney hanno permesso al nascente movimento grunge di diventare una realtà oltre ad avere ispirato e influenzato molte formazioni indie e alternative rock. Attualmente, la formazione è così composta: (il cantante Mark Arm, il chitarrista Steve Turner, il bassista Guy Maddison e il batterista Dan Peters. “Ci piace stare insieme in una band”, spiega Mark Arm. “Alcune persone hanno la serata poker o qualsiasi altra cosa, e hanno la scusa di riunirsi con i loro amici. Per noi, la band è questo, è ciò che facciamo”. Abbiamo chiesto a quest’ultimo di parlarci un po’ di questo undicesimo lavoro.

L’INTERVISTA – ENGLISH BELOW

Riconosciamo in “Plastic Eternity” delle evoluzioni nel sound rispetto agli album precedenti. Come avete lavorato sui 13 brani?
I brani erano lì dove sono sempre stati, nascosti agli altri mortali, e li abbiamo registrati una volta che si sono rivelati a noi.

Plastic Eternity viene presentato come un viaggio intenso attraverso tutti i protogeneri del rock “guitar based”. Pensate che il sound di Seattle sia stato concepito come una sorta di reinterpretazione post-punk dell’hard rock degli anni ’70, ma anche del punk e del garage?
Non so molto riguardo al “sound di Seattle”, ma siamo molto influenzati dal punk, garage, psichedelia, hard rock e anche un po’ di metal, folk e blues. Forse anche un po’ di jazz.

Di quale dei 13 brani ti senti più vicino come approccio musicale?
Sento che tutti e 13 i brani sono indicativi del nostro approccio musicale.

Come valuta l’approccio di Johnny Sangster sulle tue creazioni?
Molto positivamente.

“Almost Everything” (il primo singolo ndr) è un viaggio surreale e interdimensionale di un personaggio che non smette mai di trasformarsi. È una sorta di metafora del vostro percorso musicale?
Questa idea non mi era venuta in mente, ma potrebbe anche essere, no?

Quest’anno segna il 35º anniversario sia dei Mudhoney che della Sub Pop. Come è cambiata la scena di Seattle in tre decenni?
Siamo noi, che eravamo presenti 35 anni fa, ad invecchiare. La cosa strana che ho osservato è che praticamente ogni anno sembra esserci una nuova generazione di persone giovani a dire la loro. Ci sono persone diverse che suonano diversi tipi di musica (così come è sempre stato). Non riesco a riassumere in poche parole come questo abbia cambiato le cose.

Chris Cornell diceva che le band di Seattle erano molto unite, specialmente alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90. Insieme ad altre band come Pearl Jam, Screaming Trees, Nirvana, Soundgarden, facevate parte di una scena musicale particolare. Cosa è rimasto di quello spirito?
Ci sono alcune persone di quel periodo con cui sono ancora in stretto contatto, in amicizia. Ci sono altre persone che non vedo di persona da molto tempo. Questo è un po’ la natura dell’amicizia, delle conoscenze e del tempo.

Si mantiene in contatto con altri veterani delle band menzionate nella domanda precedente?
Sì.

Qual è il processo delle vostre composizioni e in che modo è cambiato nell’era digitale?
Il processo cambia con la tecnologia, ma cerchiamo di combinare un po’ delle parti migliori del vecchio con le parti migliori del nuovo. Per “Plastic Eternity” abbiamo registrato su nastro a 2 pollici, che poi è stato trasferito in ProTools per facilitare l’editing.

Qual è il lascito del rock alternativo degli anni ’90 sull’industria musicale?
Dell’industria musicale non me ne può fregar di meno.

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ENGLISH VERSION

These songs were hidden from other mortal beings. We recorded them once they revealed themselves to us,” says Mark Arm honestly, directly, and irreverently about the 13 tracks of “Plastic Eternity” (Sub Pop Records/Audioglobe), Mudhoney’s latest album. A work released in the year of both the band’s and Sub Pop’s 35th anniversary, the iconic label of alternative rock.

We recognize in Plastic Eternity some evolutions in the sounds, compared to previous albums. How did you work at the 13 tracks?
We discovered them where they lived, hidden from other mortals, and recorded them once they revealed themselves to us.

Plastic Eternity is introduced as a heady ride through all the proto-genres of guitar rock. Do you think the Seattle sound itself has been conceived as a sort of post-punk reinterpretation of 70’s Hard-Rock, but also punk and garage?
I don’t know about the “Seattle sound” but we are very influenced by punk, garage, psychedelia, hard rock, as well as a bit of metal, folk and blues. Maybe some jazz even.

Which of the 13 songs do you feel close to your musical approach
I feel that all 13 songs are indicative of our musical approach.

How could you judge Johnny Sangster’s approach on your creations?
Very positively!

“Almost Everything” is a surreal and interdimensional journey of a character who never stops transforming. Is that a metaphor of your music journey somewhat?
That idea had not occured to me, but maybe?

This year marks the 35th anniversary of both Mudhoney and Sub Pop. How has the Seattle scene changed over three decades?
Those of us who were around 35 years ago and getting quite old. The odd thing that I have observed is that virtually every year there seems to be a new crop of younger people doing their thing. There are many different people playing many different types of music (just like there always has been). I can’t easily sum up how this has changed things.

Chris Cornell used to say that Seattle bands were very close and friendly, especially in the late eighties/early nineties. Along with other bands such as Pearl jam, Screaming Trees, Nirvana, Soundgarden, you were part of particular music scene. What has survived of that spirit?
There are some people from that era who I am still close and friendly with. There are others that I haven’t seen in-person for a very long time. That’s kind of the nature of friends, acquaintences and time.

Are you in touch with other veterans from the bands I’ve mentioned in the previous question?
Yes.

What is the process of your compositions and and how has it changed in the digital era?
Process changes with technology, but we try to mix a bit of the best parts of the old with the best parts of the new. For Plastic Eternity we recorded to 2 inch tape, which was then dumped into ProTools for easier editing.

What is the legacy of the 90’s alternative rock on music industry?
I couldn’t give a shit about the music industry.

David di Donatello 2023, “Le otto montagne” è il miglior film

“Le otto montagne” di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeers si aggiudica il David di Donatello 2023 come miglior film.

Alessandro Borghi e Luca Marinelli hanno incarnato perfettamente i personaggi del romanzo di Paolo Cognetti su cui è basato il film. Le differenze tra la vita di città, caotica e talvolta nervosa e assente, con quella della montagna, più silenziosa, tranquilla ma al tempo stesso più isolata e isolante.

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Un film che non è stato progettato per esaltare la vita bucolica della montagna e denigrare quella cittadina. Al contrario ha sottolineato pregi e difetti delle due realtà. Soprattutto sulla crescita e sviluppo dei due protagonisti.

“Le otto montagne” è stato un’inno all’amicizia, vista come una cordata. Dove un amico è legato all’altro da una corda, neanche troppo invisibile, che è difficile da tagliare. Che anche quando si pensa che stia per cedere rimane ancorata. Anche solo nel ricordo e nell’amore verso qualcuno che li ha legati. Come il padre di Pietro, interpretato da Filippo Timi, personaggio fondamentale nel racconto.

Il film di amicizia a grandi altezze conquista anche miglior fotografia, sceneggiatura non originale e suono. Ma non finisce qui, a conquistare quattro statuette altri due film: il super favorito della vigilia “Esterno notte” di Marco Bellocchio che si porta a casa regia, attore protagonista (Fabrizio Gifuni), montaggio e trucco e “La stranezza” di Roberto Andò che vince nelle categorie: scenografia, costumi, sceneggiatura originale e produzione. Ecco, in estrema sintesi, i principali vincitori di questa edizione premiati negli Studi Lumina di Roma in diretta tv su Rai 1 con la conduzione di Carlo Conti affiancato da Matilde Gioli. Delusione invece per Il signore delle formiche di Gianni Amelio (classe 1945 e tre David vinti) che nonostante le undici candidature non ottiene nulla. Bene invece “La siccità” di Paolo Virzì, che ottiene il David alla miglior attrice non protagonista, Emanuela Fanelli, e agli effetti visivi e bene per “L’ombra di Caravaggio” di Michele Placido che porta a casa la miglior acconciatura a Desiree Corridoni e il Davide giovani.

Per “Il grande giorno” di Massimo Venier con Aldo, Giovanni e Giacomo invece il David dello spettatore, mentre il David esordio alla regia va al coraggioso film “Settembre” di Giulia Louise Steigerwalt che vince anche il David miglior attrice protagonista andato a Barbara Ronchi.

Tra i momenti più belli di questa edizione il David Speciale a Isabella Rossellini che alla domanda sul segreto della bellezza replica con il suo bel sorriso: “Il fotografo Richard Avedon mi disse un giorno che essere modella è un po’ come essere un’attrice del cinema muto e non che non c’è bellezza senza emozioni”.

Tra i ricordi di questa edizione quello dedicato ad Anna Magnani, prima con una canzone di Noemi e poi con con l’attrice che dice in un’intervista: “Certo gli attori sono egoisti, egocentrici ed esibizionisti, ma guai se non ci fossero”. E ancora tra i ricordi quello dedicato a Gina Lollobrigida con filmati tratti dai suoi film con in testa lo straordinario “Pane amore e fantasia” di Luigi Comencini. Tra gli altri premi quello alla miglior canzone andato a Proiettili cantata da Elodie nel film “Ti mangio il cuore”, mentre il miglior documentario è “Il cerchio di Sophie Chiarello”. Infine, miglior film internazionale “The Fabelsman” di Steven Spielberg.

DAVID DI DONATELLO: TUTTI I VINCITORI DELLA 68/A EDIZIONE

Al Teatro Marconi di Roma Antonello Avallone racconta la storia di Nica, “L’eroina del jazz”

Una storia, un unico racconto, una donna: la baronessa Kathleen Annie Pannonica Rothschild, detta Nica, che vive in un tempo sospeso, il tempo dell’arte fatto di mecenatismo, amore, compassione e frustrazione. Come in una danza degli spettri, Antonello Avallone ne “L’eroina del jazz”, in scena al Teatro Marconi di Roma domenica 28 maggio, lascia affiorare sul palcoscenico attimi di vita, emozioni e racconti di Charlie Parker, Art Blakey, Miles Davis, Charles Mingus e Thelonious Monk. Sono “note stonate” di un pentagramma nero, che si susseguono restituendo allo spettatore pezzi di storia del Jazz. Contrasti di un ‘900 nuovo fatto di musica, improvvisazione, contrasti razziali, eroina, boxe e riscatto del popolo nero.

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Un viaggio intenso e intimo che porta lo spettatore tra le vie di New York City, negli anni ‘40 e ‘50, con un passo dal ritmo nero, duro, tribale, in una parola, del passo del Bebop, che ha dato vita al Jazz moderno, senza il quale la musica di oggi non esisterebbe. I tre bravissimi jazzisti Simone Alessandrini (sassofoni), Andrea Saffirio (piano), Ippolito Pingitore (batteria e percussioni) in scena accompagnano suggestivamente Avallone in una atmosfera sospesa, di altri tempi.

Info e prenotazioni 06 594 3554 – info@teatromarconi.it

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Arnaldo Pomodoro, pronta la mostra al Colosseo quadrato

Arnaldo Pomodoro eur

Dal 12 maggio al primo ottobre il palazzo della Civiltà Italiana a Roma, conosciuto anche come Colosseo Quadrato, ospiterà la mostra di Arnaldo Pomodoro.

L’artista esporrà, grazie alla partnership tra Fendi e la Fondazione Arnaldo Pomodoro, una selezione di opere che procedono dalla fine degli anni cinquanta a oggi e che, insieme a materiali documentari consultabili dal pubblico, evocano il suo studio/archivio.

La mostra sarà introdotta da quattro sculture poste ai quattro angoli esterni del palazzo della Civiltà. Una volta entrati l’esposizione si articolerà come un’opera in due atti e un intermezzo corrispondenti alle due sale principali, fra loro speculari, e al passaggio di raccordo retrostante.

Come si legge nella presentazione dell’evento sul sito della Fondazione “nel suo insieme, “Il Grande Teatro delle Civiltà” esplora la pervasiva interdipendenza nella pratica di Pomodoro fra le arti visive e quelle sceniche e drammaturgiche, così come fra la realizzazione dell’opera finale e la dimensione della sua concezione progettuale. Concretezza e utopia, segno e archetipo, materia e visione, tridimensionalità dell’opera e bidimensionalità del documento, condivisione nello spazio pubblico e ricerca personale condotta nello studio e nell’archivio si integrano delineando un continuum, da cui emergono molteplici riferimenti alle tante “civiltà” a cui tutte le opere di Pomodoro costantemente rinviano: tracce evanescenti di civiltà arcaiche, antiche e moderne, o anche solo fantastiche, da cui originano forme, segni e materie indefinibili, appartenenti sia all’archeologia sia alla futurologia, che rifondano le nostre conoscenze e i nostri immaginari, la nostra esperienza del tempo e dello spazio, della storia e del mito, così come la nostra relazione, in quanto esseri umani, con le altre specie viventi e la natura. Un grande teatro in cui sono ripercorsi gli oltre settant’anni di ricerca di Arnaldo Pomodoro”.

Uno dei più grandi scultori contemporanei avrà la sua casa, per quasi 5 mesi, all’EUR. Famoso per le sue sculture in bronzo, porterà nel quartiere della Capitale la sua idea di arte, tra la perfetta levigatezza delle sfere che si incontra con il meccanismo interno che conduce lo spettatore alla ricerca e alla scoperta.

Curata da Lorenzo Respi e Andrea Viliani la mostra sarà ad ingresso gratuito su prenotazione da lunedì a domenica, dalle 10:00 alle 20:00.

Pulitzer 2023, doppio premio nella narrativa

Pulitzer pulitzer 2023

 Sono stati assegnati oggi i premi Pulitzer 2023, famosi soprattutto per il giornalismo ma che riguardano anche musica e letteratura. Il premio istituito nel 1917 in onore del giornalista ungherese Joseph Pulitzer, pioniere del giornalismo moderno, viene oggi curato dalla Columbia University di New York e conta 15 categorie (più quelle extra giornalismo).

Tra i media che hanno vinto due premi ci sono Associated Press, Washington Post, New York Times e Los Angeles Times, e quattro premi sono andati a giornali e giornalisti locali.

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Sicuramente l’attesa più grande era per la categoria legata alla narrativa, che dal 1947 ha assunto la dicitura “Fiction”.

Quest’anno la vittoria è andata a Hernan Diaz con il romanzo “Trust” (edito in Italia da Feltrinelli), a parimerito con “Demon Copperhead“, scritto da Barbara Kingsolver (non ancora edito in Italia). Quest’ultimo è una rivisitazione di “David Copperfield”, narrata da un ragazzo degli Appalachi la cui voce saggia e incrollabile racconta i suoi incontri con la povertà, la dipendenza, i fallimenti istituzionali e il collasso morale e i suoi sforzi per superarli.
Quello di Diaz è invece un romanzo avvincente ambientato in un’America ormai passata che esplora la famiglia, la ricchezza e l’ambizione attraverso narrazioni collegate rese in diversi stili letterari, un complesso esame dell’amore e del potere in un paese dove il capitalismo è il re.

Nella categoria “History” a trionfare è “Freedom’s Dominion: A Saga of White Resistance to Federal Power“, di Jefferson Cowie. Un resoconto risonante di una contea dell’Alabama nei secoli XIX e XX plasmata dal colonialismo e dalla schiavitù dei coloni, un ritratto che illustra l’evoluzione della supremazia bianca tracciando potenti connessioni tra ideologie antigovernative e razziste.

Significativo, sempre in tema razzismo, è il Pulitzer assegnato a Robert Samuels and Toluse Olorunnipa per il loro “His Name Is George Floyd: One Man’s Life and the Struggle for Racial Justice“. Un ritratto intimo e avvincente di un uomo comune il cui incontro fatale con gli agenti di polizia nel 2020 ha scatenato un movimento internazionale per il cambiamento sociale, ma la cui umanità e la complicata storia personale erano sconosciute.

Qui di seguito tutti i vincitori del premio Pulitzer 2023 per le più importanti categorie legate al giornalismo:

Public Service – Giornalismo per il bene pubblico
A Mstyslav Chernov, Evgeniy Maloletka, Vasilisa Stepanenko e Lori Hinnant di Associated Press, per il report dalla città di Mariupol, in Ucraina. Questo è il premio più ambito nel giornalismo statunitense.

Breaking News Reporting – Giornalismo di breaking news
Alla redazione del Los Angeles Times” per la rivelazione della conversazione razzista tra funzionari della città.

Investigative Reporting – Giornalismo investigativo
Alla redazione del “Wall Street Journal”, per aver raccontato conflitti d’interessi di natura finanziaria tra importanti funzionari e 50 agenzie federali.

Explanatory Reporting – Giornalismo che spiega le cose
A Caitlin Dickerson dell’Atlantic per il report sull’amministrazione di Donald Trump che separava i genitori dai figli migranti.

International Reporting – Cronaca internazionale
Al New York Times per la «inflessibile copertura” dell’invasione Russa dell’Ucraina, compresa l’inchiesta sugli ucraini uccisi a Bucha dall’esercito russo.

Foto di Jan Kahánek su Unsplash

Roma a Teatro: gli spettacoli dal 9 al 14 maggio

teatro roma quirino

Un seconda settimana ricca di appuntamenti per gli appassionati di teatro, caratterizzata in particolar modo dall’adattamento teatrale di grandi classici cinematografici.

I nostri soliti consigli per non perdersi.

Meno tre, meno due, meno uno…

Da stasera al 14, all’India, “Tre sorelle” di Anton Čechov nella riscrittura firmata nella regia da Claudia Sorace e nella drammaturgia e nel suono da Riccardo Fazi, che trasformano questo classico teatrale senza tempo nell’ennesima occasione per portare avanti la loro ricerca su vita, tempo e paura della morte, che ormai da anni stanno sviluppando con la compagnia romana Muta Imago. Le tre protagoniste saranno Federica Dordei, la pluripremiata Monica Piseddu e Arianna Pozzoli.

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Stesse date alla Sala Umberto per “L’attimo fuggente”, tratto dalla pellicola diretta da Peter Weir e con la sceneggiatura premio Oscar di Tom Schulman. Nel ruolo dell’indimenticabile professor John Keating, ci sarà Luca Bastianello.

Debutto nazionale il 14 per “Le Eroine”, da “Heroides” di Ovidio, con Isabella Ferrari impegnata a restituire il fascino immortale e commovente delle donne nate dalla fantasia dell’autore latino sulle note delle composizioni di Chopin.

Al Sistina, dal 12 al 18, torna a grande richiesta la commedia musicale “Il Marchese del Grillo” diretta da Massimo Romeo Piparo, con Max Giusti nei panni dell’amatissimo e scatenato nobile romano reso immortale dal film di Mario Monicelli.

Due sole date al Quirino, l’11 e il 12, per “L’ombra di Totò” di Emilia Costantini, in cui Yari Gagliucci, Annalisa Favetti e Vera Dragone raccontano la storia del principe della comicità italiana attraverso un’intervista immaginaria con la sua controfigura, Dino Valdi.

Sempre da stasera al 14, al Vittoria, “Meridiani”, uno spettacolo in cui la riflessione sul tema morte, vista sia dal punto di vista di chi sta per lasciare la propria esistenza, sia da quello di chi rimane, dà origine ad una vicenda universale in cui non manca un mood giocoso, comico, in grado di renderla assai godibile. Con Giuseppe Brunetti, Loris De Luna e Chiarastella Sorrentino.

Singolo appuntamento, stasera, al Parioli per “Il movimento del Nulla”, di (insieme a Luca Fois e Massimo Bozza) e con Gene Gnocchi, un irresistibile monologo dal sapore dichiaratamente politico nel quale il celebre comico emiliano mette in scena una divertente parodia della politica di oggi.

Dal 12 al 14, a Lo Spazio, l’originale musical “Processo a Pinocchio”, scritto e diretto da Andrea Palotto in cui l’assassinio di uno psicoterapeuta si trasforma in una sorta di percorso psicanalitico di gruppo che, ripercorrendo eventi e situazioni, porterà all’individuazione del colpevole.

Da stasera e fino all’11 all’OFF/OFF, infine, appuntamento con “Nakba – I nostri occhi sono i nostri nomi” di Enrico Frattaroli (e ispirato da “Testimone oculare – Il libro del figlio” di Muhammad Al Qaysi), un’opera in cui il tema esistenziale si lega a quello sociale e politico attraverso una dolorosa rievocazione del dramma palestinese visto dagli occhi di un bambino costretto a diventare dolorosamente adulto.

Knotfest, per la prima volta in Italia il festival creato dagli Splipknot

Knotfest slipknot

Arriva la conferma che il “Knotfest Italy” si svolgerà all’Arena Parco Nord di Bologna domenica 25 giugno 2023.

Per la prima volta in assoluto, dopo Stati Uniti, Giappone, Messico, Colombia, Francia, Germania, Finlandia, Cile, Brasile e Australia, anche il nostro Paese ospiterà il famoso festival itinerante creato dagli Slipknot nel 2012 e divenuto, nel corso degli anni, uno degli appuntamenti più rilevanti al mondo.

Sul palco, insieme agli headliner Slipknot che suoneranno per ultimi alle 21:30 , ci saranno anche i Destrage che apriranno l’evento alle 12, seguiti poi dai Bleed From Within e Nothing More. Nel pomeriggio sarà il turno, in sequenza, i Lorna Shore, Prevail, Amon Amarth e Architetcts che per più di un’ora bombarderanno il pubblico in attesa degli attesi fondatori del festival.

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I biglietti sono in vendita su Knotfest.com/Italy e Ticketone.
Sono disponibili anche VIP Package che comprendono entrata dedicata, parcheggio privato, accesso al Gold Circle, ingresso al Knotfest Museum, free drink, merchandise dedicato e molto altro.

Sarà presente anche il famoso Knotfest Museum, elemento fondamentale che contraddistingue il festival e che raccoglie al proprio interno molti oggetti che raccontano la storia degli Slipknot dagli esordi ai giorni nostri.
Per entrarvi sarà necessario possedere il biglietto d’ingresso a Knotfest Italy e acquistare anche il biglietto dedicato all’accesso al museo disponibile al prezzo di 20€ in prevendita su Ticketone, selezionando l’orario preferito di accesso.

Sarà Radiofreccia la radio ufficiale dell’evento.

La storia del festival è chiara. Un carnevale molto meno colorato. In pieno stile Slipknot. Gli stessi anni fa descrissero così l’intento dell’evento: «infestare il vostro cervello, il vostro corpo e i vostri abiti per giorni anche dopo il festival».

“Il Marchese del Grillo” di Max Giusti torna al Sistina

Marchese del Grillo max giusti

Dopo il grande successo di pubblico e critica e i ripetuti sold out, al Teatro Sistina torna a grande richiesta “Il Marchese del Grillo”, per la regia di Massimo Romeo Piparo. Con il travolgente talento di Max Giusti, lo spettacolo che ha inaugurato la stagione del Sistina lo scorso ottobre, sarà ancora in scena da venerdì 12 e fino a domenica 28 maggio. La commedia musicale tratta dalla sceneggiatura del film cult di Mario Monicelli, con il nuovo adattamento scritto da Massimo Romeo Piparo e Gianni Clementi, è un mix vincente di ironia e sarcasmo, con le musiche originali composte da Emanuele Friello, le coreografie di Roberto Croce, le ricche scenografie di Teresa Caruso e con un grande cast di oltre 30 artisti.

“Sono orgoglioso di far parte di questo straordinario allestimento di Massimo Romeo Piparo e sono orgoglioso di essere romano, un romano che ama il mondo, che ama viverlo e che ama scoprirlo”, ha dichiarato Max Giusti. “Interpretare il Marchese Onofrio del Grillo nella mia città, al Teatro Sistina, è una sensazione intensa e bellissima, è’ come sentirsi avvolti dentro un mantello fatto di Roma, delle nostre piazze, dei nostri vicoli, della nostra gente”.

Un omaggio a Roma e alla romanità, nonché alla tradizione gloriosa della commedia all’italiana che riporta sulla scena e all’affetto del pubblico uno dei personaggi più amati e radicati nella storia della Città Eterna: il Marchese Onofrio del Grillo, nobile carismatico, irrimediabilmente ozioso e dispettoso, impudico e sfrontato, farà sorridere e riflettere con la sua maschera dolce amara.

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Lo spettacolo, tratto dal celebre film del 1981 con Alberto Sordi, campione di incassi e di risate, narra la vicenda -ispirata a una figura storica realmente esistita- che riporta indietro nel tempo alla Roma degli inizi del XIX secolo, facendo immergere lo spettatore nel fascino della Città Eterna. Qui vive il Marchese Onofrio del Grillo, nobile carismatico, irrimediabilmente ozioso e dispettoso, impudico e sfrontato, che farà sorridere e riflettere con la sua maschera dolce amara.

Il Marchese del Grillo, si legge tra le note del regista, illumina Roma in un momento molto particolare della propria storia contemporanea. La schietta filosofia di vita di Onofrio del Grillo pervade l’intera Commedia di rimandi attualissimi e tremendamente affini con la realtà a cui tutti i romani devono quotidianamente fare fronte: Giustizia corrotta, una Chiesa in bilico tra il debole potere spirituale e il più ammaliante potere temporale, il tremendo dilemma dell’essere e dell’apparire, il dramma dei più poveri contrapposto al cinismo dei potenti; tutti argomenti che sembrerebbero fotografare l’attuale sistema-Italia e ancor più l’inesorabile declino di Roma Capitale, ma che invece sono scaturiti quasi mezzo secolo addietro dalla felice intuizione di grandi Maestri della Commedia italiana della seconda metà del ‘900.

Il Marchese del Grillo, quindi, si appresta a diventare lo spettacolo giusto al momento giusto e nel luogo giusto; travolgerà il pubblico con fragorose risate e amare riflessioni in un perfetto mix tragicomico scandito da battute e aforismi indimenticabili.

Rai, si dimette l’ad Carlo Fuortes

Fuortes rai

Terremoto in casa Rai. L’amministratore delegato Carlo Fuortes rassegna le dimissioni. Alla base divergenze interne e mancanza di condizioni per andare avanti.

Nella comunicazione data al ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti si leggono chiaramente le motivazioni: “Da decenni lavoro nell’amministrazione pubblica e ho sempre agito nell’interesse delle istituzioni che ho guidato, privilegiando il beneficio generale della collettività rispetto a convenienze di parte. Prendo dunque atto che non ci sono più le condizioni per proseguire il mio lavoro di amministratore delegato”.

“Nel primo anno di lavoro del nuovo Consiglio di amministrazione con il governo Draghi – commenta Fuortes – il Cda ha raggiunto grandi risultati per l’Azienda. Per citarne solo alcuni: nuovi programmi e palinsesti che hanno portato tra l’altro a un evidente rilancio di Rai2, la trasformazione organizzativa per Generi, un Piano immobiliare strategico che si attendeva da decenni, un rilevante potenziamento di RaiPlay e dell’offerta digitale”.

Alla base sembrano esserci soprattutto problemi legati a diverse visioni politiche oltre che dirigenziali.

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“Dall’inizio del 2023 sulla carica da me ricoperta e sulla mia persona si è aperto uno scontro politico che contribuisce a indebolire la Rai e il Servizio pubblico – continua pesantemente l’ex ad – Allo stesso tempo ho registrato all’interno del Consiglio di amministrazione della Rai il venir meno dell’atteggiamento costruttivo che lo aveva caratterizzato, indispensabile alla gestione della prima azienda culturale italiana. Ciò minaccia di fatto di paralizzarla, non mettendola in grado di rispondere agli obblighi e alle scadenze della programmazione aziendale con il rischio di rendere impossibile affrontare le grandi sfide del futuro della Rai. Il Consiglio di Amministrazione deve deliberare, nelle prossime settimane, i programmi dei nuovi palinsesti ed è un dato di fatto che non ci sono più le condizioni per proseguire nel progetto editoriale di rinnovamento che avevamo intrapreso nel 2021”.

Fuortes ha poi concluso il comunicato, che a molti è parso più un moderno “J’accuse”, con: “Non posso, pur di arrivare all’approvazione in Cda dei nuovi piani di produzione, accettare il compromesso di condividere cambiamenti – sebbene ovviamente legittimi – di linea editoriale e una programmazione che non considero nell’interesse della Rai. Ho sempre ritenuto la libertà delle scelte e dell’operato di un amministratore un elemento imprescindibile dell’etica di un’azienda pubblica. Il mio futuro professionale – di cui si è molto discusso sui giornali in questi giorni, non sempre a proposito – è di nessuna importanza di fronte a queste ragioni e non può costituire oggetto di trattativa. Prendo dunque atto che non ci sono più le condizioni per proseguire il mio lavoro di amministratore delegato”.

Insomma in Rai si preannunciano giorni caldi e soprattutto il primo grande cambiamento dovuto a divergenze pubbliche che dovrà affrontare il nuovo governo da quando si è insediato.

Baglioni al cinema il 15-16-17 maggio con “Tutti su!”

Foto Roberto Paolucci

“Quello di tentare una forma espressiva dal vivo mettendo insieme più discipline, già vagheggiata da Richard Wagner, è un percorso che ho iniziato più di trenta anni fa, tra l’89 e il ’90 Non è una dimostrazione di potenza, ma di potere: di potere fare qualcosa. Un racconto multidisciplinare per suscitare emozioni in chi guarda, perché noi artisti siamo venditori ambulanti di suggestioni”.

Claudio Baglioni racconta così “Tutti su! Buon compleanno Claudio”, la trasposizione cinematografica dei dodici live Dodici Note – Tutti Su! che la scorsa estate sono andati in scena alle Terme di Caracalla a Roma.

Tutti su!, prodotto da Friends & Partners insieme con Come srl, in collaborazione con il Teatro dell’Opera di Rome e distribuito da Medusa Film, è “un invito ad alzarsi, ritrovare il meglio di noi stessi e riprendere in mano la nostra vita” ed esce in sala il 15, 16 e 17 maggio, in concomitanza con il 72esimo compleanno del cantautore.

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PROGRAMMA-SCALETTA

ouverture TUTTI SU

IO SONO QUI
DODICI NOTE
ACQUA DALLA LUNA
UN PO’ DI PIÙ
COME TI DIRÒ
QUANTE VOLTE
MAL D’AMORE
E ADESSO LA PUBBLICITÀ
IO ME NE ANDREI
CON TUTTO L’AMORE CHE POSSO
QUANTO TI VOGLIO
FAMMI ANDAR VIA
W L’INGHILTERRA
POSTER
NOI NO
BUONA FORTUNA
STRADA FACENDO
AVRAI
MILLE GIORNI DI TE E DI ME
VIA
LA VITA È ADESSO
QUESTO PICCOLO GRANDE AMORE
AMORE BELLO
E TU
SABATO POMERIGGIO
E TU COME STAI

“Hanno pensato di farmi un regalo con questo titolo, io avrei preferito qualcosa di più solido, magari un cartone di vino”, scherza Baglioni, che dice di aver sempre “invidiato il cinema come sommatoria di varie cose: dentro ha tutte le possibilità di far funzionare sensi e sentimenti. Ha la capacità di condensare in un’unica espressione tutte le altre arti”. Il cinema però è solo il passaggio per il prossimo live: a settembre Baglioni torna dal vivo con “aTuttoCuore”, 14 appuntamenti pensati a tre dimensioni spaziali (orizzontalità, verticalità, profondità).

Sei date al Centrale del Foro Italico a Roma (21-22-23 e 28-29-30 settembre), 3 all’Arena di Verona (5-6-7 ottobre), 3 al Velodromo Paolo Borsellino di Palermo (12-13-14 ottobre) e 2 all’Arena della Vittoria di Bari (20-21 ottobre). “Perché non gli stadi? Stiamo lavorando per tornarci, ma in realtà è l’ultimo posto dover fare un concerto – spiega -. Parliamo di un luogo per un rito collettivo. Lo stadio stesso chiama, più del nome in cartellone a volte e ha rivitalizzato il mondo dei live. Ma lì nessuno ascolta e vede veramente bene. Ci sono tanti elementi di disturbo. Ci tornerò, ma dando un’esperienza di fruizione ottimale per tutti”.

Paura e preghiere per Jamie Foxx: ricoverato da 3 settimane per un male misterioso

Jamie Foxx hollywood

Dopo l’annuncio della figlia Corinne riguardo il ricovero di Jamie Foxx per complicazioni mediche, l’attore rassicura i fans dopo settimane di silenzio. Arriva infatti il primo post social da quando è in ospedale.

Su Instagram ha infatti scritto “Apprezzo tutto il vostro affetto. Mi sento benedetto”. Nei giorni scorsi, infatti, la famiglia aveva invitato il suo pubblico a pregare per lui in quanto le condizioni non miglioravano. Più di 3 settimane di ricovero in cui non trapelava alcuna notizia se non indiscrezioni tramite il sito “TMZ”.

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La star hollywoodiana prima del ricovero, di cui non si sanno ancora le cause, era impegnato nelle riprese di un film con Cameron Diaz. Nel frattempo era stata diramata anche la notizia che sarebbe stato sostituito da Nick Cannon nella conduzione del game show musicale “Beat Shazam” nella sesta edizione.

A tal proposito lo stesso Foxx aveva commentato di apprezzare la scelta salutando il collega con un post in cui scriveva “ci vediamo presto”.

Cannon si era detto riluttante a dare la notizia e a parlarne ma lo aveva fatto con la benedizione dell’ormai ex conduttore.

Da quando è stata pubblicata la notizia del ricovero di uno dei più prolifici attori di Hollywood sono arrivati tantissimi attestati di stima, di vicinanza e preghiere. Come ad esempio LeBron James che ha twittato “invio i miei pensieri e le mie preghiere al cielo per mio fratello Jamie Foxx”. Ma anche DJ Khaled, AJ McClean e Ludacris hanno risposto presente all’appello della famiglia di Foxx di pregare per lui.

Riparte il viaggio musicale di LazioSound tra nuove eccellenze del territorio e grandi nomi della scena italiana

Programma diffuso che si snoda per dodici mesi lungo l’intero territorio regionale – valorizzandone risorse e creatività nel segno della musica: anche per il 2023 LazioSound Scouting torna con una staffetta di appuntamenti che vedrà protagoniste le eccellenze musicali del Lazio, votate dal pubblico e intercettate da direzione e comitato artistico nel primo trimestre di questo anno, affiancate da grandi nomi della scena italiana e non solo.

LazioSound 2023 apre come sempre la sua fitta programmazione live con le finali che, a partire dal 6 maggio, saranno non solo occasione per conoscere dal vivo queste eccellenze musicali, ma anche per ascoltare in una serie di happening musicali alcuni tra gli artisti più interessanti della scena italiana: Galeffi, Gianni Bismark, Danilo Rea, Adriano Viterbini, il quintetto vocale Occhi chiusi in Mare aperto, Erica Piccotti e Capofortuna. Saranno loro, infatti, le guest che accompagneranno sul palco i finalisti di LazioSound Scouting 2023, per decretare i vincitori della quarta edizione.

Ogni serata – a ingresso gratuito – si concluderà con un vincitore, individuato dal voto del comitato e direzione artistica, ma anche del pubblico presente che potrà esprimere un giudizio. Sei le categorie coinvolte: Jazzology (per Jazz, Swing, Nusoul, Funk, Soul, Fusion, Progressive, groove, interplay, fraseggio, genio e sperimentazione), Urban Icon (Rap, Trap, R&B: artisti dalla penna veloce e dalle rime taglienti), Songwriting Heroes (Cantautorato, Indie, Pop, Rock, Metal, Folk, Reggae), I Love Mozart (Classica, Composizione Contemporanea e Strumentale), God is a Producer (Elettronica, dance, EDM, techno e tutta la musica che riempie i sound system dei club) e Borderless (dove a farla da padrona è la libertà creativa a 360°).

Con le finali di LazioSound 2023 si parte il 6 maggio dal Sottoscala9 di Latina con l’esibizione dei finalisti della sezione Songwriting Heroes assieme a Galeffi, cantautore che negli ultimi anni ha confezionato alcuni tra i successi più ascoltati in radio e sulle piattaforme streaming. Si prosegue il giorno dopo, il 7 maggio a Rieti, al Be’er Sheva, per la finale della categoria Urban Icon con un altro nome d’eccellenza, il rapper Gianni Bismark.

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Il 14 maggio a Frosinone, presso il Conservatorio Licinio Orefice, sarà la volta della serata Jazzology in cui il jazz e tutte le sue anime, si incontreranno sul palco ciociaro con una guest d’eccezione: Danilo Rea è uno dei pianisti più acclamati della scena italiana e internazionale.

Il 20 maggio appuntamento a Colleferro con la categoria Borderless, sezione speciale di LazioSound che unisce e fa incontrare la creatività musicale a 360 gradi. Per l’occasione è prevista la guest di Adriano Viterbini – eclettico chitarrista, cantante e compositore attivo sulla scena da oltre 20 anni, dai Bud Spencer Blues Explosion a tantissime altre collaborazioni – accompagnato dal quintetto vocale Occhi Chiusi In Mare Aperto per una serata speciale che andrà ad accogliere sul palco le diverse anime musicali e la creatività sonora più originale del Lazio.

Il giorno successivo, 21 maggio si passa in Tuscia, al Teatro dell’Unione di Viterbo, dove, per la categoria dedicata alla classica I Love Mozart, si esibirà come guest Erica Piccotti, astro nascente ma anche affermata violoncellista, reduce e vincitrice di LazioSound 2022 in duo con Gian Marco Ciampa nella categoria dedicata alla musica classica. L’ultimo appuntamento con la finale sarà il 25 maggio all’Alcazar di Roma e vedrà protagonista la musica elettronica con God is Producer. L’appuntamento romano chiude la prima tranche ricca di musica di LazioSound 2023 con i Capofortuna come guest.

A ognuna delle sei categorie corrisponde una giuria d’eccezione: Mario Ciampà (Direttore Artistico di Jazz Festival, partner di progetto di uno dei Festival più importanti della Capitale) e Serena Brancale (cantante, Jazz e docente) sono giuria di Jazzology; Danno (icona dell’Hip Hop italiano, mc de Colle der Fomento) e Cristiana Lapresa (Artist Promotion Warner Music Italy) di Urban Icon, Galeffi (cantautore tra i più in voga della scena indie), Marta Venturini (produttrice, autrice e label manager) per la categoria Songwriting Heroes; Enrico Dindo (violoncellista di fama internazionale e Direttore Artistico dell’Accademia Filarmonica Romana) e Silvia Colasanti (compositrice) di I Love Mozart, Andrea Esu (Direttore Artistico Spring Attitude e manager) ed Elena Colomba (Producer internazionale) di God Is a Producer; Adriano Viterbini (chitarrista e cantante), Patrizia Rotonda (cantante e docente), La Direzione Under 25 di Dominio Pubblico (Festival partner LazioSound) di Borderless, Davide Dose, direttore artistico di LazioSound Scouting 2023, Dunia Molina, cantautrice e Martina Martorano, consulente musicale e conduttrice radio e tv.

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In palio ci sono percorsi professionali di primo livello che si svolgono attraverso programmi e risorse dedicate alla promozione, alla produzione, alla consulenza manageriale e alla formazione, ma anche a favore della internazionalizzazione e l’organizzazione di live. Per il supporto all’internazionalizzazione è prevista anche la partecipazione a dei Festival internazionali quali il Primavera Sound per la categoria God is a Producer, lo Sziget Festival in Ungheria, tra i più importanti del mondo e per i vincitori delle categorie Songwriting Heroes e Urban Icon, il XIII Festival Internazionale di musica Le strade d’Europa in Lituania per il vincitore della categoria I love Mozart, e infine il celebre 57° Donostiako Jazzaldia a San Sebastián (Spagna) per la categoria Jazzology.

LazioSound è il programma delle Politiche Giovanili della Regione Lazio per supportare e rafforzare lo sviluppo del sistema musicale del Lazio attraverso strumenti economici, interventi mirati, partnership e attività di promozione finalizzate a sostenere le componenti artistiche giovanili indipendenti.

Il Museo Diocesano di Napoli accoglie la prima monografica partenopea su Artemisia Gentileschi

Fino al 3 luglio 2023 il Museo Diocesano nel Complesso Monumentale Donnaregina a Napoli accoglie “Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli”, prima monografica partenopea a essere incentrata sulla vita, la formazione e la carriera dell’artista in tutti i suoi aspetti.

Artemisia tra Roma Firenze e Napoli

Artemisia Gentileschi è senza dubbio una delle artiste più conosciute al mondo: eccellente seguace dell’arte caravaggesca, punto di riferimento per l’arte meridionale del XVII secolo, simbolo universale di emancipazione femminile. Numerose sono state le mostre monografiche a lei dedicate in tutto il mondo, da Firenze (1991) a Roma, New York e Saint-Louis (2001), Milano (2011), Parigi (2012), Roma (2016) sino a Londra (2020).

Mancava Napoli. Proprio la città in cui la geniale pittrice decise di trasferirsi stabilmente, trascorrendo lì gli ultimi sedici anni della sua vita. Nel mese di dicembre 2022, gli stessi aulici spazi del Museo Diocesano avevano accolto le opere partenopee dell’artista, senza però soffermarsi sui suoi sorprendenti esordi romani e sul fondamentale soggiorno fiorentino. Proprio per colmare questa grande lacuna nasce la mostra “Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli”, che si avvale della collaborazione di illustri collezioni private e di prestigiosi enti museali tra cui il Museo di Capodimonte a Napoli, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti e gli Uffizi a Firenze.

Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni (1610), Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden. Public domain via Wikimedia Commons.

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Una mostra divisa in quattro sezioni

Il percorso espositivo, a cura di Pierluigi Leone De Castris, docente dell’Università Suor Orsola Benincasa, è suddiviso in quattro sezioni: La giovinezza, la formazione con Orazio e i primi successi (1593-1620); Autoritratti, Giuditte e altre eroine; Gli anni della maturità (1620-1654) e Artemisia a Napoli (1630-1654).

Il curatore ha scelto di raccontare la storia di Artemisia Gentileschi partendo dai suoi primi lavori mettendoli in dialogo con alcune opere del padre, il noto pittore toscano Orazio Lomi Gentileschi, a capo di una fiorente bottega di artisti caravaggeschi nella Capitale. Sin dall’età di 17 anni Artemisia dimostra un grande talento, come evidenzia la celebre tela Susanna e i vecchioni, realizzata nel 1610.

Proseguendo nell’iter espositivo lo spettatore si imbatte in molteplici versioni dell’eroina biblica Giuditta; la prima versione conservata nel Museo di Capodimonte a Napoli e le successive custodite rispettivamente nella Galleria Palatina e nella Galleria degli Uffizi a Firenze, le quali rappresentano trasposizioni dettagliate, innovative ed energiche del soggetto tanto caro a Caravaggio.

Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613), Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli. Public domain via Wikimedia Commons.

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Gli anni della maturità

Gli anni della maturità coincidono sostanzialmente con il periodo che Artemisia trascorse a Firenze. In città la pittrice riceve committenze importanti e stringe amicizie influenti come quelle con Michelangelo Buonarroti il Giovane (nipote di Michelangelo) e Galileo Galilei. Sotto l’influenza dello scienziato dipinge quadri come Aurora e Inclinazione. Nel capoluogo fiorentino impara a leggere e a scrivere e nel 1616 risulta la prima donna ad essere ammessa nella prestigiosa Accademia del Disegno.

Ad emblema di quei prestigiosi anni, in mostra è presente La conversione della Maddalena (1515 – 1516), gentilmente concessa dalla Galleria Palatina di Palazzo Pitti, un vero e proprio capolavoro. Il viso della santa, incorniciato da boccoli un po’ disordinati, appare mesto e lo sguardo sembra ancora esitante prima di rivolgersi verso il cielo. L’impostazione del quadro, con la figura che emerge da uno sfondo buio è decisamente caravaggesca; a differenza delle prorompenti donne di Caravaggio, qui la Maddalena si presenta con fattezze e movenze aristocratiche. A risaltare la sinuosa figura anche il raffinato ricamo dello schienale, al cui lato spicca la firma dell’autrice.

Artemisia Gentileschi, La conversione della Maddalena (1615-1616), Galleria Palatina di Palazzo Pitti, Firenze. Public domain via Wikimedia Commons.

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Il rapporto con Napoli

L’ultima sezione della mostra illustra il periodo napoletano, un soggiorno durato ben 24 anni, dal 1629 sino alla morte avvenuta nel 1643. Ad eccezione di una breve trasferta a Londra per raggiungere il padre, Artemisia sceglie volontariamente di traferirsi a Napoli, affascinata dai colori e dai fermenti culturali della città.

La produzione di questi anni è vasta e comprende pale d’altare e quadri sacri come le tele di Pozzuoli e l’Annunciazione (1630) del Museo di Capodimonte. Artemisia, come si evince dai documenti, stringe fecondi rapporti con noti artisti del posto tra i quali il celebre Massimo Stanzione, Paolo Finoglio, Francesco Guarino, Onofrio Palumbo, Bernardo Cavallino, Andrea Vaccaro, Titta Colimodio, Giuseppe Di Franco, Viviano Codazzi.

Oltre alla celebre Annunciazione, quest’ultima parte del percorso è arricchita anche da piccoli dipinti su lavagna, mai esposti prima nella città partenopea.

La visita alla mostra è compresa nel prezzo del biglietto di ingresso al Complesso Monumentale Donnaregina. Per informazioni e prenotazioni è possibile collegarsi al sito web www.museodiocesanonapoli.com .

Artemisia Gentileschi, Annunciazione (1630), Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli. Public domain via Wikimedia Commons.

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Aspettando Bussinjazz. Cena concerto in ricordo di Mario Bucci

Una straordinaria iniziativa dall’evidente valore culturale e musicale ha avuto luogo nel ristorante Collerotondo di Ofena (L’Aquila). L’evento, organizzato dai componenti dell’associazione “Bussinjazz- Mario Bucci”, da poco costituita, ha consentito di far conoscere le finalità e il programma dei concerti che si terranno a Bussi sul Tirino (Pescara) nel prossimo mese di luglio. Una serata speciale, all’insegna dell’amicizia che ha visto coinvolte numerose persone provenienti da ogni parte dell’Abruzzo e riunite in ricordo di Mario Bucci, musicista e grande appassionato di jazz, prematuramente scomparso.

Bussiinjazz è una manifestazione nata nel 1986 che si è protratta nel corso degli anni attraverso la partecipazione di illustri musicisti di livello nazionale e internazionale, come: Al Di Meola, Irio De Paula, Tony Scott, Tullio De Piscopo, Danilo Rea, Carl Porter, Miroslav Vitous, Nunzio Rotondo, Massimo Urbani, Nicola Stilo, Michele e Giampaolo Ascolese, Enzo Pietropaoli, Max Ionata e molti altri. Durante l’evento si è esibito il gruppo “Jazz about quintet” composto dai musicisti, Carmine Ianieri, Gianni Ferreri, William Di Mauro, Nicola Di Camillo, Bruno Marcozzi.

Impossibile non sottolineare ciò che sono stati in grado di suscitare, ovvero, un’espressione autentica della cultura dell’uomo attraverso le sonorità musicali e, in certi passaggi, il richiamo alle origini dei suoni che sono capaci di esercitare particolare fascino in chi li ascolta. Il jazz ha sempre qualcosa di profondo in sé, una continua conversazione musicale che spegne gli stereotipi di dialoghi precostituiti e che produce continue e inaspettate improvvisazioni e creatività. La manifestazione dell’associazione “Bussinjazz-Mario Bucci”, ha originato infinite suggestioni, ha riproposto il jazz con i suoi accenti, i suoi accordi, i suoi fraseggi, ed evidenziando la sua riconoscibilità, ha riaffermato che il jazz non è mai uguale e se stesso.

La bellezza del jazz consiste anche in questo: renderci uguali nelle nostre diversità- Anche in questa occasione, la musica ha saputo imporre il suo primato di linguaggio universale, la musica che ha il potere di non dissolversi nel tempo, di abbattere i confini dell’indifferenza e di custodire i ricordi. Nella nostra memoria resterà impresso il ricordo di Mario, per ciò che è riuscito e dire, a suonare, a insegnare con il suo infinito e indelebile amore per la musica. E ora, non ci resta che attendere il 29-30 e 31 luglio, per una nuova serie di concerti a Bussi sul Tirino, con la direzione artistica di Carmine Bucci “Cocò”, altro grande conoscitore e promotore della cultura jazz.

di Francesco Barone

Roger Waters saluta l’Italia con uno shot di Mezcal – Live report da Bologna

Erano passati cinque anni dall’ultima volta a Bologna. Sul palco, tra i ricordi diluiti in un bicchiere di Mezcal, trovano posto aneddoti personali, riflessioni, versi spontanei che sanno trascendere. Immagini che scorrono sui maxi-schermi al centro dell’Unipol Arena. Parole che si rincorrono. Ma soprattutto un’impronta musicale che ti resta dentro.  

Questo è – ed è stato per l’Italia – “This Is Not A Drill – His First Farewell Tour” di Roger Waters, primo (e forse unico) tour di addio. Uno spettacolo dove trovano spazio effetti scenici, esplosioni di luci, raggi laser e immagini forti e accusatorie, insieme a una pecora gigante e alla riproduzione del maiale “Angie”, gonfiabili che volano radiocomandati da una parte all’altra dell’Arena, quasi a creare un effetto immersivo.

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Tecnologia e denuncia sociale sin dalle primissime battute, in cui il musicista si dice soddisfatto del pronunciamento del tribunale di Francoforte sullo spettacolo del 28 maggio (per mesi a rischio di cancellazione). “Roger Waters non è un antisemita”, le parole staccano sullo schermo mentre il co-fondatore dei Pink Floyd ci tiene a ribadire che “antisemita non lo è mai stato” e che “non serve una corte per ribadirlo”. La diatriba era nata con le scene di apertura della seconda parte del concerto coi brani In The Flesh e Run Like Hell, con Waters che indossa vesti da gerarca nazista. “L’uso di costumi che fanno la parodia del Terzo Reich tedesco”, ha stabilito il tribunale di Francoforte è “un uso accettabile della licenza artistica per avvertirci tutti dei pericoli dell’attuale rinascita del fascismo in Occidente”. Una sentenza, quindi, che ha sottolineato la libertà dell’arte; anzi, ne ha riconosciuto la funzione politica e sociale.

Di qui l’incipit del concerto, quasi un mantra ormai: “Se sei una di quelle persone che ama i Pink Floyd ma che ‘non apprezza le idee politiche di Roger’ puoi andare a quel paese al bar già da adesso”. Ma quella del bar non è necessariamente una provocazione, anzi torna più volte come invito al confronto, allo scambio di idee. Del resto, il concerto è pieno di messaggi e riferimenti politici. Come quando sugli schermi che formano un muro a croce sul palco si leggono  parole tipo ‘propaganda, fake news’ o accuse contro i “potenti” del mondo, contro le discriminazioni agli afroamericani, con annesso riferimento a George Floyd, o contro le violenze sulle donne in Iran e a difesa della Palestina, dello Yemen e dei diritti civili delle minoranze, anche indigene. I messaggi più duri, però, sono riservati a vari presidenti degli Stati Uniti come Ronald Reagan, Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden, tutti tacciati di essere “criminali di guerra”, con tanto di stima di vittime a carico di ciascun mandato, fatta eccezione per Biden “che è solo all’inizio”.

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La canzone di esordio è Comfortably Numb in una versione intima e decadente, priva degli assoli di chitarra, sostituiti da urla e rumori. La distopia delle immagini accompagna urla e rumori. Dagli schermi di telefonini, guardati compulsivamente, alle vertigini del volo sui grattacieli, l’atmosfera è cupa e compressa.  Quindi, un po’ di energia con The Happiest Days of Our Lives e Another Brick in the Wall (parti 2 e 3) prima di The Powers that Be e The Bravery of Being Out of  Range, entrambi scritti da solista.  Si arriva dunque al momento di The Bar, brano inedito al pianoforte su cui sono adagiate una bottiglia d’acqua e una di Mezcal. La canzone avrà una ripresa anche sul finale.

Una parte del set è legata alla figura di Syd Barret alla guida del gruppo dal 1965 al 1968. Dopo Have a Cigar si entra nel mood con Wish You Where Here e Shine on You Crazy Diamod (parti VI-VII e chiusura con la V). “Quando perdi una persona davvero”, dice, “ti accorgi che non è un’esercitazione”. Una curiosità: sugli schermi scorrono tante vecchie immagini dei Pink Floyd ma è ben difficile intravedere David Gilmour.

Con Sheep si torna nelle atmosfere distopiche che introducono ai temi ricorrenti, come la morte, la guerra e la distruzione, così come la critica alle politiche militari, in particolare quelle degli Stati Uniti. Dunque l’intervallo come in un film. Waters, d’altra parte, non ha mai nascosto il suo amore per il cinema, a partire da Ladri di Biciclette di Vittorio De Sica. Il ritorno sul palco è nuovamente affidato ai brani e concetti di The Wall con Roger Waters vestito in pelle e occhiali da sole nelle vesti di un sanguinario dittatore che spara verso la folla. Sono quelle di In the Flesh e Run Like Hell oggetto di contestazione in Germania. Tweet, hashtag, slogan che invitano a “resistere”, al capitalismo, al fascismo, al militarismo, alla guerra”.

E c’è spazio anche per dedicare una canzone all’attivista Julian Assange, co-fondatore di WikiLeaks mentre dentro e fuori l’Unipol Arena circolano volantini di sensibilizzazione introdotti dagli hashtag #FreeAssangeNow #DropTheCharges, in cui si chiede anche la non estradizione verso gli Usa. Anche l’uscita del maiale drone supporta questa lettura dichiaratamente distopica con tanto di omaggio a George Orwell e Aldous Huxley.

Così Déjà Vu e l’inquietante Is this the Life we Really Want? che precedono un omaggio alla seconda parte di The Dark Side of the Moon, da Money a Us a Eclipes, passando per Us and Them, Any Color You Like e Brain Damage. Prima di congedarsi c’è tempo per Two Suns in the Sunset (da The Final Cut), con parole e animazioni di denuncia e riflessione sui pericoli del disastro di una guerra nucleare.

Waters evoca l’Orologio dell’apocalisse (Doomsday Clock), concepito nel 1947 come orologio metaforico che misura il pericolo di un’ipotetica fine del mondo a cui l’umanità è sottoposta: la mezzanotte simboleggia la fine del mondo mentre i minuti precedenti rappresentano la distanza ipotetica da tale evento.

Originariamente la mezzanotte rappresentava unicamente la guerra atomica, mentre dal 2007 considera qualsiasi evento che può infliggere danni irrevocabili all’umanità (come ad esempio i cambiamenti climatici). Al momento della sua creazione – durante la guerra fredda – l’orologio fu impostato alle ore 23:53, sette minuti prima della mezzanotte; da allora, le lancette sono state spostate 23 volte. La massima vicinanza alla mezzanotte è stata raggiunta nel 2023, con appena 90 secondi. La massima lontananza è stata di 17 minuti, tra il 1991 e il 1995.

Di qui, l’invito ai governanti a favorire il disarmo nucleare, in quanto ogni conflitto di qualsiasi portata avrebbe conseguenze potenzialmente fatali per tutto il genere umano. Il musicista 79enne chiama in fa un appello a Giorgia Meloni (scherzando la chiama “Melons – frutto”). Nessuna critica, le chiede solo di mediare tra le superpotenze. L’invito al bar è per tutti “con i soldi degli armamenti sosterremo gli ospedali calaresi, scuole, oppure ci prenderemo un gin tonic”.

E la serata finisce con uno shot di Mezcal con i componenti della band, in un pensiero rivolto a Bob Dylan, a sua moglie Kamilah e a Mohamed, ucciso a soli 14 anni. Dunque il toccante omaggio al fratello maggiore scomparso lo scorso anno, in una foto di famiglia del ’43 insieme a mamma e papà.

Noyz Narcos, “Virus” si tinge di rosso

Noyz noyz narcos

Come anticipato ieri tramite i suoi canali social, Noyz Narcos torna a gamba tesa. Il rapper romano puntella il suo ultimo album “Virus” con due brani.

Una deluxe vecchio stile, spartana, forte come solo doppia N riesce a fare.

Traphouse” con Massimo Pericolo, base di Sine, è un inno alla storia di Noyz. O meglio, le barre dell’artista cresciuto a Monte Sacro mettono nell’ombra quello che da molti è considerato il suo erede.

Già nelle prime frasi Narcos Rap non ci gira intorno. Dritto al sodo. Parla di droghe, soldi, vita di strada. E di quello che ne comporta. Il passato torna sempre a galla.

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La seconda traccia, “Teh Major”, prod. TY1, estrae “Never felt this way” di Troyboi, rispolvera “We Major” di Kanye e nonché Guè tra piano e bassi drill. Tutto in forma più truce.

Parole che richiamano il passato a Monte Sacro di Noyz. Quello che ha fatto negli anni. Come viene considerato. Insomma la vita del nuovo sindaco di Roma per i “pischelli” romani.

Insomma “Virus” non finisce di diffondersi. Viene puntellato a mestiere da quello che è forse il portabandiera del rap italiano. Nonostante passino gli anni, i brani e gli album Noyz continua a produrre mine.

Chieti, tutto pronto per la mostra di Pierluca Cetera

Chieti pierluca cetera

Dal 2 maggio al 3 giugno si terrà presso il Museo “Costantino Barbella” di Chieti la prima nazionale della mostra “Sirene” dell’Artista Pierluca Cetera, catalogo a cura di Massimo Pamio, patrocinata dall’Amministrazione Comunale di Chieti, dall’Assessorato alla Cultura e dalla Direzione del Museo Barbella, nell’ambito del Maggio Teatino. Sarà esposta la più recente produzione del docente dell’Accademia delle Belle arti di Bari, che reinterpreta ed attualizza il mito delle sirene, raffigurando nudi con occhi lenticolari di giovani adolescenti colte nella fase di passaggio verso la giovinezza. Letture dell’attrice Antonella De Collibus, intermezzi musicali dei Moonflowers, (Loris Mantini, tastiere, Giulia Martino, voce, Tommaso D’Onofrio, violino, Thomas D’Emilio, basso, Matteo Basciano, percussioni, Fabio Di Francescantonio, chitarra), saluti istituzionali del Sindaco Diego Ferrara e del Vicesindaco Paolo De Cesare.

Che cosa hanno rivelato le Sirene a Pierluca Cetera, per quale motivo il pittore pugliese si è misurato nella composizione di dipinti ad olio su lastra di ferro dal cui fondo nero e avvolgente emergono figure mitologiche riproposte in sembianza di corpi gemmati d’innumerevoli occhi magicamente versatili?

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Si tratta di un sequestro di corpi, trasferiti senza la loro volontà in uno spazio da cui è possibile osservarli attraverso uno schermo che impedisce loro di fare altrettanto. È questo il motivo che ne chiarirebbe il loro rapimento quasi estatico, il loro disinteresse per l’osservatore?

Quel che immediatamente colpisce di questi corpi è la loro fattura di lemuri, di fantasmi, che li carica di un apparire labile e misterioso e ne suggerisce la provenienza mitologica, esoterica, l’appartenenza a visioni sfuggite agli esercizi di un medium o di un negromante.

Probabilmente, l’artista è un alchimista. Egli scava il piano con la tecnica chiaroscurale del bitume. Prevede, prefigura, profetizza. Trae auspici dalla superficie richiamando a sé corpi trasparenti, diafani, dotati di un’interiorità traslucida, vuota. Schermi spettrali, proiezioni televisive o cinematografiche, approdi della navigazione in internet, corpi molli, melliflui, equorei, procedure algoritmiche di una Matrix, di una coscienza universale che li genera come bolsi, falsi effetti: le Sirene sono finzioni o meglio predizioni della postumanità?

Retrospectrum, poesia per immagini (in acustico) di Bob Dylan

PREVIEW STAMPA MOSTRA BOB DYLAN, RETROSPECTRUM ©Musacchio, Ianniello, Pasqualini & Fucilla

Davanti a queste composizioni l’osservatore non ha bisogno di chiedersi se si tratta di un oggetto reale o se è  frutto di un’allucinazione: se visitasse il luogo in cui quell’immagine è realmente esistita, vedrebbe la stessa cosa. È questo che ci unisce tutti. (Bob Dylan)

Non possono essere che le note di Tangled up in Blue ad accogliere il visitatore all’ingresso di Retrospectrum, la retrospettiva a cura di Shai Baitel, la prima in Europa dedicata a Bob Dylan.  Dopo essere stata al Mam di Shanghai e al Patricia & Phillip Frost Art Museum di Miami, la mostra  è arrivata a Roma in una versione completamente ripensata per interagire con gli spazi dinamici e  avveniristici del MAXXI. Esposte per alcuni mesi oltre 100 opere tra dipinti, acquerelli, disegni a inchiostro e grafite, sculture in metallo, materiale  video, che esplorano oltre 50 anni di attività creativa del cantautore premio Nobel. 

Domenica la chiusura dello spazio. “È molto gratificante sapere che le mie opere visive siano esposte al MAXXI,  a Roma”, aveva commentato lo stesso Bob Dylan, “un museo davvero speciale in una delle città più belle e stimolanti del mondo. Questa mostra  vuole offrire punti di vista diversi, che esaminano la condizione umana ed esplorano quei misteri della  vita che continuano a lasciarci perplessi. È molto diversa dalla mia musica, naturalmente, ma ha lo  stesso intento”.  

Per l’occasione è stata donata al museo un’opera di Dylan che arricchirà la collezione pubblica nazionale  del MAXXI. Un lavoro che nasce intorno all’iconica canzone del 1965 Subterranean Homesick Blues,  che vanta uno dei primi (e forse tra i più celebri) video musicali della storia. Nel video, Dylan fa cadere al ritmo  della musica una serie di fogli con il testo della canzone, scritti la sera prima da un gruppo di amici fra  cui Allen Ginsberg, riconoscibile nel film. Nel 2018, Dylan ha riscritto questi testi su 64 cartelli, allestiti a  comporre una parete di fianco allo schermo. Subterranean Homesick Blues,  unisce così arti  visive, parole e musica.

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Otto le sezioni della mostra a ripercorrere il viaggio di Dylan nelle arti visive e, al  contempo, ci fanno entrare in contatto con la sua creatività di musicista, poeta e artista: Early Works,  The Beaten Path, Mondo Scripto, Revisionist, The Drawn Blank, New Orleans, Deep Focus,  Ironworks. 

Early Works presenta una serie di disegni degli anni Settanta nei quali Dylan prende nota della realtà  che lo circonda, di ogni immagine che ha a portata di mano, disegnando a piena pagina figure e oggetti.  Queste illustrazioni anticipano i lavori del 2018 quando, con Mondo Scripto, l’artista torna a far dialogare  musica e arte visiva realizzando una serie nella quale i testi scritti a mano delle sue canzoni sono  accompagnati da disegni originali che richiamano i titoli o i momenti chiave dei brani stessi.  

The Beaten Path è un ritratto del paesaggio americano, un viaggio visivo attraverso gli Stati Uniti per  intravedere la bellezza in quei luoghi dimenticati che fanno da sfondo alla vita quotidiana. Le opere  mostrano scorci di motel e tavole calde sempre aperte, di luna park abbandonati e di auto d’epoca, di  grandi palazzi illuminati dai lampioni. In molti casi la strada scandisce la scena con lunghe autostrade  che sembrano dispiegarsi all’infinito verso l’orizzonte. 

Mondo Scripto presenta alcuni dei testi più noti di Dylan, trascritti personalmente dall’artista e  accompagnati da suoi disegni a grafite. Queste combinazioni di parole e immagini sottolineano il nesso  profondo e diretto tra la sua arte visiva e le sue composizioni scritte. I disegni a matita illustrano quel  dialogo fra immagine e testo, passato e presente, che – grazie al continuo flusso creativo che alimenta  l’arte di Dylan – ha cambiato il rapporto tra musica e parole. Di questa serie fa parte Subterranean  Homesick Blues Series

Revisionist è una serie in cui Dylan rielabora la grafica, le parole e il contenuto cromatico delle  copertine di celebri giornali, da “Rolling Stone” a “Playboy”, per trasformarle in nuove immagini  serigrafate di grandi dimensioni. 

The Drawn Blank è una sorta di diario illustrato nel quale sono raffigurate istantanee della vita in strada: ritratti, luoghi storici, panorami e angoli nascosti. La serie nasce da una raccolta di schizzi a matita  carboncino e penna realizzati tra l’89 e il 92 durante le tournèe in America, Europa e Asia. Negli anni,  Dylan ha più volte modificati i disegni, aggiungendovi dettagli, colore e profondità.  New Orleans è la serie che immortala il legame tra Dylan e New Orleans, città natale del jazz, situata all’estremità meridionale della Route 61, una delle strade più famose d’America, nota anche come “The  Blues Highway”, la strada del blues, che attraversa da nord a sud la sezione centrale degli Stati Uniti,  passando per i luoghi dell’infanzia di Dylan. In ogni angolo di New Orleans, l’occhio dell’artista individua  infiniti spunti per le sue opere; i gesti e le abitudini dei suoi cittadini sono per Dylan fonte di ispirazione  che si traduce, sulla tela, in scene di vita quotidiana dove viene privilegiato uno sguardo ravvicinato,  capace di creare una certa intimità tra i soggetti ritratti e chi li osserva.  

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Deep Focus sono dipinti con particolari inquadrature e tagli dell’immagine, composizioni suggestive e  spesso misteriose, sospese tra vita e teatro, che si ispirano allo spirito documentaristico della fotografia  e del cinema. Il titolo fa riferimento a una tecnica cinematografica in cui la narrazione è il risultato della  combinazione di primo piano, secondo piano e sfondo, tutti contemporaneamente a fuoco per poterne  distinguere i dettagli a ogni profondità.  

Ironworks. Il percorso di mostra si chiude con una serie di sculture in ferro, strutture funzionali  composte da oggetti e attrezzi convertiti a nuovo uso che richiamano, insieme al ricordo dell’infanzia di Dylan nella zona mineraria del Nord del Minnesota, anche l’iconico passato industriale degli Stati Uniti. La mostra è accompagnata da un catalogo in doppia edizione italiano e inglese, 224 pagine, edito da  Skira e curato da Shai Baitel. Nel volume la vasta produzione artistica di Bob Dylan viene raccontata attraverso le immagini e il contributo di importanti scrittori, critici e artisti, tra cui Shai Baitel, Alain Elkann,  Anne-Marie Mai, Greg Tate, Richard Prince, Bob Dylan, Caterina Caselli.

Marco Mengoni, in arrivo l’album “Materia (Prisma)”

Mengoni marco mengoni

È “Materia (Prisma)” il terzo ed ultimo album della trilogia discografica multiplatino “Materia” di Marco Mengoni, disponibile da venerdì 26 maggio per Epic Records Italy / Sony Music Italy, in pre-order da oggi (https://shor.by/MM_) e in pre-save e pre-add da giovedì 4 maggio.

Il prisma, come l’uomo, ha la capacità di assorbire esperienze, filtrarle per analizzarle e poi restituirle scomposte in una miriade di colori, e così è questo album che, a chiusura della trilogia, ci permette di avere uno sguardo sulla realtà attraverso diversi punti di vista e prospettive, svelando e abbracciando in questo modo un mondo di sfumature nascoste ed uniche.

Materia (Prisma) conclude così il viaggio musicale di Materia” (certificato triplo platino), un percorso in tre album che presenta tre anime differenti, ma complementari, iniziato a dicembre 2021 con “Materia (Terra)” progetto che parte dalle origini e dalle radici di Marco Mengoni – e proseguito ad ottobre 2022 con “Materia (Pelle)– disco in cui il cantautore presenta le sue ricerche musicali, le contaminazioni e i suoni provenienti da tutto il mondo.

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Marco Mengoni rappresenterà l’Italia alla finale dell’Eurovision Song Contest 2023 prevista il 13 maggio a Liverpool con “Due vite”, brano che continua ad essere tra i più amati dal pubblico dopo la vittoria alla 73esima edizione del Festival di Sanremo.

A dieci anni dalla prima partecipazione all’Eurovision Song Contest a Malmö nel 2013 con “L’essenziale” – brano certificato quattro volte disco di platino – Marco Mengoni è pronto a tornare su quel palco e a condividere tutta l’energia e la forza di “Due vite” – in una versione riarrangiata per questa occasione unica – primo tassello dell’ultimo capitolo della trilogia discografica.

La canzone ha già raggiunto il doppio disco di platino e, ad oggi, sono oltre 50 milioni le visualizzazioni del videoclip ufficiale. Ha debuttato al primo posto di tutte le classifiche streaming e download italiane, al #49 nella classifica global di Spotify e ha totalizzato 100 milioni di stream audio/video. Nella settimana di lancio, il brano è anche entrato in 54 classifiche di iTunes: al primo posto in Italia, Svizzera, Slovenia e Lussemburgo e in top10 in Belgio, Francia, Germania, Romania, Spagna e Slovacchia

Due Vite” (Epic Records Italy / Sony Music Italy) parla di rapporti, mettendo al centro la relazione più intima, quella con se stessi. Un invito ad affrontare la vita con onestà, senza rimpianti e senza pensare a cosa dovremmo o vorremmo essere, ad accettare anche gli errori come momenti di crescita. Un racconto molto serrato con due livelli di lettura: un racconto onirico, ricco di immagini e figure legate all’inconscio, che si mischia a scene e dettagli molto realistici, autobiografici. Questo brano rappresenta una riflessione sulla necessità di affrontare la vita godendosi realmente ogni attimo, da quelli di noia anche solo apparente ai sentimenti più accesi, perché tutti sono parte della nostra esistenza. 

Il brano è scritto dallo stesso Mengoni con Davide Petrella e Davide Simonetta; la produzione del brano è di E.D.D. e Simonetta.

In attesa di raggiungere Liverpool per la finale dell’Eurovision Song Contest 2023, Marco Mengoni è approdato oltre confine con un nuovo viaggio in alcune delle città di riferimento della scena musicale europea con 4 anteprime live tutte sold out: dopo Parigi e Bruxelles, è atteso il 27 aprile a Francoforte (Batschkapp) e il 29 aprile a Zurigo (Komplex 457).

Con 13 anni di carriera, 7 album in studio, 71 dischi di platino, 2 miliardi di stream audio/video, 9 tour live, quattro anteprime live europee tutte sold out nelle città di Parigi, Bruxelles, Francoforte e Zurigo, e dopo il successo dei suoi primi live negli stadi nell’estate 2022 culminati con il sold out allo stadio San Siro a Milano, lo show allo stadio Olimpico a Roma e il successivo tour autunnale con 13 tappe nei principali palazzetti italiani tutti sold out, Marco Mengoni è pronto a ripartire quest’estate live con Marco Negli Stadi, il suo primo tour nei principali stadi italiani che rappresenta un ulteriore trionfo di questi ultimi due incredibili anni di traguardi. E’ infatti atteso nelle città di Bibione (17 giugno – data zero), Padova (20 giugno), Salerno (24 giugno), Bari (28 giugno), Bologna (1 luglio), Torino (5 luglio), Milano (8 luglio), prima del gran finale live il 15 luglio al Circo Massimo a Roma. Un evento unico ed eccezionale in una location deputata ai grandi happening che chiuderà la sua fortunatissima prossima stagione live estiva.

Il tour è organizzato e prodotto da Live Nation. I biglietti per tutte le date sono disponibili su www.ticketone.it, www.ticketmaster.it, www.vivaticket.com

Primo Maggio, il programma del concertone

primo maggio roma

Come ogni anno arriva il primo maggio e con esso il concerto che si svolge in piazza San Giovanni a Roma. Giunto alla 33esima edizione quest’anno lo slogan che Cgil, Cisl e Uil hanno scelto per la Festa dei lavoratori è un classico “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Un omaggio alla Costituzione che quest’anno compie 75 anni.

A presentare la manifestazione sarà, per il sesto anno consecutivo, Ambra Angiolini, affiancata questa volta da Fabrizio Biggio, comico de I soliti idioti e spalla di Fiorello in radio.

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La manifestazione sarà trasmessa in diretta su Rai 3 (dalle 15.15 alle 00.15 con una pausa dalle 19.00 alle 20.00 per le edizioni dei telegiornali), Rai Radio 2, RaiPlay e Rai Italia. La novità è il pre-show delle 14 con Leo Gassmann, Iside, Savana Funk, Camilla Magli, Wepro.

Gli artisti che per ora hanno confermato la propria presenza sono Aurora (giovane cantautrice norvegese con 2 miliardi e mezzo di streaming) Lazza, Coma_Cose, Geolier, Emma, Carl Brave, Tananai, Francesco Gabbani, Ariete, Mr. Rain, Piero Pelù con Alborosie, Matteo Paolillo, Righeira, Mara Sattei, Il Tre, Baustelle, Levante, Aiello, Rocco Hunt, Bnkr44, Gaia, Alfa, Giuse the Lizia, Fulminacci, Mille, Neima Ezza, Rose Villain, Wayne, Ciliari, Tropea, Napoleone, Uzi Lvke, l’Orchestraccia, Epoque, Ginevra, Serendipity, Paolo Benvegnù. A loro si aggiungono i vincitori del contest 1mnext Etta, Maninni, Still Charles e il vincitore del contest “sicurezza stradale in musica” Hermes.

La scaletta non è ancora completa perché come sottolinea il direttore artistico Massimo Bonelli “abbiamo già parlato con Ligabue, dobbiamo incontralo: vediamo se c’è la possibilità che ci sia”. Insomma nomi altisonanti.

Foto di Nainoa Shizuru su Unsplash

Freddie Mercury, all’asta la sua collezione privata

Freddie Mercury queen

La famosa casa d’aste britannica Sotheby’s mette all’asta oltre 1500 pezzi tra costumi, testi di canzoni e oggetti dalla casa di Kensington di Freddie Mercury.

La dimora del leader dei Queen, considerata dai lui stesso il suo regno, è stata custodita per anni dall’amica intima Mary Austin che, dalla morte del cantante nel 1991, ha conservato tutti i cimeli, ricordi, souvenir che Freddie collezionò nella sua vita.

Questi pezzi di vita di Mercury sono stati mantenuti integralmente nella casa acquistata dallo stesso nel 1980 e raccontano anche l’intimità nascosta dell’artista.

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Sono dipinti, testi di canzoni scritti a mano, costumi di scena. Tra le chicche vi è una corona modellata su quella di Sant’Eduardo, come quella che indosserà re Carlo alla cerimonia di incoronazione il sei maggio. E ancora un mantello in velluto rosso, pelliccia sintetica e diamanti artificiali. Costumi che la voce dei Queen indossò durante l’interpretazione finale di “God Save the Queen”, in chiusura dell’ultimo live del gruppo nel 1986.

La data scelta per l’inizio dell’asta sarà il 4 agosto a Londra. Mentre chiuderà nel 77esimo anniversario di Freddie Mercury: il 5 settembre. Gli oggetti pregiati saranno però esposti in anteprima negli Usa, a New York e Los Angeles, e ad Hong Kong.

L’asta, intitolata “Freddie Mercury: A World of His Own”, si svolegerà in sei diversi momenti ognuno dei quali richiamerà un momento particolare della vita privata e della carriera del cantante nato in Tanzania.

Milano, tutto pronto per il Rock in Park Festival

Rock in Park Festival milano

Con Aprile è ormai consuetudine l’annuncio del Rock in Park Festival.

La rassegna musicale, arrivata alla sua quattordicesima edizione, inaugura ufficialmente da anni la stagione estiva al Legend Club Milano.

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Gli eventi in programmazione dal 3 Maggio al 3 Giugno vedranno tantissimi artisti e band dai generi più disparati.

Questa la programmazione, mentre sull’evento creato su Facebook cliccando sul tasto partecipa si potrà essere aggionatti costantemente sugli sviluppi della scaletta.

MERCOLEDÌ 3 MAGGIO
THE MISSION + WIRES & LIGHTS

GIOVEDÌ 4 MAGGIO
JESSE BARNETT (STICK TO YOUR GUNS) + GAB DE LA VEGA

VENERDÌ 5 MAGGIO
DARI + LOST 

SABATO 6 MAGGIO
CRIPPLE BASTARDS + SLUG GORE + REAPING FLESH

LUNEDÌ 8 MAGGIO 
THE LAST INTERNATIONALE + TAIPEI HOUSTON + ROOMMATES 

GIOVEDÌ 11 MAGGIO
SAOR  + DYRNWYN  + HADDAH

VENERDÌ 12 MAGGIO
VINTAGE VIOLENCE + I CONFINI

SABATO 13 MAGGIO
SCHAMMASCH + GUEST 

DOMENICA 14 MAGGIO
FALSE MEMORIES + BLUT +  ETERNAL SILENCE  + VIPER SOUP COMPLEX

LUNEDÌ 15 MAGGIO
KING BUFFALO + TEMPLE FANG

MERCOLEDÌ 17 MAGGIO
MONO + GGGOLDDD

GIOVEDÌ 18 MAGGIO 
THE FUZZTONES + 20 MINUTES

VENERDÌ 19 MAGGIO
THE METEORS + SNAKES + NUCLEARS + DJSET BY OTTADJ

SABATO 20 MAGGIO
WE CAME AS ROMANS + CASKETS + SEEYOUSPACECOWBOY

MARTEDÌ 23 MAGGIO
EMAROSA + MISERY KIDS + ATWOOD

GIOVEDÌ 25 MAGGIO
MUTONIA + LOUDMOTHER

VENERDÌ 26 MAGGIO 
ELVENKING + GREAT MASTER + HELIKON

SABATO 27 MAGGIO
LOCUS ANIMAE + UNDER THE SNOW + DISTORTED VISIONS

LUNEDÌ 29 MAGGIO
PHARMAKON + KOLLAPS

MARTEDÌ 30 MAGGIO
BORIS + ASUNOJOKEI

GIOVEDÌ 1 GIUGNO 
ESCAPE THE FATE  + DEEP AS OCEAN + DEAF AUTUMN + FRAGMENTS  OF SORROW

VENERDÌ 2 GIUGNO 
THUNDERMOTHER + GUEST

SABATO 3 GIUGNO 
SHE PAST AWAY + GUEST

“Less a zonzo”, ritorno alla leggerezza irrefrenabile

Foto di Laura Chouette su Unsplash

Dopo il successo mondiale di “Less”, vincitore del Premio Pulitzer 2018, ritorna con l’irrefrenabile leggerezza di Arthur Less in un romanzo profondo e gioioso sulla vita, l’amore e le storie che ci raccontiamo strada facendo, “A zonzo”, appunto.

SINOSSI. La vita di Arthur Less va sorprendentemente bene:  è un romanziere di un certo successo, impegnato in una relazione stabile con il compagno, Freddy Pelu. Ma la sua felicità è sempre una condizione passeggera: la morte di un vecchio amante e un’improvvisa crisi finanziaria lo spingono, ancora una volta, a scappare dai suoi problemi. Il pretesto perfetto per la fuga è un tour di presentazioni letterarie, che lo catapultano in un’avventura on the road nel cuore degli Stati Uniti.

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Alla guida di Rosina, un camper verde sgangherato, Less attraversa il Midwest, le praterie e il sud fino all’oceano, raccogliendo i compagni di viaggio più bizzarri insieme a Dolly, un carlino dallo sguardo umano. Per entrare appieno nello spirito dell’America più profonda, Less si fa crescere i baffi a manubrio e abbandona il vestito grigio per un cappello da cowboy, ma l’abito non fa il monaco e sotto l’aspetto da duro della prateria Less non è (ancora) cambiato. Soprattutto, non può fuggire da se stesso nemmeno tra i deserti e le paludi più remote. L’edizione italiana, pubblicata da La Nave di Teseo, vede la traduzione di Elena Dal Pra

ANDREW SEAN GEER. L’autore è nato nel 1970 a Washington. È l’autore di Le confessioni di Max Tivoli (scelto come miglior libro del 2004 da San Francisco Chronicle e Chicago Tribune e vincitore del Northern California Book Award, il California Book Award, il New York Public Library Young Lions Award, e l’O. Henry Award), Storia di un matrimonio e Le vite impossibili di Greta Wells. È direttore della Fondazione Santa Maddalena.

Roma a teatro: gli spettacoli dal 25 al 30 aprile

Altra settimana ricca di debutti e interessanti appuntamenti nei teatri di Roma, dove gli spettacoli non fanno mai “ponte” e si rinnovano invece numerosi da un angolo all’altro della città.

Ecco, come al solito, i nostri consigli per non perdersi.

Meno tre, meno due, meno uno…

A 28 anni dalla tragedia di Chernobyl, torna a Roma “I monologhi dell’atomica” (da “Preghiera per Cernobyl, del premio Nobel Svetlana Aleksievich e “Racconti dell’Atomica” di Kyoko Hayashi), in cui Elena Arvigo mette al centro del suo toccante spettacolo la figura femminile come testimone di episodi tragici legati alla guerra e alla criminalità delle scelte umane. Solo due le repliche, il 26 e il 27 aprile all’Argot.

Sempre due sole date il 29 e il 30 aprile al Tor Bella Monaca per un altro spettacolo di grande impatto emotivo, “Variazioni enigmatiche” di Éric-Emmanuel Schmitt, in cui una delle coppie più longeve e amate del teatro italiano, quella composta da Glauco Mauri e Roberto Sturno, portano in scena il terribile incontro-scontro tra due uomini, un misantropo premio Nobel fuggito dalla civiltà e un giornalista che prova ad intervistarlo, legati alla figura di una donna comune.

Da stasera al 30 aprile, al Quirino, Veronica Pivetti è la brillante protagonista di “Stanno sparando sulla nostra canzone”, di Giovanna Gra, una black story musicale ambientata nell’America degli anni Venti dello scorso secolo, tra le restrizioni del proibizionismo e la volontà dei personaggi di darsi alla pazza gioia.

Stesse date all’Ambra Jovinelli per “Il Dio bambino”, un monologo scritto da Giorgio Gaber e Sandro Luporini che racconta una normale storia d’amore che si sviluppa nell’arco di alcuni anni e dà l’occasione agli autori di indagare su l’Uomo, per cercare di capire se ce l’ha fatta a diventare adulto o è rimasto irrimediabilmente bambino, un bambino che si vanta della sua affascinante spontaneità invece di vergognarsi di un’eterna fanciullezza. Con Fabio Troiano.

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I tre capolavori per eccellenza dell’epica occidentali, fusi in un affascinate viaggio di musica e parole: dal 28 aprile al 7 maggio, all’Arcobaleno, c’è “Èpos – Iliade, Odissea, Eneide” di e con Vincenzo Zingaro, un’occasione unica per ripercorrere le gesta di celebri eroi che hanno da sempre animato la fantasia di noi tutti.

Il primo matrimonio tra donne, quello tra Elisa e Marcella celebrato l’8 giugno del 1901 a La Coruña nella chiesa di San Jorge, è il protagonista di “Spose – Le nozze del secolo”, in cui Marianella Bargilli e Silvia Siravo, con la regia di Matteo Tarasco”, rendono omaggio ad una storia d’amore avventurosa e picaresca, tragica e ironica, coraggiosa e piena di forza di volontà. Dal 26 al 30 aprile all’Off/Off.

Doppio, imperdibile appuntamento al de’ Servi con la corrosiva satira di Giorgio Montanini, che dopo il successo nazionale del suo ultimo tour e quello riscosso dall’ultimo film di Riccardo Milani “Grazie ragazzi”, si alternerà sul palco con due giovani stand up comedians, Giovanni Bellotti e Giulia Nervi, in un monologo di corrosiva satira sociale, pieno di ferocia nei confronti di certe fastidiose contraddizioni della nostra società e, soprattutto, verso l’insopportabile clima di politically correct che sta ammorbando la nostra vita di tutti i giorni.

Da stasera al 30 aprile al Belli è in programma “Brothers”, poesie e cronache di guerra tratte da Oriana Fallaci, Faruk Sehic, Gianni Rodari e Gian Paolo Mai, una commovente incursione, attraverso, appunto, poesie e cronache, nel desolante scenario umano e morale della guerra, che, ieri come oggi, è in grado di accomunare madri e sorelle di tutto il mondo, costrette a piangere la morte dei propri cari.

Scritto e diretto da Stefania Porrino e interpretato, tra gli altri, da Giulio Farnese, Nunzia Greco ed Evelina Nazzari, dal 27 aprile al 7 maggio arriva al di Documenti “Il Mutamento – in viaggio da Atlantide all’Universo”, una sorta di psicodramma in cui quattro pazienti-attori danno vita a una successione di momenti storici in cui sono avvenuti i più importanti cambiamenti dell’umanità, dalla fine di Atlantide all’avvento del Cristianesimo, dal pensiero libertario di Tommaso Campanella alla rivoluzione francese e a quella femminista, fino ad arrivare ai nostri giorni e alla tragica esperienza del Covid.

Prima assoluta dal 27 aprile al 7 maggio al 7 Off per “54 – La famiglia”, una commedia brillante di Salvatore Riggi nella quale tre fratelli, alla vigilia di Natale, decidono di cambiare il proprio cognome senza avvertire i propri genitori ultra tradizionalisti. Ne deriverà un incontro-scontro intergenerazionale di grandi proporzioni e pieno di colpi di scena.

Un’interessante indagine sul mondo femminile dei nostri giorni è quella che caratterizza “Penelope”, un monologo di Martina Badiluzzi interpretato dall’ipnotica attrice Federica Carruba Toscano il 29 e 30 aprile al Biblioteca Quarticciolo.

Sempre dal 27 e fino al 30 aprile al 18 B è in cartellone “L’angelo sbagliato” di Marco Fiorentini e Federico Malvaldi, la divertente e irriverente discesa sulla terra di un angelo che alza spesso il gomito e preferisce le miserie e le piccole gioie dell’umanità al comodo “riparo” del cielo.

Altro debutto, infine, all’Antigone per “Tik Tokers” di Nicholas Gallo, che il 29 e il 30 aprile proporrà un genere completamente nuovo, ovvero una stand up comedy innestata in uno spettacolo neorealista, creando spunti di riflessione tratti dalla realtà odierna e dal mondo dei nuovi idoli dei giovani: gli influencer e i Tik Tokers. 

Profumo d’oriente tra usi, colori e stereotipi: il Festival

“Se ti prendi cura dei minuti, non dovrai preoccuparti degli anni”, recita un proverbio tibetano che spicca tra gli stand del quinto padiglione. Uno di quelli riempiti dai colori del Festival dell’Oriente, approdato alla Fiera di Roma in questo ponte così come sabato 29, domenica 30 aprile e lunedì 1° maggio.

Decine di spettacoli emozionanti che si susseguono sui palchi della manifestazione con artisti provenienti dal Giappone, India, Vietnam, Filippine, Corea, Tibet, Thailandia, Mongolia, Cina, Sri Lanka, Indonesia e molti altri paesi in rassegna.

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La danza dei leoni sui pali, il concerto dei tamburi giapponesi taiko, le danze tradizionali indiane, dello Sri Lanka, gli appassionanti balli bollywood, la lirica giapponese, i canti indiani, i concerti, la cerimonia del te, la cerimonia di vestizione del kimono, le affascinanti arti marziali, le maschere cinesi, la magia orientale, e molto altro.

Evento nell’evento il Japan Festival un format interamente dedicato al paese del Sol Levante con mostre, spettacoli, corsi e innumerevoli attività dedicate al Giappone con il folklore, la cultura, la gastronomia e la magia di un paese meraviglioso e unico al mondo. Le uniche perplessità sono legate alla possibilità di alimentare alcuni stereotipi culturali legati alla percezione occidentale della cultura orientale.

A corredo del programma Decine di corsi e attività gratuite da sperimentare, massaggi, corsi di calligrafia, corsi di cucina orientale, la distruzione del Mandala, la vestizione degli abiti tradizionali, il matrimonio indiano, conferenze e workshop e via dicendo.

Le aree culturali dei paesi d’oriente con mostre, rappresentazioni culturali, scenografiche, attività, corsi e laboratori interattivi per i visitatori. E ancora una vera e propria via dei sapori con gli street food e ristoranti presenti Giapponese, Cinese, Indiano, Thailandese, Tibetano, Vietnamita, Coreano, Indonesiano, dello Sri Lanka, per un’esperienza gastronomia imperdibile.

Il Bazar d’Oriente con migliaia di produzioni artigianali tipiche abiti, borse, calzari, tessuti, monili, gioielli antichi, amuleti, incensi, candele, oli essenziali, oggettistica da interni ed esterni, mobilio, elementi di arredo, artigianato tipico, tappeti, arazzi, minerali, vasi, ceramiche, statue, maschere, libri, pergamene, mandala, prodotti di erboristeria, infusi, spezie, thè, creme, campane tibetane, sari, kimoni, lacche giapponesi, calligrafie e molto altro ancora. Una vera e propria esplosione di colori, musiche, spettacoli e contenuti tutti da scoprire.

Roma incontra anche il mondo: oltre 40 ristoranti e stand gastronomici provenienti da molti angoli del pianeta. Con un unico biglietto si possono visitare contemporaneamente: il Festival dell’Oriente , il Festival irlandese, il Festival country, il That’s America, il Festival dei nativi americani, il Festival dell’America Latina, il Festival argentino, il Festival spagnolo, il Festival del Giappone, il Sushi village, il Festival della salute e benessere , l’American Motor Show, il Motor Village, il Festival del vento, la Mongolfiera, l’Holi Festival, i Giochi dal Mondo, l’Oktoberfest, il Festival degli artisti di strada, Sport Games, lo Street World Food Festival, la Sfida delle grigliate e vari altri format.

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Record Store Day 2023, 300 nuove pubblicazioni

Quasi trecento le pubblicazioni immesse nel mercato dall’industria discografica per il Record Store Day, l’iniziativa americana che quest’anno in Italia festeggia il primo decennale. Edizioni speciali di classici del rock e rarità da John Lennon, U2, The 1975, Simple Minds, David Byrne e Pearl Jam. Tra gli italiani, Zero, De Andrè, Battisti, Dalla e Banco del Mutuo Soccorso.

Cassaforte degli album solisti del co-fondatore dei Beatles, la John Lennon Estate e Universal Music pubblicano il boxset di Gimme Some Truth di John Lennon, una versione espansa della celebre raccolta formata da nove Ep in vinile bianco, cartoline esclusive, poster, adesivi e booklet.

Come ogni anno, molti i titoli in esclusiva e disponibili per la prima volta in vinile. Dal sound avventuroso di Neapolis dei Simple Minds a Crosseyed Strangers: An Alternate Yankee Hotel Foxtrot dei Wilco, con registrazioni inedite del famoso album nominato ai Grammy, mentre A Secret Life di Marianne Faithfull prodotto da Angelo Badalamenti, debutterà anche in versione cd.

Il secondo album dei The 1975I Like It When You Sleep, for You Are So Beautiful yet So Unaware of It, risplende di nuova luce nella versione con la BBC Philarmonic Orchestra e debutta in vinile Wake Up and Smell the Coffee dei Cranberries, con la copertina disegnata da Storm Thorgerson.

David Byrne pubblica l’integrale di The Catherine Wheel, un’opera funk composta per la danzatrice e coreografa Twyla Tharp insieme a una all-star band che include Bernie Worrell e Brian Eno. Di quest’ultimo arriva Forever Voiceless, la versione strumentale del suo ultimo album Foreverandforevermore, invece  Marc Almond lo ritroviamo con Fantastic Star, in un doppio vinile con tracce esclusive.

Come da tradizione, numerosi anche i dischi dal vivo di artisti molto amati. Da Show dei Cure, un’edizione curata personalmente da Robert Smith al leggendario Live 1977 dei Fall, da Bella Donna Live 1981 di Stevie Nicks fino a Give Way dei Pearl Jam, registrato a Melbourne Park nel 1988 e adesso al suo debutto mondiale anche in versione cd.

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Tra gli anniversari, si segnalano quello dei Duran Duran con Carnival Rio, una raccolta di remix per celebrare i quarantanni di Rio, contemporaneo di A Kiss In The Dreamhouse di Siouxsie & The Banshees e di War degli U2, in uscita con un EP con versioni inedite di Sunday Bloody Sunday e Two Hearts Beat As One da Songs of Surrender. Sono cinquanta gli anni diDon’t Shoot Me, I’m Only The Piano Player di Elton John, come Cameo di Dusty Springfield e il Miles Davis di Turnaround: Rare Miles from On The Corner Sessions, un album di outtakes che celebra le sessions di On The Corner,con Michael Henderson, Al Foster, Mtume, Herbie Hancock, Dave Liebman e Bennie Maupin.

Tanti anche gli artisti italiani che ritornano sugli scaffali di oltre duecento negozi di dischi indipendenti del nostro Paese. Di Fabrizio De Andrè arriva Faber-Periodo Karim, un boxset di 45 giri masterizzati in analogico, un’opera di restauro del suono sulle prime registrazioni della sua carriera. Da Nuvole Barocche a E Fu La Notte a Carlo Martello Torna dalla Battaglia di Poitiers, con i testi di Paolo Villaggio, fino alle due versioni di La Ballata del Michè.  

Non Basta, Sai / In Mezzo ai Guai è il singolo di debutto di Renato Zero, ormai introvabile nella versione originale, mentre del Banco del Mutuo Soccorso saranno in vendita Donna Plautilla e Il 13. Colorati il doppio di Caro Amico Ti Scrivo di Lucio Dalla e Anima Latina di Lucio Battisti, fino all’outsider Enzo Carella con Se Non Cantassi Sarei Nessuno, un concept album ispirato all’Odissea di Omero.

Tra le colonne sonore, sono quattro i titoli di Morricone incluso il cult Senza Sapere Niente di Lei dal film di Luigi Comencini. Cannibal Holocaust di Riz Ortolani ipnotizza tra atmosfere acustiche e divagazioni funk-rock, il duo garage psichedelico francese The Liminanas con il tedesco David Menke è dietro le musica di Thatcher’s Not Dead, un film che racconta la Lady di ferro.

“Mediterranean Fever”, pubblicato il trailer ufficiale del nuovo film di Maha Haj (video)

Mediterranean Fever maha haj

Ecco il trailer ufficiale del film “Mediterranean Fever” di Maha Haj, che arriverà nelle sale italiane dal 27 aprile distribuito da Trent Film. 

Premiato per la Miglior sceneggiatura a Un Certain Regard del Festival di Cannes 2022 e designato dalla Palestina per la corsa agli Oscar® 2023 come Miglior Film Internazionale, “Mediterranean Fever” è diretto dalla regista palestinese Maha Haj, già dietro la macchina da presa con il lungometraggio “Personal Affairs”, presentato nella selezione ufficiale di Cannes 2016 e acclamato dalla critica. 

Il film è una commedia dalle sfumature noir, a cavallo tra umorismo e dramma. Al centro della vicenda l’amicizia tra due uomini palestinesi, vicini di casa: da un lato Waleed, uno scrittore depresso alle prese con un blocco creativo, dall’altro Jalal, un uomo vitale e dinamico immischiato in loschi traffici. La storia, fatta di contrasti, qualche incomprensione e poi di vicinanza tra i due amici, si svolge ad Haifa, con il mare che fa sentire costantemente la propria presenza. Sullo sfondo anche la questione palestinese, qui affrontata senza retorica da una regista dal tocco lieve e lo sguardo profondo.

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Sono una regista che ha uno stato d’animo generalmente malinconico, che si appaia al senso dell’umorismo” – ha dichiarato Maha Haj – “Questo mi ha portato a scrivere una commedia drammatica un po’ thriller su Waleed, un aspirante scrittore di 40 anni che soffre di depressione cronica. Attraverso questo personaggio maschile immaginario, ho portato all’estremo le mie opinioni e i miei pensieri quotidiani. Conosco il personaggio di Waleed, avverto una certa affinità. Ho sviluppato una presa in giro del mio lato oscuro attraverso una persona che è simile ma diversa da me.

“Personal Affairs’ parlava dell’identità dei palestinesi che vivevano in Israele, in Cisgiordania e in esilio. I personaggi soffrivano di frustrazione, prigionia e disperazione a causa della loro complessità, essendo palestinesi, la stessa frustrazione e prigionia dI cui Waleed, come palestinese che vive ad Haifa, continua a soffrire. In ‘Mediterranean Fever” – conclude- “ho scelto di concentrarmi su una personalità ed esprimere la depressione di un individuo, in contrasto con quella di un’intera società”.

I Cinque di Monteverde tornano in libreria: il noir di Francois Morlupi conquista i lettori

Dopo Come delfini tra pescecani e Nel nero degli abissi – che hanno fatto vincere all’autore per due anni consecutivi il Premio Scerbanenco dei Lettori – è disponibile in libreria, dall’inizio di aprile, il primo capitolo di una serie bestseller: “Formule mortali. La prima indagine dei Cinque di Monteverde” di Francois Morlupi.

In una torrida estate romana, un anziano cammina nel parco di villa Sciarra, nell’elegante quartiere di Monteverde. Un odore tremendo attira la sua attenzione. Vicino a una macchia di cespugli scopre, con terrore, una mano mozzata. Poco più in là, gli arti amputati di un uomo sono disposti sul terreno a disegnare una celebre formula fisica.

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Il brutale omicidio turba la quiete del quartiere, ma soprattutto sconvolge l’instabile equilibrio del commissario Ansaldi, che con il trasferimento nella capitale sperava di aver trovato una tregua agli orrori cui ha assistito nella sua lunga carriera in polizia. Meticoloso e sensibile, la sua grande umanità lo porta a essere preda perfetta dell’ansia e degli attacchi di panico. Ciononostante rimane un professionista integerrimo che davanti al dovere non si tira mai indietro: costi quel che costi, troverà l’assassino. Ma prima dovrà capire come creare uno spirito comune con gli agenti della sua squadra investigativa, non meno unici e fragili di lui. Insieme, diventeranno i Cinque di Monteverde. Con il suo stile inconfondibile, che alterna il buon umore alla malinconia, Morlupi getta uno sguardo sugli abissi non solo di una mente criminale, ma della nostra intera società, che nasconde in bella vista i suoi istinti più feroci.

Classe 1983, Francois Morlupi lavora in ambito informatico in una scuola francese di Roma. Con Salani ha pubblicato Come delfini tra pescecani (2021) e Nel nero degli abissi (2022), vincendo con entrambi il Premio Scerbanenco aggiudicato dai lettori, oltre a numerosi altri riconoscimenti.

«Vertiginoso. Duro. Divertente. Dolce. Disperato, e pieno di speranza. Tutto quello che dev’essere un noir è qui dentro. E in più, i Cinque di Monteverde: una squadra che non sa di esserlo, un’accozzaglia lesionata che diventa famiglia all’improvviso. Attorno ad Ansaldi, che lasciamo andare solo con la promessa di tornare prima possibile.» Maurizio de Giovanni.

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“Ranking of Kings”, in arrivo la serie tratta dal web manga di Sousuke Toka

Dal 26 aprile sarà disponibile il primo volume di “Ranking of Kings”, già conosciuto e molto apprezzato in Italia grazie alla serie animata disponibile in streaming su Crunchyroll. 

La popolare serie a fumetti, tratta dal web manga firmato da Sousuke Toka, ci catapulta in un avventuroso mondo fantasy in cui ha luogo il Ranking of Kings, una classifica che tiene conto del potere e del prestigio dei re del mondo mortale. Il vincitore si aggiudicherà un premio unico da parte degli dèi. 

In questo universo fantastico prende vita la storia del piccolo Bojji, principe del Regno di Bosse nonché primogenito del re. Bojji è sordo dalla nascita e non è in grado di parlare e non sa nemmeno combattere con la spada, ma affronta la vita con positività e coraggio e ha un grandissimo sogno: diventare il migliore re del mondo

Purtroppo, a causa della sua disabilità e dell’ingenuità che lo caratterizza, nessuno lo considera all’altezza del suo desiderio. Il principino, deriso e scansato da tutti, non ha veri amici, ma un giorno incontra Kage – un essere d’ombra ultimo superstite di un clan di leggendari assassini – che vive derubando il prossimo. Nonostante un inizio problematico, tra i due si istaurerà una grande amicizia che accompagnerà il piccolo Bojji a superare dei terribili eventi e una cospirazione in atto contro di lui…

RANKING OF KINGS è un’opera di grande impatto emotivo, un piccolo gioiello che riesce a coniugare al meglio intrighi di potere, combattimenti, forti colpi di scena ed elementi fantastici.

Nonostante un look a prima vista “fiabesco”, non si tratta del classico manga per bambini. L’autore infatti, con il suo stile unico – semplice, ma molto espressivo – affronta tematiche mature e complesse, come il sacrificio e il perdono, la compassione e l’importanza di non giudicare secondo le apparenze. Inoltre, leggendo la serie non si può non rimanere affascinati dal coraggio e dalla bontà d’animo del piccolo Bojji, che nonostante le immense difficoltà e i tradimenti di cui è vittima, è sempre pronto a perdonare e ad aiutare chi ha più bisogno. 

Di grande importanza è anche il tema dell’amiciziatra Bojji e Kage, due personaggi che a prima vista sembrano non avere nulla in comune. In realtà, i due si completano e si appoggiano a vicenda nei momenti di difficoltà, dimostrando che ciò che importa è il fatto di esserci l’uno per l’altro e che non lo status sociale o le diverse esperienze di vita non contano. Con Kage, Bojji riesce ad esprimersi liberamente, seppur con i limiti che la disabilità gli impone, e ha finalmente un alleato, sempre pronto a spalleggiarlo. Kage, invece, riesce a ritrovare grazie all’amico il se stesso di un tempo, buono e premuroso.

Ranking of Kings sarà disponibile in fumetteria, libreria e store online dal 26 aprile e a Comicon 2023.

“Ritorno a Seoul”, in arrivo il nuovo film di Davy Chou

Ritorno a Seoul davy chou

Ritorno a Seoul di Davy Chou arriva al cinema dall’11 Maggio con I Wonder Pictures in collaborazione con MUBI. Già presentato in selezione ufficiale nella sezione “Un Certain Regard” del 75° Festival di Cannes e in anteprima italiana al Torino Film Festival, è il secondo film del regista franco cambogiano dopo Diamond del 2016.

La pellicola gira intorno a Freddie, 25 anni, impulsiva e testarda, che torna in Corea del Sud per la prima volta da quando, appena nata, è stata adottata da una coppia francese. Qui, inizia a cercare i genitori che l’hanno abbandonata. Tra incontri, nuove amicizie e l’ombra di una madre biologica che non vuole farsi rintracciare, la ragazza si trova immersa in una cultura molto diversa dalla sua e intraprende un viaggio nel viaggio che la porterà in direzioni del tutto inaspettate. Per scoprire che forse questa è la vita: incontrare l’inaspettato, cavalcarlo, essere tutte le persone che avresti potuto essere.

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Il regista Davy Chou, classe 1983, trae ispirazione dalla sua storia personale. Nato in Francia da genitori cambogiani torna in Cambogia, per la prima volta, proprio a venticinque anni e, come la protagonista del suo film, condivide il rapporto complesso con la sua terra natale. La storia si svolge nell’arco di otto anni, seguendo la crescita di Freddie. Durante le varie fasi che la contraddistinguono la musica diventa il denominatore linguistico che unifica e supera gli ostacoli attraverso un ritmo comune che va oltre il francese, il coreano, l’inglese e che avvicina le diverse anime del film. La ricerca dell’identità e la scoperta delle proprie radici sono il fulcro attorno a cui ruota tutta la ricerca del regista.

Ritorno a Seoul, al cinema con I Wonder Pictures in collaborazione con MUBI,è prodotto da Aurora Films e coprodotto da Vandertastic Films e Frakas Productions. Il film sarà prossimamente su MUBI.

Billy Elliot: Scarpati, Brescia e l’Accademia Sistina alla prova del movimento

foto Gianluca Saragò

Prima il flashmob in strada con i giovani protagonisti di “Billy Elliot” insieme agli altri allievi dell’Accademia Sistina impegnati in un contagioso e divertente tip tap al ritmo della magica colonna sonora di Elton John, poi sul palco tutta la forza di una storia appassionante, in una serata magica scandita dall’energia della danza e della musica tra l’esterno e l’interno del teatro.

Un successo ieri sera l’attesa Première di “Billy Elliot“, il Musical firmato da Massimo Romeo Piparo e prodotto dalla PeepArrow Entertainment che arriva al Teatro Sistina con una nuova edizione e un cast completamente rinnovato. Alla presenza del ministro Gennaro Sangiuliano, la storia del ragazzino Billy che, nell’Inghilterra bigotta e austera della Thatcher, lotta contro tutto e tutti per realizzare il suo sogno di ballare, ha fatto ancora una volta battere il cuore del pubblico.

Sul palco Giulio Scarpati ha emozionato la platea vestendo i panni di Jackie, il padre di Billy che non accetta l’amore del figlio per la danza, e Rossella Brescia, al debutto nel Musical, ha convinto tutti con la sua appassionata interpretazione di Mrs. Wilkinson, la maestra che crede nel ragazzo e lo supporta nel suo percorso. Con loro il bravissimo Emiliano Fiasco nel ruolo di Billy (che sul palco si alternerà con Andrea Loconsole e Bryan Pedata), e tanti altri talenti emergenti, come Riccardo Colanera che ha interpretato Michael, accanto a un grande cast di straordinari artisti.

foto Gianluca Saragò

Con le musiche pluripremiate composte da Elton John, suonate dal vivo dall’Orchestra diretta dal maestro Emanuele Friello, questo spettacolo dal respiro internazionale di cui Piparo ha curato anche l’adattamento in italiano, non ha dunque tradito la sua lunga tradizione di successi, confermandosi uno dei gioielli della “scuderia” della PeepArrow Entertainment. Ieri sera tantissimi applausi hanno caratterizzato una “Prima” da ricordare. Affollatissimo il teatro, tra spettatori e vip seduti in platea.

Tra i personaggi che non hanno voluto mancare al ritorno a casa di “Billy Elliot” anche Max Giusti, Lino Banfi, Maria Grazia Cucinotta, Eleonora Giorgi, il presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati Federico Mollicone, Barbara Bouchet, Beppe Convertini, Pino Strabioli, Clayton Norcross e poi Vittorio Sindoni, Anna Pettinelli, Antonio Preziosi, Santino Fiorillo, Fiordaliso, Stefano Masciarelli, Rita Dalla Chiesa, Luca Biagini, Sabrina Marciano, Roberta Ammendola, Gianni Clementi, Stefania Orlando, Andrea Iacomini, Jonis Bascir, Max Novaresi, Giovanni Licheri, Dario Salvatori, Marco Presta, Guido Rasi, Giuditta Saltarini, Roberto Sommella, Vincenzo Morgante, Stefano Ziantoni, Francesco Acampora, Stefano Pantano, Giorgia Rombolà, Sabina Stilo.

foto Gianluca Saragò

Alla fine dello spettacolo, nel momento dei ringraziamenti, Massimo Romeo Piparo ha voluto fare una sorpresa al pubblico in sala, chiamando sul palco alcuni degli “ex” Billy, un tempo giovanissimi talenti e oggi artisti dalla carriera affermata: da Christian Roberto, attore di fiction e dal 2023 nel cast de “Il paradiso delle signore” di Rai1, ad Arcangelo Ciulla, attualmente l’unico italiano del musical “Newsies”, importante allestimento della Disney in scena a Londra, e Matteo Valentini, protagonista di “New School”, la nuova teen-serie per ragazzi, e ancora Tancredi Di Marco, Filippo Arlenghi, Simone Romualdi. Il Musical, con le coreografie di Roberto Croce e le scenografie di Teresa Caruso, i costumi di Cecilia Betona, le luci di Daniele Ceprani e il suono di Stefano Gorini, ancora una volta ha parlato a tutte le generazioni, grazie a una storia che punta sulla potenza di valori universali e positivi – la fiducia in sé stessi, l’amicizia, il coraggio, la tenacia – e che celebra l’arte della danza e la bellezza della musica. Un titolo amatissimo, o, come afferma Piparo, “una formula perfetta“, con un ragazzino “smarrito e visionario che prende per mano lo spettatore di ogni età e, tra incanto, ironia e commozione, lo fa volare”. Dopo il Sistina, dove resterà fino al 30 aprile, lo spettacolo sarà ancora in scena in alcune città italiane, prima del lungo Tour in programma nella prossima Stagione teatrale.

foto Gianluca Saragò

Salvador Dalí, in arrivo il biopic “Daliland”

Dalìland salvador dalì

Plaion Pictures annuncia l’uscita nei cinema italiani dal 25 maggio di “Daliland”, biopic diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar Ben Kingsley (“Gandhi“, “Hugo Cabret”) nei panni dell’istrionico ed eccentrico artista Salvador Dalí, affiancato da Barbara Sukowa, Ezra Miller e Christopher Briney.

Dopo aver scavato nell’oscurità della mente umana con il cult American Psycho e aver raccontato di un altro genio dell’arte in Ho sparato a Andy Warhol, Mary Harron torna dietro la macchina da presa in questo biopic che sfida le convenzioni. Puntando l’obiettivo sul crepuscolo della carriera di Salvador Dalí – maestro surrealista autore di capolavori quali La persistenza della memoria – la regista delinea l’elettrizzante ritratto di una delle figure più iconiche del XX secolo, la cui esistenza fu caratterizzata fino alla fine da un irresistibile mix di genio e sregolatezza. “Daliland” ci introduce nel mondo di Salvador Dalì, in un viaggio nella quotidianità del genio eccentrico, ma soprattutto dell’uomo che si cela dietro l’artista.

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Navigando fra luci e ombre della vita di Dalí, indagando alcuni degli aspetti meno noti della sua quotidianità, Harron regala al pubblico un affascinante mosaico, glamour e divertente ma al contempo profondamente introspettivo. Per una sfida simile, la cineasta canadese ha potuto contare su un cast d’eccezione, che include Barbara Sukowa (Johnny MnemonicAir – La storia del grande salto) nel ruolo di Gala, dispotica moglie di Dalí, e il camaleontico Ben Kingsley nelle vesti del geniale pittore. Proprio il volto del Premio Oscar®, straordinariamente somigliante a Dalì, domina il poster ufficiale del film, il cui claim “Il viaggio nell’eccesso inizia da un paio di baffi”, mette in luce l’esistenza sfrenata dell’uomo che fece dell’eccesso un’arte.

New York 1974, James lavora presso la galleria d’arte che ospiterà la prossima esibizione del genio Salvador Dalí. Quando l’artista in persona gli propone di diventare suo assistente, il ragazzo pensa di coronare il sogno della sua vita, ma presto scopre che non è tutto oro quel che luccica. Dietro allo stile di vita sgargiante, al glamour e ai party sontuosi, un grande vuoto consuma l’ormai anziano pittore, divorato dalla paura di invecchiare e dal dolore per il rapporto logoro con la dispotica moglie Gala, un tempo sua musa e ora circondata da giovani amanti e ossessionata dal denaro.

Presentato al Toronto International Film Festival 2022 e fuori concorso al 40° Torino Film Festival, il biopic “Daliland” di Mary Harron sarà nei cinema italiani dal 25 maggio, distribuito da Plaion Pictures.

Unkle Kook, pubblicato il nuovo singolo “Missing the fourth”

Unkle Kook missing the fourth

Un gioco di parole, uno scherzo musicale. Il protagonista della storia si trova in una situazione idilliaca, pronto a passare una fantastica giornata di mare e di surf, con tutti i comfort del caso. Ma che succede? La sua tavola da surf non si trova, il suo compare è scomparso. Per ingannare l’attesa si fanno nuovi incontri ed esperimenti psichedelici.

Il risultato è una sbornia colossale e, inevitabilmente, niente surf. Una mancanza espressa anche musicalmente poiché, come dice il titolo, manca un quarto alla strofa della canzone; da qui il suo incedere “azzoppato”, su una base ritmica che trae ispirazione dalla “Summertime” dei leggendari Mungo Jerry, mentre le atmosfere giocose e corali vogliono omaggiare i Calypso del grande Harry Belafonte, con un’eco di Giamaica e Caraibi. I temi di chitarra e sassofono ci fanno sognare il mare e le onde, ma così come la ritmica, anche i cori di molte voci all’unisono non fanno che ricordarci che manca sempre qualcosa.

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Tutto ciò perché gli Unkle Kook amano il surf, ma non sanno surfare. Vengono dal mare ma vivono in città. Come moltissime persone oggigiorno, sognano di ritrovare un contatto con la natura e di costruirsi una vita che gli assomigli di più, ma finiscono per perdersi nella tossicità di questo mondo moderno e frenetico, di cui siamo vittime e artefici. 

«Riflessioni forse un po’ ambiziose, ma la morale in fondo è quella di imparare ad accettare le contraddizioni, cavalcarle come onde e soprattutto non dimenticarsi che ridere fa buon sangue» sottolineano gli Unkle Kook.

BIO

Il progetto Unkle Kook mette radici nel 2019 grazie a cinque musicisti provenienti da generi diversi, accomunati dall’interesse per la surf music. Il gruppo nasce a Bologna (Italia) ed è formato da Andrea Faidutti (chitarra/voce), Giuseppe Calcagno (Chitarra/voce), Tommaso Quinci (sax tenore), Fabio Arcifa (Basso/voce) e Manuel Franco (Batteria/percussioni).Nel giugno 2021 esce il loro primo singolo Surf in Maremma seguito da Polkaina, entrambi editi dall’etichetta Brutture Moderne che nello stesso anno pubblicherà un EP dal titolo Surf Beat.

“Il nome della rosa”, ufficiale la data di pubblicazione del fumetto firmato Milo Manara

Il nome della rosa milo manara

“Il nome della rosa”, capolavoro letterario di Umberto Eco, è diventato un fumetto. Le prime immagini in anteprima sono già uscite quasi un anno fa. E ora Oblomov Edizioni, casa editrice che ne cura la pubblicazione, ha ufficializzato la data di uscita: il 2 maggio.

L’adattamento firmato da Milo Manara sarà composto da due volumi e uscirà in anteprima al Comicon.

Il il giallo storico ambientato all’interno di una misteriosa comunità di monaci benedettini uscì nel 1980 vincendo l’anno dopo il Premio Strega. Fu tradotto in oltre 40 lingue e inserito da Le Monde tra i cento libri più importanti del Novecento.

Ambientato nel 1327 narra le vicende del giovane monaco Adso da Melk e il frate Guglielmo da Baskerville, incaricato di una sottile e imprecisa missione diplomatica. Ex inquisitore, amico di Guglielmo di Occam e di Marsilio da Padova, Guglielmo si trovò davanti una serie di misteriosi delitti che insanguinano una biblioteca labirintica e inaccessibile. Per risolvere il caso,dovette decifrare indizi di ogni genere, dal comportamento dei santi a quello degli eretici, dalle scritture negromantiche al linguaggio delle erbe, da manoscritti in lingue ignote alle mosse diplomatiche degli uomini di potere.

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Il successo fu evidenziato dalle oltre 60 milioni di copie vendute e dalla trasposizione cinematografica del 1986, diretto da Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery, Christian Slater e F. Murray Abraham. Seguita anche da un documentario, con la voce di Eco stesso, di un’opera teatrale e di una serie tv.

Ora è arrivato il turno del fumetto, curato da Milo Manara fumettista italiano famoso per le saghe a fumetti come quelle di Giuseppe Bergman, il suo personaggio più famoso, e “ll gioco“, oltre al recente Caravaggio. Ha inoltre collaborato con figure come Hugo Pratt (“Tutto ricominciò con un’estate indiana” ed “El Gaucho“) e Federico Fellini (“Viaggio a Tulum” e “Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet“).

Il fumettista ha sottolineato l’importanza dell’opera su cui è andato a lavorare: “Il nome della rosa è un libro che ha ottenuto un successo planetario e ha già avuto trasposizioni sia cinematografiche che televisive, dunque realizzarne una nuova ulteriore trasposizione è senza dubbio una grande sfida. Naturalmente, ho pensato subito che il fumetto in sé è un libro ed essendo Il nome della rosa, in un certo senso, un libro sui libri… […] ho pensato che si poteva allargare il discorso, a differenza delle precedenti trasposizioni, realizzando un libro su un libro che parla di libri, continuando questo rimando di citazioni in un gioco di matrioske interessante”.

Harry Potter, la serie tv si farà. Ora è ufficiale

Harry Potter serie tv

La scrittrice britannica J.K.Rowling fa un regalo ai fans di Harry Potter. La serie tv sulla saga del maghetto più famoso del mondo si farà.

Quanto trapelato nei giorni scorsi diventa realtà. L’autrice di Harry Potter ha siglato l’accordo con la Warner Bros. DIscovery A confermarlo è stato poco fa David Zaslav, presidente e amministratore delegato di Warner Bros. Discovery.

La Rowling sarà la produttrice esecutiva e avrà una supervisione creativa del progetto. Warner Bros. Television si occuperà della produzione. Il ruolo della scrittrice sarà fondamentale in quanto ha dichiarato che l’accordo è stato possibile in quanto “l’impegno di Max nel preservare l’integrità dei miei romanzi per me è importante, e non vedo l’ora di far parte di questo nuovo adattamento che permetterà un grado di profondità e dettagli che solo una serie tv può offrire”.

Oltre a lei nel team che produrrà la serie dovrebbe esserci David Heyman,il cui ruolo e partecipazione è ancora in fase di trattativa.

Nei prossimi giorni usciranno maggiori dettagli ma sembra proprio che la serie sarà composta da 7 stagioni, ognuna per ogni libro della saga che finalmente sarà maggiormente approfondita e darà soddisfazione ai potterhead che in questi anni hanno criticato i film per aver tralasciato parti importanti della storia.

Malosti: in “Lazarus” c’è il testamento di Bowie [L’intervista]

Lazarus foto di Fabio Lovino

Ci siamo. 

Dopo mesi di attesa e una prima serie di repliche “pilota” in quel di Cesena lo scorso marzo, è finalmente partita la tournée nazionale di uno degli spettacoli più attesi dell’anno. Stiamo parlando di “Lazarus”, che da oggi al 23 aprile sarà in cartellone al Teatro Argentina di Roma, dove le prenotazioni on line hanno già quasi portato a un completo sold out. Tratto dalla sorprendente opera rock scritta da David Bowie insieme al drammaturgo irlandese Enda Walsh poco prima della sua scomparsa nel 2016, il lavoro diretto da Valter Malosti beneficia dell’interpretazione nel ruolo principale del migrante interstellare Thomas Jerome Newton dell’amatissimo frontman degli Afterhours Manuel Agnelli, che sarà accompagnato, tra gli altri, da Casadilego, Michela Lucenti e Dario Battaglia, nonché da una live band composta da sette elementi che suonerà alcune delle canzoni più celebri del genio di Brixton.

Non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione di parlarne un po’ con lo stesso Malosti, direttore della Emilia Romagna Teatro Fondazione/ Teatro Nazionale, attore, regista e produttore, nonché vincitore di numerosi premi nazionali ed internazionali. Ecco cosa ci ha raccontato a poche ore dalla prima alzata di sipario.

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Da dove nasce l’idea di portare in scena “Lazarus” e qual è il suo legame con David Bowie?

Il progetto di portarlo in Italia è nato prima ancora che l’opera venisse rappresentata negli Stati Uniti. Saputo della sua esistenza, mi sono subito attivato per ottenerne i diritti e non è stato facile, visto che a quei tempi, nel 2015, non è che avessi dietro chissà che realtà, ero un indipendente. Sicuramente sono stato fortunato per il fatto di avere una conoscenza diretta con il suo bravissimo coautore, Enda Walsh, uno scrittore magnifico che dalle nostre parti non è ancora conosciuto come si deve. Per quanto riguarda il mio legame con Bowie, posso dire, innanzitutto, che insieme a Carmelo Bene e a Demetrio Stratos, occupa un posto di riguardo nel mio cuore. Direi che loro tre hanno incarnato una sorta di “trimurti” nella mia adolescenza e nella mia giovinezza. A legarli, per come la vedo io, è la natura straordinaria della loro voce. La voce di Bowie, se ci si pensa, è una voce estremamente teatrale e più di una volta nel corso di alcune interviste ha detto di considerarsi alla stregua di un attore che canta, più che un cantante. La sua voce è meravigliosa, carica di mistero. Inoltre non bisogna neanche dimenticare che più di una volta Bowie ha dichiarato che il suo sogno più grande tra i diciassette e i diciannove anni era stato quello di scrivere un musical stile Broadway. Insomma, non potevo resistere alla tentazione di cimentarmi in questa impresa.

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Come si mette in scena un’opera del genere?

Beh, non è facile rispondere… Date le considerazioni che ho fatto prima, direi che innanzitutto occorre creare un po’ di distacco emotivo verso un artista che si è amato così tanto come è capitato a me con Bowie. Poi direi che mi sono lasciato guidare molto dal testo che è di una qualità assai elevata, perché Walsh, come ho già sottolineato, è uno scrittore di teatro magnifico, dotato di una lingua bellissima, “turgida”, che aiuta molto quando devi immaginare di renderla su un palcoscenico.

Ci racconta chi è per lei Thomas Jerome Newton, il protagonista dello spettacolo, e in che modo ha costruito il personaggio insieme a Manuel Agnelli?

Comincio dalla seconda parte della domanda. “Lazarus” è teatro musicale, la musica è un suo aspetto preponderante rispetto alle altre caratteristiche, per cui mi è sembrato naturale mettermi subito alla ricerca di un cantante piuttosto che di un attore. E Manuel, sono sincero, è stata la prima persona alla quale ho pensato, perché la sua tessitura vocale, il suo naturale “graffio” ferito mi sembrava perfetto dar voce al mio Newton come lo avevo immaginato. E poi entrambi, chi in un modo, chi in un altro, ci consideriamo “salvati” dalla musica, per cui… Sono molto contento che sia nata questa nostra collaborazione, anche perché credo che Manuel abbia dimostrato di essere, oltre che un eccellente musicista, anche un buon attore, concreto, forte, incisivo.

Se dovessi invece definire il mio Newton, partirei innanzitutto dal sottolineare un aspetto, quello cioè di aver voluto mantenere quanto più nascosta possibile la sua natura aliena. È molto avvicinabile, secondo me, come figura, all’uomo. E il fatto che sia un migrante interstellare, considerando anche la storia che vive, mi ha, ci ha, molto fatto riflettere anche sul migrantismo terrestre, una realtà assolutamente concreta e contemporanea verso la quale lo stesso Bowie dimostrò una grande attenzione nel corso della stesura del suo testo, visto che in fondo al libretto originale di “Lazarus” era riportato il sonetto “The New Colossus” della grande poetessa Emma Lazarus (una coincidenza il cognome? Non credo proprio), quello che, per capirci, si trova inciso sul piedistallo della Statua della Libertà di New York. Sono certo che Bowie sia stato particolarmente affascinato da questa lirica e dalla sua profonda lezione sui concetti di libertà, fratellanza e dignità umana. D’altronde, non è certo una novità che, in qualsiasi tipo di operazione si sia cimentato nel corso della sua variegata carriera, il fu Ziggy Stardust sia sempre stato uno che non lasciava niente al caso, che studiava a fondo le cose, anche quando, in apparenza, sembrava così istintivo sul palco o nella sua dimensione pubblica. Ecco, fatta questa premessa, direi che il mio Newton porta con sé le riflessioni del suo creatore, che vertono, oltre che sui temi citati poco fa, anche sull’invecchiamento, sul dolore, sull’isolamento e sulla psicosi indotta dai media nel mondo di oggi. Credo di essere stato piuttosto fedele alla sua idea di partenza.

Lazarus foto di Fabio Lovino

Data la complessità dello spettacolo, crede che possa cambiare di replica in replica rispetto a quanto si è visto dal debutto di Cesena dello scorso marzo? E, più in generale, nel suo modus operandi c’è spazio per improvvise variazioni strutturali o preferisce delle “partiture” ben definite?

Dobbiamo partire dal presupposto che il teatro è un qualcosa di vivo per definizione, è come un albero, vibra e muta di istante in istante. Io, per natura, non amo le formule chiuse, anche se “Lazarus” ha di certo una sua forma ben definita. Quindi la risposta è sì, certo che cambierà! E a questo cambiamento contribuirà anche il pubblico che lo verrà a vedere, che sarà responsabile della sua “costruzione”. Tra l’altro trovo molto affascinante che le persone che gli spettatori saranno, nello stesso tempo, i classici abbonati di teatro di una certa età e tanti ragazzi e/o appassionati, probabilmente attirati dall’aspetto musicale. Come reagiranno e quanto saranno diverse le loro reazioni di fronte a quello che vedranno? Ecco, anche questo contribuirà a ricostruire continuamente l’identità dello spettacolo.

È noto quanto, tanto a livello musicale che estetico, Bowie sia stato sempre un artista con una marcia in più, sempre proiettato sul futuro. Ci spiega, dal suo punto di vista, se lo è stato anche in questo “Lazarus” e perché?

Il lascito di Bowie, come ho in qualche modo accennato anche prima, è enorme perché è stato un artista molto attento e scrupoloso, oltre che molto poliedrico. Io penso che “Lazarus”, con tutta la ricchezza dei temi che lo definiscono, verrà sempre più fuori alla distanza. È un’opera rock, è vero, ma questo non gli impedisce di essere molto intima, dolorosa, e di saper trattare certi temi distopici (e dispotici) con un’attitudine mai commerciale. Con il plus, direi per nulla indifferente, di poter beneficiare di una musica sublime come quella del suo autore. Metterlo in scena, per me, è stato davvero un piacere, anche perché, senza forzature, mi ha permesso di lavorare seguendo liberamente la mia volontà e fondendo in modo creativo diverse componenti espressive: oltre alla musica e al teatro, infatti, hanno avuto una grande importanza anche la definizione del movimento, la cura della danza e l’allestimento scenico, per quanto apparentemente molto scarno rispetto a quello che uno si sarebbe potuto immaginare.

Lazarus foto di Fabio Lovino

Come regista, lei riesce spesso a portare nel nostro Paese drammaturgie contemporanee originali. Che cosa la guida nella ricerca/scelta dei testi e come opera a livello di scouting?

A me piacciono le opere che hanno una lingua importante, ricca di musicalità, oltre che di senso. È, questo, un fattore che mi ha sempre guidato quando si è trattato di mettermi alla ricerca di testi. Certo, oggi non ho più la facilità di spostarmi e di incappare nelle novità in cui mi capitava di incappare quando ero più giovane e libero di muovermi, ma, come produttore, mi fido molto del mio intuito. Una cosa, comunque, è certa: mi piace dirigere e produrre lavori che contengano germi di alterità rispetto a quelli che possono essere i gusti più convenzionali, compresi i miei. Questo, tra l’altro, mi spinge ad affrontare i classici che metto in scena come fossero dei contemporanei e, viceversa, a rivolgermi al “mito” quando mi trovo tra le mani testi contemporanei.

“Lazarus” è senza dubbio uno degli spettacoli più attesi di questo 2023. Sinceramente, quali riscontri si aspetta di ottenere e quali messaggi le piacerebbe che passassero attraverso di esso?

Nessun messaggio in particolare, ad essere sinceri. Vorrei che trasmesse la pura energia, la pura corrente emozionale di cui certo si sostanzia, quella che David Bowie più di una volta ha definito “l’informazione” quando gli è stata rivolta una domanda come questa. E, certo, spero siano in tanti a riceverla.

Lazarus foto di Fabio Lovino (9)

Rocco Schiavone 5, anticipazioni della seconda puntata

Rocco Schiavone marco giallini

Il vicequestore Rocco Schiavone torna questa sera in prima serata su Rai2. Il personaggio uscito dalla penna di Antonio Manzini è arrivato alla seconda puntata dela 5° stagione.

La puntata di questa sera è tratta dal romanzo “Vecchie conoscenze”. Schiavone mentre è occupato dalle indagini sull’omicidio della professoressa Martinet, studiosa esperta di Leonardo da Vinci, vede vecchi fantasmi riaffacciarsi sulla sua strada.

Insieme ad essi anche il suo vecchio amico, ormai latitante, Sebastiano (Francesco Acquaroli). Vecchi scheletri nell’armadio sembrano voler uscire. Infatti la notizia che giunge alle orecchie del vicequestore riguarda la vecchia casa di Seba. Qualcuno vi si è introdotto mettendola sottosopra e prendendo qualcosa di importante che turba la vita priva del personaggio interpretato da Marco Giallini. La domanda è: cosa hanno rubato?

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Intanto anche il rapporto con Sandra continuerà a vacillare, mentre nuove scoperte saranno fatte nella vita personale di alcuni agenti. Un doppio binario che porterà Schiavone a indagare su più piste e ad approfondire i rapporti accademici della vittima.

La seconda puntata, dal titolo “Chi parte e chi resta”, andrà in onda alle 21.20 e segue quella della scorsa settimana “Il viaggio continua” che ha ottenuto uno share pari all’11,82%, circa 2 milioni e 170 mila spettatori.

Un buon risultato per una delle serie più amate e apprezzate dagli italiani, che nel personaggio creato da Manzini e messo in scena da Giallini trovano molti punti di contatto con la realtà. In particolare si trovano molte somiglianze, come ha detto l’attore stesso, tra i due uomini. Tra vicequestore e interprete. Dall’amore per la moglie morta, al legame turbolento con la vita, con Roma, con se stesso.

Un mix che ha fatto innamorare milioni di spettatori ma anche di lettori. Il Rocco creato dallo scrittore romano ha infatti riscosso molto successo non solo in tv ma anche nelle librerie.

Giovanni Allevi sta meglio: “Pasqua è giorno di rinascita, sono sicuro ci vedremo presto con tanta nuova musica”

“Si avvicina Pasqua, il giorno della rinascita, e forse non è un caso che coincida col mio compleanno”, inizia così il post sui social del musicista e compositore Giovanni Allevi che si mostra online dopo aver scoperto mesi fa di essere affetto dal mieloma multiplo e dopo il ricovero di giugno scorso presso l’Istituto dei Tumori di Milano.

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Sorridente e fiducioso, si mostra così Allevi che aggiunge: “Ho passato un anno durissimo ma voglio gioire con voi della bella notizia che secondo gli ultimi esami di oggi sto andando alla grande! Non bastano le parole per ringraziare il personale medico ed infermieristico dell’Istituto dei Tumori di Milano che mi sta accompagnando in questo tortuoso cammino. Vorrei poter abbracciare tutti i pazienti “guerrieri” che stanno lottando come me e che mi hanno sempre incoraggiato col loro esempio, e sostenere coloro che iniziano adesso il percorso terapeutico: la ricerca sta facendo passi da gigante! Grazie a tutti voi e alla mia famiglia per il grandissimo sostegno”.

Alla vigilia di Pasqua e del suo 54esimo compleanno, Giovanni Allevi continua a raccontare il suo difficile percorso, come nei mesi precedenti in cui ha parlato della sua malattia, delle cure, delle sensazioni e sentimenti che lo governavano.

“Sono fiducioso che ci vedremo presto, con tanta musica nuova e una diversa visione del mondo!!! – conclude – Un bacio da Giovanni, indebolito e “scombinato” ma felicissimo”.

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Zerocalcare, ufficiale la data di uscita di “Questo mondo non mi renderà cattivo”

Zerocalcare netflix

Netflix esce allo scoperto e ufficializza la data di uscita della nuova serie tv di Zerocalcare dal titolo “Questo mondo non mi renderà cattivo”. Sarà il 9 giugno il giorno in cui saranno disponibili le 6 puntate sulla piattaforma streaming.

Con le animazioni di Michele Rech, in arte Zerocalcare, e le voci di quest’ultimo e Valerio Mastandrea come l’armadillo nel ruolo di coscienza, il nuovo progetto televisivo in sei episodi segue il successo di “Strappare lungo i bordi“.

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La nuova serie animata analizzerà l’intimo dell’artista, la sua psicologia, le sue fobie e le sue manie. Senza farsi affossare del tutto da ciò che lo circonda. Il tutto accompagnato con aneddoti della sua vita e dei suoi amici Secco e Sarah, che anche questa volta saranno i compagni di viaggio di Zero.

Prodotta da Movimenti Production, società del gruppo Banijay in collaborazione con BAO Publishing, e scritta e diretta da Zerocalcare, “Questo mondo non mi renderà cattivo” avrà ancora quello sfondo romanesco, come l’accento del protagonista, sempre pronto alla battuta ironica e alla riflessione.

“Nettare degli dei”, presentato il trailer della nuova dramedy

Nettare degli dei apple

Apple TV+ ha svelato il trailer della nuova dramedy multilingue franco-giapponese “Nettare degli dei” (Drops of God). Girata in francese, giapponese e inglese, la serie ha come protagonisti Fleur Geffrier (“Das Boat”, “Elle”) e Tomohisa Yamashita (“The Head”, “Tokyo Vice”, “Alice in Borderland”) ed è ambientata nel mondo della gastronomia e dei vini pregiati.

Da “”Legendary Entertainment, è tratta dall’omonima serie manga giapponese bestseller del New York Times e farà il suo debutto il 21 aprile con i primi due episodi degli otto totali, seguiti da un nuovo episodio a settimana, fino al 2 giugno. 

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Il francese Alexandre Léger, creatore della famosa Guida dei vini Léger e figura emblematica dell’enologia, si è appena spento nella sua casa di Tokyo all’età di 60 anni. Lascia una figlia, Camille (Fleur Geffrier), che vive a Parigi e non vede il padre dalla separazione dei genitori avvenuta quando lei aveva nove anni. Camille vola a Tokyo per assistere alla lettura del testamento di Léger e scopre che suo padre le ha lasciato una straordinaria collezione di vini, la più grande al mondo secondo gli esperti. Ma, per rivendicare l’eredità, Camille deve competere con un giovane e brillante enologo, Issei Tomine (Tomohisa Yamashita). Figlia biologica contro figlio spirituale: il duello sta per iniziare. Le prove da superare sono tre, tutte legate alla degustazione del vino. Il vincitore erediterà l’impero di Léger, il perdente se ne andrà a mani vuote. Ma come può Camille vincere un simile duello? Non sa nulla di vino, e peggio ancora: non ne ha mai bevuto nemmeno un goccio.

Scritta dal creatore della serie Quoc Dang Tran (“Marianne”, “Parallel”), con Klaus Zimmermann (“Borgia”, “Trapped”) in veste di produttore esecutivo e diretta da Oded Ruskin (“No Man’s Land”, “Absentia”), “Nettare degli dei” (Drops of God) è prodotta da Les Productions Dynamic in associazione con 22H22 e Adline Entertainment. La serie è presentata in collaborazione con France Télévisions e Hulu Japan ed è ispirata alla serie manga giapponese bestseller del New York Times creata e scritta dal pluripremiato Tadashi Agi, con disegni di Shu Okimoto, e pubblicata da Kodansha. 

David Lynch e il mago di Oz, in arrivo il documentario al cinema

Lynch david lynch

Wanted Cinema annuncia l’arrivo nei cinema italiani l’8, 9 e 10 maggio dell’originale documentario “Lynch/Oz” in cui Alexandre O. Philippe – già noto per gli apprezzati film-saggio, “The People vs. George Lucas e 78/52: Hitchcock’s Shower Scene su Psycho“, indaga i legami tra l’intramontabile classico americano “Il mago di Oz” (1943) di Victor Fleming e l’universo cinematografico, inquietante e fiabesco di David Lynch.

A chiunque abbia amato “Il Mago di Oz“, recentemente tornato nelle sale cinematografiche italiane, questo documentario offrirà sorprendenti spunti di approfondimento e di raccordo con tutta l’opera di David Lynch.

Suddiviso in sei capitoli, accompagnati nel loro svolgimento da guide d’eccezione come i cineasti John Waters, Rodney Asher (Room 237), Karyn Kusama (Jennifer’s Body, Destroyer) e David Lowery (Peter Pan & Wendy), il documentario “Lynch/Oz” ci conduce in un viaggio nell’immaginario americano tra i suoi sogni e le sue paure ricorrenti, lungo il quale il regista Philippe – attingendo con libertà e creatività ai film più iconici di Lynch – crea accostamenti illuminanti.

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I temi e le immagini di “Il mago di Oz” di Victor Fleming continuano a perseguitare l’arte e la filmografia di David Lynch fin dal suo primo cortometraggio. Probabilmente, nessun regista ha tratto ispirazione in modo così coerente e consapevole da un’unica opera. David Lynch è quindi intrappolato nella terra di Oz? Attraverso sei prospettive diverse, il film esplora l’ossessione di uno dei registi più iconici della storia del cinema, guidandoci nella lettura del simbolismo presente in tutte le opere di David Lynch. Amato dai cinefili di tutto il mondo, Lynch è un vero e proprio personaggio di culto. La sua visione attraversa il mondo dell’arte a tutto tondo: partendo dalla pittura, passa per la musica, per arrivare al cinema e alla televisione, firmando capolavori indiscutibili come “Velluto blu” e “Mulholland Drive” e una delle serie tv più importanti di sempre, “Twin Peaks”. Ogni sua espressione artistica, sia essa un quadro, un film o le sue insolite previsioni meteo in diretta su YouTube, sono attese con bramosia dai fan, curiosi di scoprire qualcosa di più su questo enigmatico, visionario regista.

Presentato in anteprima in Italia alla XVII Festa del cinema di Roma, candidato come Miglior Documentario al London Film Festival 2022, vincitore del Karlovy Vary International Film Festival 2022 e del Tribeca Film Festival 2022, “Lynch/Oz” arriverà nei cinema italiani come evento speciale l’8, 9 e 10 maggio distribuito da Wanted Cinema.

Il gioco protagonista del laboratorio di recitazione del MU.SP.A.C. dell’Aquila a cura di Daniele Parisi

Avere un buon ascolto è la condizione necessaria per poter recitare. Se non si ascolta l’altro, si diventa sordi, e la sordità̀ porta a non far accadere le cose, alla genericità̀ dell’azione scenica, all’autocompiacimento. Queste sono le premesse del laboratorio di recitazione “Il gioco in scena”, a cura dell’attore Daniele Parisi, organizzato dal MU.SP.A.C. – Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea di L’Aquila – che si svolgerà dal 21 al 23 aprile.

Quello che si propone è un percorso di formazione che punti a formare un attore che sia consapevole dei propri strumenti di lavoro, a partire dall’utilizzo del corpo, della voce, della propria emotività̀, in relazione allo spazio scenico, al pubblico che ascolta, al compagno di scena. L’obiettivo sarà, dunque, di sviluppare un allenamento collettivo in grado di far accadere le cose nel qui e ora, esattamente nel momento in cui si è in scena, essendo vivi e presenti a noi stessi, senza la preoccupazione di un progetto ego-riferito.

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“Uno degli ostacoli maggiori che ci porta a non far accadere le cose mentre recitiamo è il giudizio che abbiamo su noi stessi e sugli altri mentre lavoriamo – si legge nel progetto – Eliminare questo tipo di giudizio e creare, necessariamente, un ambiente di lavoro sano e protetto sarà un altro punto fondamentale di questo laboratorio. Ogni attore deve essere disponibile a mettersi in gioco fino in fondo e dunque deve imparare ad abbandonare tutti quei piccoli impedimenti che non gli permettono di poter creare, immaginare, giocare. Questa libertà, che è tipica dei bambini, purtroppo si perde nell’età adulta”.

“ ‘I bambini giocano, gli adulti scherzano’ diceva un grande attore del passato. Del gioco infatti ci occuperemo, non dello scherzo. Non c’è tempo per scherzare”

Nel corso delle lezioni, infatti, attraverso una serie di esercizi mirati al recupero della consapevolezza del proprio corpo, della propria emotività, si imparerà a stare insieme nel rispetto dell’altro, giocando fino in fondo, spingendosi al limite della creatività, tentando di recuperare quella libertà che le convenzioni sociali ci hanno fatto mettere da parte.

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La sfida del MU.SP.A.C sarà quella di creare degli attori consapevoli, degli interpreti capaci di utilizzare la tecnica e la propria emotività, imparando a governarla con la leggerezza del gioco, e metterle a disposizione di un testo, recitando senza paura, ed essere finalmente liberi.

Per info e prenotazioni: 340 5544632 – muspacmuseo@gmail.com

Harry Potter, la serie tv è più vicina

Harry Potter serie tv

Harry Potter sta per tornare. O quasi. Nella notte si è diffusa una notizia secondo cui Warner Bros e HBO Max abbiano trovato l’accordo per lavorare ad una serie tv incentrata sulla storia del maghetto più famoso del mondo.

Mancherebbe sono il sì dell’autrice J.K. Rowling che però sarebbe ad un passo.

La notizia ha ovviamente avuto una cassa di risonanza molto ampia. I fans sono già in trepidante attesa e l’argomento nel giro di poche ore ha invaso i trends sui social.

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Le indiscrezioni parlano di un progetto molto importante, a partire dal numero delle stagioni che sarebbero 7. Esattamente come i libri della saga (e come il numero magico per eccellenza, come sottolinea la Rowling nel sesto libro).

Ad oggi non ci sono molte fonti attendibili, né indizi particolari. Si tiene d’occhio la data del 12 aprile, quando Warner Bros Discovery terrà una presentazione ufficiale per fornire al pubblico e agli investitori un’anteprima del nuovo servizio di streaming che, dopo la fusione dei due colossi, integrerà HBO Max e Discovery+. In molti pensano che sia la situazione giusta per presentare l’accordo tra le parti.

L’azienda negli anni, nonostante la fine dei film legati a Harry Potter, ha continuato a creare prodotti legati alla saga riscuotendo sempre grande successo. Il che farebbe pensare che l’investimento in una serie legata al mondo di Hogwarts sarebbe fortunato, considerando anche i risultati ottenuti da  Hogwarts Legacy, videogioco uscito da pochissimo e andato a ruba.

“Cigni”, in arrivo il nuovo album di Angelo Sicurella

Angelo Sicurella cigni

Anticipato dalle due canzoni, “Città deserte” e “Orbita”, esce il 13 aprile “Cigni (disco bianco)”, il secondo album solista di Angelo Sicurella, per Limone Lunare Records.

Scritto dallo stesso Sicurella e prodotto insieme a Francesco Vitaliti, con la collaborazione di Donato Di Trapani (Orbita) e NTNTN (Giungla), “Cigni” è stato registrato quasi tutto in presa diretta, con una band di formidabili musicisti formata da Carmelo Drago, Simona Norato, Donato Di Trapani, Giorgio Maria Condemi e Giorgio Bovì, tra i Posada Negro Studios di Roy Paci, gli Idigo Studios di Palermo e lo studio di registrazione Limone Lunare.

Artista raffinato capace di coniugare con estro ed eleganza l’elettronica con il cantautorato, Angelo Sicurella torna con un album profondo, intimo ma universale, a partire da squarci visionari che diventano musica e testo. Un viaggio sonoro di nove canzoni avvolgente, nostalgico, a tratti inafferrabile, tra icone divistiche che fluttuano nello spazio in una immaginata remissione del genere umano.

Un disco in cui l’amore fa i conti col cemento arido della razionalità. In bilico tra il declino e la rinascita, tra le sconfitte e le possibilità, è un disco che contempla la fine del mondo, scongiurandola. Parla dell’incapacità di accettare i propri fallimenti e della sensazione di inadeguatezza nel condividere i propri sentimenti e fragilità, ma nel profondo guarda ai colori del mondo. Come un cantastorie contemporaneo, Sicurella racconta l’amore nelle sue forme, attraversato da tormenti e catastrofi.

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“Ha il sottotesto di disco bianco perché esiste un disco nero – ancora inedito, precedente alla scrittura di Cigni- spiega Sicurella – Sono due dischi che partono dalle stesse domande. Siamo circondati in qualche modo da evidenze e comportamenti, che sembrano andare sempre verso la stessa direzione, meno che ad una condizione di consapevolezza tale che ci faccia cambiare rotta sul serio. Qualcuno di noi, magari lo fa, partendo da quanta acqua fa scorrere sul lavandino, al mattino, quando si lava i denti. Anche l’uso dello spazzolino in questo modo diventa politico”.

Dalle atmosfere che ricordano Karen O Danger Mouse per Universo e Fossili, ai Flaming Lips per Emi, a Sparklehorse e Beach House per OrbitaSicurella condensa tutto il suo universo musicale in un disco appassionato che suona a tratti apocalittico, a tratti delicato. Sintetizzatori, chitarre sparate e drum machine traducono in musica i conflitti interiori e quel senso di smarrimento. Arpeggi stellari, melodie celestiali, al contrario, riconducono all’amore e alla possibilità di assoluzione e salvezza.

L’album si apre con “Fossili“, brano che funge da preludio al disco, con la voce come prologo che descrive la fine del mondo su un organo epico. La comparsa di un elemento di rottura, un urlo, detta un cambio di registro, e un solo di chitarra gridato ne accentua il piglio incedente.

La fine del mondo, e ciò che ne rimane, sopraggiunge in “Città deserte“, dove un gioco di voci e un uso dosato di sintetizzatori, piano e violoncello fanno da sfondo a una storia d’amore immaginata in una città desertificata dalle voracità dell’essere umano, la cui presenza sembra quasi scomparsa, evaporata. “Orbita” è una ballata d’amore dream pop sui fumi dei copertoni nella tangenziale di una città abbandonata, nei corridoi dei supermercati ormai deserti. Come in un sogno lucido ci proietta in uno spazio romantico e apocalittico, da cui fare ritorno grazie ai ritmi scanzonati di “Emi“, un’esplosione caleidoscopica di suoni psichedelici, quasi come una cavalcata dei Flaming Lips sulle tracce dei Beatles. 

Il passo cambia con “Proprio tutto“, brano con una forte connotazione R&B e con un ritornello che si apre a un pop intimo e melodico per raccontare l’intimità dei due protagonisti che, stretti in un metro quadrato di un bagno pubblico, possono dirsi tutto, proprio tutto. Un po’ Wilco (nelle chitarre), un po’ Alabama Shakes (nell’uso della voce).

Cigni“, title-track dell’album, è un brano caldamente pop, dal sapore beatlesiano con reminiscenze da Dark night of the soul degli Sparklehorse e Danger Mouse: una radiografia del genere umano e un invito a lasciarsi andare.

In “Universo” un basso ostinato e synth accompagnano una riflessione sul senso della vita,una lucida immaginazione da cui realizzare che tutto è molto più che la sola finitezza del mondo: La mia casa è l’universo, canta Sicurella. Il passo diventa una corsa techno di percussioni nel brano strumentale “Giungla“: synth le cui ritmiche strizzano l’occhio in parte a Nicolas Jaar, impazzano in un’immaginaria corsa forsennata di tutti gli animali della foresta verso la luce. Infine, la quiete dopo la tempesta: l’album si chiude con la ballata “Aria“. “Sai che c’è? Che non riesco a dirmi ti amo. Non riesco a dirlo neanche a te. Anche se lo penso. In fondo, si, nella parte più recondita di me stesso, mi amo. E amo anche te“. L’accettazione della possibilità di abbandonarsi, nonostante tutto, nonostante la fine.

TRACKLIST

1.         Fossili

2.         Città deserte

3.         Orbita

4.         Emi

5.         Proprio tutto

6.         Cigni

7.         Universo

8.         Giungla

9.         Aria

“Il Cinema forte e gentile”, Stagni presenta il secondo volume

È in programma per mercoledì 12 aprile alle ore 11, alla Sala Polifunzionale “Arnaldo Leone” a L’Aquila in via XX Settembre 19, l’evento con lo storico del cinema Piercesare Stagni che presenterà alla stampa il secondo volume della sua pubblicazione “Il Cinema forte e gentile. I film girati in Abruzzo. Le trame, i luoghi e gli aneddoti” Vol. II – Arkhe’ Edizioni, opera completa e raccolta unica che racconta il legame tra l’Abruzzo e la settima arte.

Diventa così completa l’opera dell’appassionato e conosciutissimo Stagni, noto storico del Cinema e docente di Materie Filmiche, che in due volumi ha raccolto trame, luoghi, informazioni su attori e location di tutte le pellicole, italiane e straniere, girate nella nostra Regione dal 1922 al 2023.

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Il secondo volume de “Il Cinema forte e gentile” arriva dopo oltre quattro anni dalla pubblicazione del primo ed è dedicato alle produzioni realizzate nel territorio abruzzese dal 1978 al 2023, inclusi i film appena realizzati e di prossima distribuzione.

Un complesso e prezioso lavoro di ricerca e monitoraggio, reso ulteriormente difficile dai due anni di lockdown e dal conseguente, positivo proliferare di nuove produzioni, ma che finalmente vede la luce anche grazie al lavoro meticoloso e appassionato della aquilana Casa Editrice Arkhé, protagonista anch’essa di eventi culturali e di promozione del territorio.

Numerose e di prestigio le produzioni cinematografiche e televisive girate in Abruzzo, moltissime quelle nella provincia dell’Aquila, “terra avara di ricchezze materiali ma capace di regalare emozioni incredibili”, come racconta Stagni nella prefazione al primo volume della raccolta.

Lo stesso Piercesare Stagni sarà guida d’eccezione e voce narrante in due tour in ebike sui luoghi del cinema nell’Abruzzo Aquilano, previsti il 9 e 10 aprile prossimi, su iniziativa di WelcomeAq: Piercesare Stagni, insieme a Massimiliano De Santis, maestro di Mountain Bike e Cicloguida, accompagnerà gli appassionati di cinema e di escursioni naturalistiche in un tour alla scoperta delle location scelte nel cinema, da Navelli attraverso la piana di Centurelle fino a Bominaco e naturalmente L’Aquila.

ChatGpt, l’intelligenza artificiale e la privacy

L’intelligenza artificiale di ChatGpt non è esente da problemi tecnici e di privacy. Il popolare software ha smesso di funzionare e non è un pesce d’aprile. A causare il disservizio la decisione dello sviluppatore, OpenAI, di bloccare temporaneamente la piattaforma per un bug, una falla, che ha esposto i titoli delle conversazioni degli utenti.

Il contenuto delle conversazioni, come ha precisato OpenAI a Bloomberg, non è stato diffuso. Dopo aver intercettato il problema la società, su cui Microsoft ha investito molto nei mesi scorsi, ha bloccato l’accesso al chatbot per evitare che l’errore di privacy si estendesse ulteriormente.

Prima di essere messo offline, sulla pagina principale di ChatGpt, invece di vedere la cronologia dei titoli delle proprie chat con l’AI, si potevano leggere quelli, casuali, di altri navigatori. Il problema è stato confermato, poi ChatGpt è tornato a funzionare cinque ore dopo essere stato messo offline da OpenAI.

L’azienda non ha fornito dettagli sulla criticità, con un portavoce che si è limitato a dichiarare la problematica inerente la privacy, almeno per quanto ha riguardato le domande poste al software. Per evitare altri problemi, anche dopo la risoluzione, la cronologia degli utenti è rimasta indisponibile, con l’impossibilità di accedere alle domande fatte in precedenza all’intelligenza artificiale. La pagina di stato di ChatGpt specifica che OpenAI sta ancora lavorando per ripristinare il tutto. Nei giorni scorsi, l’organizzazione ha svelato Gpt-4, la nuova generazione del modello alla base di ChatGpt, che può analizzare anche immagini caricate dagli utenti, fornendo risposte sempre in forma testuale.

Metainferno, il viaggio di Dante in realtà aumentata (teaser)

Metainferno realtà aumentata

Dopo il successo della presentazione nella galleria non convenzionale Piano Zer0, l’esperienza di “Metainferno” è pronta a decollare. Il progetto della mostra immersiva ha lanciato un video teaser per presentare il percorso in realtà aumentata che gli artisti B-Visionary, Gugghy e Warrior0 hanno creato, con la direzione artistica di Claudio Guerrieri, per trasportare il pubblico negli Inferi descritti magistralmente da Dante Alighieri.

Metainferno” è la prima mostra immersiva sulla Commedia dantesca che si pone un obiettivo transgenerazionale. Quello di legare arte, scienza e tecnologia. Arrivare a tutte le generazioni e farle immergere totalmente nell’esperienza. Non solo una mostra classica, statica. Un qualcosa di dinamico che coinvolge lo spettatore.

I creatori, scherzando, hanno sottolineato come a differenza delle canoniche mostre nella loro fruizione si invitano le persone ad accendere i telefoni. Infatti tramite l’app “BVisionary” (scaricabile gratuitamente dagli store) inquadrando alcune installazioni si inizia il percorso. I, viaggio di Dante prende vita. Ci si immerge totalmente nell’esperienza.

Un’esperienza totale. Coinvolgere il pubblico, sia avvicinandolo alla cultura, all’opera dell’Alighieri, sia alla tecnologia della realtà aumentata.

Un progetto che diviene il primo passo. “Metainferno” è infatti solo l’inizio e sarà seguito da opere riguardanti Purgatorio e Paradiso. Il tutto condito da legami reali con la Commedia. Mostre, conferenze, approfondimenti che troveranno riscontro nei luoghi, nei personaggi, nelle idee innovative che Dante convertì in parole.

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La volontà è quella di coinvolgere a 360 gradi il pubblico. Nel vero senso della parola. La mostra, infatti, attraverso proiezioni video site-specific fanno scoprire come la nuova tecnologia può essere utilizzata per creare un’esperienza unica e intensa. L’immersione diventa totale grazie allo sfruttamento di tutti gli spazi espositivi. Tutte le pareti, pavimento, soffitto, diventano una tela ideale che accoglie il lavoro degli artisti.

Un viaggio, quello realizzato dai tre artisti, attraverso 5 installazioni in cui realtà aumentata e intelligenza artificiale sono i protagonisti. Dalle immagini delle 24 terzine del primo canto dell’opera dantesca trasposta in realtà aumentata, passando per un video mapping rappresentante l’ingresso dell’inferno. 

E ancora il lavoro in di Gugghy sul Teatro di Mariupol che ha ricreato un modello tridimensionale proiettato con un’animazione anaglifica.

Senza dimenticare il parallelismo tra l’inferno dantesco e quello reale, tangibile, sulla terra della guerra tra Russia e Ucraina. Filmati dei presidenti Putin, Zelensky e Biden sono stati lavorati attraverso l’intelligenza artificiale dando ai tre un aspetto infernale.

Il punto sicuramente maggiormente immersivo, un’esperienza totale, è il concerto live. Il lavoro compiuto sul primo film muto su Dante, datato 1911 a Velletri e realizzato con una cinepresa regalata dai fratelli Lumiere, vuole essere il primo omaggio in realtà aumentata al Sommo Poeta. Esattamente come il cortometraggio di inizio XX secolo lo fu sulla pellicola.

Le immagini del film vengono infatti lavorate e proiettate in realtà aumentata e contemporaneamente suonate. Avviene infatti un concerto live, dove uno degli strumenti è proprio il video. Dal muto della prima opera si passa a immagini musicate dal vivo e remixato live con contenuti generati dall’intelligenza artificiale.

La tecnologia incontra i sensi dello spettatore trasportandolo dapprima nella selva oscura per poi arrivare negli abissi esplorati dal poeta fiorentino. Immagini e suoni vengono lavorati dalla tecnologia per far sì che l’immersione sia sempre totale. Dalla performance del live cinema, alle immagini stereoscopiche in 3d, passando per il videomapping che anima una maschera demoniaca mentre la voce di Carmelo Bene recita “All’amato me stesso” di Vladimir Majakovskij.

A breve usciranno tutti gli appuntamenti (sul sito www.metainferno.it/) di presentazione di tutto il progetto che ha l’obiettivo di raccontare arte e scienza attraverso un’esperienza totale. Attraverso un’immersione nella mostra “Metainferno”.

“Dieci Decimi”, l’album che festeggia i 10 anni di Schola Romana

Schola Romana dieci decimi

Il decimo anniversario di Schola Romana non poteva che essere celebrato con un album che omaggia e racconta Roma, culla dell’intero progetto ma anche inevitabile ispiratrice di musica e vita. A distanza di 6 anni dall’ultimo lavoro, Davide Trebbi, con la collaborazione di Edoardo Petretti, ha dato così vita a “Dieci Decimi”, in uscita su tutte le piattaforme digitali lunedì 3 aprile e con produzione indipendente in cd e vinile.

Un «album su rotaia» che narra scorci, personaggi, storie della capitale; un disco che si propone di avere una visuale completa (10/10, appunto) della Capitale, raccontata attraverso 7 pezzi originali, 2 cover e 1 intermezzo; un viaggio in dieci brani in cui la Città Eterna è sia protagonista sia cornice con una galleria scanzonata e fedele di personaggi che la vivono, la percorrono e talvolta la maltrattano. 

La Roma di “Dieci Decimi” parte, quindi, dal tram numero 3 (con la traccia “Er Tre“) per finire con “Stazione Termini“, crocevia di arrivi, partenze, malinconie e solitudini.

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Per raccontare e ammirare Roma- spiega Davide Trebbi– il viaggio di Dieci Decimi inizia proprio da un giro sulla circolare più famosa di Roma. E palazzo dopo palazzo, strada dopo strada, l’urbe si rivela al passeggero e ogni luogo parla, canta, racconta storie: dal bombardamento di San Lorenzo alle statue in sottana della Basilica di San Giovanni. Da Viale Manzoni, con l’Alessandro in questione che si tace al teatro Brancaccio in cerca degli antichi fasti artistici, fino a concludere il giro al tramonto davanti a Porta San Paolo. Resistenze di un tempo e persistenze presenti perché Roma questo è: una città sempre presente al mondo e a se stessa ogni giorno. Un passato universale e un presente capitale dove il pubblico e il fatto privato si incontrano”.

Ecco quindi Roma che si svela all’ascoltatore, tra rime romanesche, poesia e le sonorità inconfondibili di Schola Romana. 

E se “Interno 5“, la seconda traccia ispirata alla prosa di Cesare Pascarella, ci porta in una casa, in un condominio come tanti, con umanità diverse e bizzarre e sensibilità artistiche… uscendo dal portone ci si ritrova a Ponte Sant’Angelo con “Boia nun passa ponte”, in cui la storia incontra la leggenda di Mastro Titta, boia di Roma, che quel ponte attraversava per andare a eseguire le condanne capitali, spesso esemplari, commissionategli dal Papa re. 

La quarta traccia ci riporta agli anni ’70, quelli di Antonello Venditti e di “A Cristo“, ballata politica e ironica che ci ricorda gli equilibri dell’epoca con un talking blues tra padre eterno e discendenza e con un ulteriore omaggio di Schola Romana ad Antonello Venditti, nel rivendicare un giovanile ammazzate Gesù Crì quanto sei fico, che costò al cantautore romano – all’epoca neanche trentenne – un fermo in caserma per vilipendio alla religione cattolica. 

Si arriva così al cuore del disco – in questo caso in italiano e non in romanesco – con “L’albero“. Ispirato all’attuale conflitto in Ucraina, il brano vuole cantare l’umanità e la speranza che resistono durante ogni guerra. La traccia numero 6 vede un prologo strumentale (“Il giorno, la notte, la guerra“) al piano sequenza in musica di “16 Ottobre ’43” (settima traccia), il sabato nero della comunità ebraica romana. È la rappresentazione del silenzio d’inferno che rimane a testimoniare lo svuotamento del ghetto all’alba di quel sabato maledetto. Ma è anche ritratto della colpevolezza di tutti gli attori dell’epoca, da Papa Pio XII al popolo italiano tutto, testimoni distratti una delle più oscene tragedie del ‘900. Su questa traccia è presente l’oud, liuto arabo, per precisa volontà di raccontare Roma come risultato di un universalismo musicale e culturale, fin dai tempi antichiDa qui l’idea di inserire un suono del Mediterraneo.

Per alleggerire la tensione il disco diventa sentimentale, o quasi: “Amore che nun parli“, traccia 8, con la voce di Alice Clarini, aiuta l’ascoltatore a riprendere fiato sui toni della ballad dolcemente realista, disincantata e tutto sommato speranzosa. Prima di arrivare a Termini e alla conclusione dell’album c’è però anche spazio per una traccia originale quanto curiosa: “Regginella“, storia di un’ape accecata da luci artificiali e da venti di inquinante modernità che nella sua lotta per la sopravvivenza sembra assomigliare a un paziente in seduta psicanalitica. Il disco si chiude sulle note anni ’50, nostalgiche e infallibili, di un brano poco conosciuto e riscoperto per l’occasione: “Stazione Termini“, a firma Cerri/Testa, affresco della stazione centrale dell’urbe che vede passare coppie e umanità disparata.

Davide Trebbi è nato a Roma poco dopo la primavera del 1980. Musicante, libero pensatore, trovatore innamorato di tutto. Cantautore. Da concerti pubblici e lezioni private.Ha pubblicato diversi album musicali, preso parte a commedie teatrali, fatto il direttore artistico. Parla 5 lingue. Non possiede una tv. Attualmente in concerto con Schola Romana, di cui é autore e ideatore.

Edoardo Petretti è un pianista, tastierista e fisarmonicista di estrazione jazz. Si diploma in pianoforte classico al Conservatorio di Frosinone sotto la guida del Maestro Carlo Negroni, contribuendo così a indirizzare la sua ricerca verso un suono che combini la musica improvvisata, il lirismo d’estrazione classica e la sperimentazione jazzistica. Nel suo percorso, ricco di numerose collaborazioni, affianca all’attività di session man quella di Arrangiatore e Produttore nell’ambito della musica leggera. Dopo i riconoscimenti all’interno del prestigioso “Premio Tenco” nelle diverse categorie, nel 2021 è arrangiatore e direttore d’Orchestra al 71° Festival della canzone Italiana di Sanremo.

Dieci Decimi” sarà presentato dal vivo il 23 Aprile all’Asino che Vola alle ore 21, poco dopo il Natale di Roma del 21 Aprile. 

Agatha Christie era razzista (così è se vi pare)

Agatha Christie razzista

L’idea circolava da un po’. Ma il Daily Telegraph ne ha dato contezza. Come riportato dall’autorevole tabloid britannico le nuove edizioni dei famosi romanzi gialli di Agatha Christie verranno edulcorate nelle nuove edizioni digitali a cura dell’editore Harper Collins.

I famosi investigatori Hercule Poirot e Miss Marple, usciti dalla penna della romanziera inglese, evidentemente turbavano la sensibilità di qualche lettore in quanto contenenti “descrizioni, insulti o riferimenti all’etnia, in particolare per i personaggi che i protagonisti di Christie incontrano al di fuori del Regno Unito“.

Nell’era del politicamente corretto, del pensiero unico e dell’inno all’egualitarismo, la mannaia della censura non poteva non cadere sulla povera Christie (scusate il gioco di parole che potrebbe far risentire i cristiani).

Fregandosene dell’intento della scrittrice, dell’epoca in cui scriveva, della cultura del tempo e dei modi di dire, il politically correct non fa sconti.

Un esempio su tutti. Il celebre “Poirot e il mistero di Styles Court“, romanzo d’esordio della nativa di Torquay, Poirot si riferisce ad un personaggio affermando che sia “un ebreo”. Detto fatto. Nella nuova edizione non c’è. Con i potenti mezzi a disposizione dei nuovi amanuensi il terribile riferimento religioso, che magari poteva sottintendere anche un dire dispregiativo, sparisce. Facendo perdere però qualcosa anche alla personalità dell’investigatore.

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Non è certo un’apologia del razzismo, della xenofobia e chi più ne ha più ne metta. Ma semplicemente l’idea di lasciare le opere così come sono. Per capire uno scrittore, un personaggio, un’opera, il periodo in cui fu prodotta, occorre leggerla integralmente. Senza revisioni e censure. Altrimenti ci si appropinquerebbe a un’altra cosa.

Ma nell’era in cui un’insegnante deve subire una gogna mediatica e proteste per aver fatto vedere il David di Michelangelo alla propria classe, questo era da aspettarselo. D’altronde non è il primo e purtroppo neanche l’ultimo caso. Poche settimane fa il processo di repulisti toccò anche a “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato“.

Insomma questa spasmodica volontà di non offendere nessuno, di includere a tutti i costi, porta molto spesso a risultati opposti. Come nel caso dei cartoni Disney censurati per presunti messaggi razzisti in Dumbo o negli Aristogatti. Una psicosi generale che sembra scadere nel mondo paventato da Ray Bradbury nel suo “Fahrenheit 451“, dove gli unici libri, le uniche fonti d’informazioni possibili erano quelle preconfezionate dal governo. Tutti uguali. Ma tutti nessuno.

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“Alboran Solo – The wind is coming”, il nuovo album di Paolo Paliaga

Paliaga paolo paliaga

È disponibile da oggi, venerdì 31 marzo, in formato fisico e sulle principali piattaforme digitali l’album “Alboran Solo – The wind is coming” del pianista e compositore varesino Paolo Paliaga.

Registrato lo scorso ottobre presso l’Artesuono studio recording di Stefano Amerio a Cavalicco (Udine), pubblicato dall’etichetta giapponese Da Vinci Publishing e distribuito da Egea Music, “Alboran Solo – The wind is coming” è il secondo album in piano solo del musicista lombardo, a oltre vent’anni di distanza da “Meriggi e ombre”.

Il nuovo lavoro include 17 brani, in gran parte originali, ma non mancano riletture personali di celebri composizioni e felici momenti improvvisativi, che testimoniano la fertile vena creativa dell’autore. Apre il disco “The song of waves”, pezzo evocativo del navigare e del movimento ipnotico delle onde sul mare (Paliaga è un appassionato velista), seguito da “Lejos”, dedicato alle vittime della pandemia
da Covid.

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La terza traccia è una versione, personale ma rispettosa, di “You’d Be So Nice To Come Home To” di Cole Porter: uno standard grazie al quale Paliaga si confronta con la tradizione, non rinunciando a esprimere la propria idea del pianismo jazz. In “Surprise” il nostro si affida
all’improvvisazione, alla ricerca di tutto il potenziale sonoro che il pianoforte offre, mentre in “Nothing serious” racconta lo spirito del blues senza suonare “il” blues, per esprimere una pulsazione e una dimensione jazz che sia anche libertà e innovazione. Il secondo omaggio dell’album è a Keith Jarrett, uno dei pianisti di riferimento di Paliaga (insieme a John Taylor, Brad Mehldau, Chick Corea e Richie Beirach), e alla sua “Prism”, composizione affascinante e articolata che per il musicista varesino è, da sempre, fonte d’ispirazione. Nel settimo brano del disco, “Ora non è allora”, Paliaga sottolinea l’importanza del presente, del qui e adesso, che non può e non deve essere contaminato dalle
vicissitudini del passato, mentre in “Lakes” l’autore dà di nuovo spazio all’improvvisazione, con la quale sottolinea il fascino e la bellezza malinconica dei laghi, ambienti a lui cari.

“O grande amor” di Tom Jobim è la base di partenza per lanciarsi in un’improvvisazione che da bossa nova diventa altro, pensando all’amato J.S. Bach e annullando le barriere e le etichette che troppo spesso diamo alla musica. In “Remembering Paris” le armonie che mutano evocano le passeggiate, fino a perdersi, nei quartieri meno conosciuti e più autentici della capitale francese, città in cui Paliaga ha vissuto per circa tre anni; “Evolving frug” è una composizione già registrata con l’Alboran Trio e qui ripresa sotto forma di suite, dedicata al figlio Nicolàs. Un’altra dedica (alla moglie Catalina) è il brano “Cancion”, caratterizzato da una melodia semplice come quella di una canzone. “The wind is coming”, la title track, è il tredicesimo brano dell’album: si tratta di una composizione di qualche anno fa (mai registrata prima) che rappresenta un nodo armonico che si scioglie dopo una tensione, metafora di ogni crisi che contiene il germe della sua soluzione, proprio come il navigatore che matura insofferenza per la fatica, prima che arrivi il vento a sbloccare l’impasse, facendo ripartire la navigazione, metafora del vivere.

Ancora: “Our spanish love song” di Pat Metheny e Charlie Haden offre al musicista varesino la possibilità di improvvisare, pensando al brano come fosse una composizione classica e non necessariamente jazz. Nel disco c’è spazio per altre due cover, inframmezzate da “Finale di partita”, un puro lasciarsi andare nel suono e nel suonare, senza strutture: si tratta di “El pueblo unido jamás será vencido”, celeberrima hit di Sergio Ortega e del gruppo cileno Quilapayún («Una melodia commovente e bellissima, che parla di solidarietà, di lotte comuni e di una precisa visione del mondo. Credo sia sempre più attuale – afferma il pianista – e mi è sembrato importante riprenderla per tenerne in vita lo spirito») e “Gracias a la vida” di Violeta Parra, cantautrice e poetessa cilena, che chiude l’album, proposta con un mood latino, tra leggerezza e imprevedibilità.

Afferma Paolo Paliaga: «Nel piano solo i tre elementi della musica – il ritmo, l’armonia e la melodia – si concentrano nelle mani del pianista, ma dipendono soprattutto dalla sua maturità artistica, dalla sua visione e dal suo approccio estetico al mondo. Il pianista gioca con questi tre elementi come un giocoliere lancia le sue clave al cielo e cammina sul filo dell’improvvisazione come un funambolo sulla fune, sospeso nel vuoto. Nel piano solo non ci sono compromessi, non ci sono reti di protezione né luoghi dove nascondersi o mimetizzarsi: il piano solo espone chi suona in tutte le sue dimensioni e non lascia scampo. Per questo è un’esperienza totale, completa, fascinosa e terribile al tempo stesso. In sostanza, è un’esperienza vitale».

Pianista e compositore interessato alla ricerca e all’esplorazione di nuove sonorità, Paolo Paliaga è un musicista che si muove da artista contemporaneo, non strettamente legato alla tradizione jazzistica ma pronto a valicare la linea di demarcazione tra generi e stili.

Tra le sue collaborazioni spiccano quelle con Enrico Rava, Barbara Casini, Gianni Basso e Ares Tavolazzi in ambito jazzistico e con il pianista classico Roberto Plano, con il quale ha pubblicato il cd “Inspiration – Improvisations For Two Pianos”.

Paliaga è attivo sulla scena nazionale e internazionale da molti anni con diverse formazioni e ha inciso più di una quindicina di lavori con i gruppi Alboran Trio, Horizon quartet e il quartetto che porta il suo nome. Con l’Alboran Trio, formazione completata dal contrabbassista Dino Contenti e dal batterista Ferdinando Faraò, si è aggiudicato nel 2020 con l’album “Islands” il prestigioso “Golden Prize”, riconoscimento per il miglior disco strumentale dell’anno assegnato dai critici della rivista giapponese Jazz Hyhyo.

David di Donatello, le candidature

David di Donatello 2023

Tutto pronto per la  68^edizione dei David di Donatello, il più importante premio cinematografico italiano. Il 10 maggio avverrà la premiazione negli studi Cinecittà Lumina dei film in gara, in onda in prima serata su Rai 1 condotta da Carlo Conti.

Qui di seguito le candidature delle pellicole uscite dal 1° marzo 2022 al 31 dicembre 2022 votate dal 1° al 14 marzo 2023 dai componenti la giuria dell’Accademia del Cinema Italiano.

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MIGLIOR FILM

Esterno notte“, di Marco Bellocchio, che con 18 candidature guida il gruppo. Seguito da “La Stranezza” di Roberto Andò a pari merito “Le otto montagne” di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeers con Borghi e Marinelli. Con 11 nomination risulta candidato “Il signore delle formiche” di Gianni Amelio. “Nostalgia” di Mario Martone con Pierfrancesco Favino solo 9.

MIGLIOR REGISTA

Nessuna donna tra i registi candidati che risultano essere appunto Marco Bellocchio, Gianni Amelio, Roberto Andò, Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersh e Mario Martone

La presenza femminile è prepotente nella categoria di esordio alla regia, dove c’è il record di ben 3 registe: Carolina Cavalli (“Amanda”), Jasmine Trinca (“Marcel!”) e Giulia Louise Steigerwalt (“Settembre“). Gli altri in gara sono Niccolò Falsetti (“Margini“) e Vincenzo Pirrotta (“Spaccaossa“)

MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA

Fabrizio Gifuni – “Esterno notte”

Luigi Lo Cascio – “Il signore delle formiche”

Ficarra e Picone – “La stranezza”

Alessandro Borghi – “Le otto montagne”

Luca Marinelli – “Le otto montagne”

MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA

Benedetta Porcaroli – Amanda

Margherita Buy – Esterno notte

Penelope Cruz – L’immensità

Barbara Ronchi – Settembre

Claudia Pandolfi – Siccità

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA

Giovanna Mezzogiorno – Amanda

Daniela Marra – Esterno notte

Giulia Andò – La stranezza

Aurora Quattrocchi – Nostalgia

Emanuela Fanelli – Siccità

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE

Astolfo (Gianni Di Gregorio, Marco Pettenello)

Chiara (Susanna Nicchiarelli)

Esterno Notte (Marco Bellocchio, Stefano Bises, Ludovica Rampoldi, Davide Serino)

Il Signore delle Formiche (Gianni Amelio, Edoardo Petti, Federico Fava)

L’Immensità (Emanuele Crialese, Francesca Manieri, Vittorio Moroni)

La Stranezza (Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso)

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE

Bentu (Salvatore Mereu)

Brado (Massimo Gaudioso, Kim Rossi Stuart)

Il Colibrì (Francesca Archibugi, Laura Paolucci, Francesco Piccolo)

Le Otto Montagne (Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersh)

Nostalgia (Mario Martone, Ippolita Di Majo)

MIGLIOR SCENOGRAFIA

Esterno notte: Andrea CASTORINA, Marco MARTUCCI, Laura CASALINI

Il signore delle formiche: Marta MAFFUCCI, Carolina FERRARA

L’ombra di Caravaggio: Tonino ZERA, Maria Grazia SCHIRIPPA, Marco BAGNOLI

La stranezza: Giada CALABRIA, Loredana RAFFI

Le otto montagne: Massimiliano NOCENTE, Marcella GALEONE

MIGLIOR COMPOSITORE

Esterno notte: Fabio Massimo CAPOGROSSO

Il pataffio: Stefano BOLLANI

La stranezza: Michele BRAGA, Emanuele BOSSI

Le otto montagne: Daniel NORGREN

Siccità: Franco PIERSANTI

MIGLIOR CANZONE ORIGINALE

Diabolik – Ginko all’attacco! SE MI VUOI: DIODATO

Il colibrì CARO AMORE LONTANISSIMO: Sergio ENDRIGO, Riccardo SENIGALLIA, Marco MENGONI

Il pataffio CULI CULAGNI: Stefano BOLLANI, Luigi MALERBA, Stefano BOLLANI

Margini LA PALUDE: Niccolò FALSETTI, Giacomo PIERI, Alessio RICCIOTTI, Francesco TURBANTI, Francesco TURBANTI, Emanuele LINFATTI, Matteo CREATINI

Ti mangio il cuore PROIETTILI (TI MANGIO IL CUORE): Joan THIELE, Elisa TOFFOLI, Emanuele TRIGLIA, ELODIE, Joan THIEL

MIGLIOR FOTOGRAFIA

Esterno notte: Francesco Di Giacomo

I racconti della domenica – La storia di un uomo perbene: Giovanni Mammolotti

La stranezza: Maurizio Calvesi

Le otto montagne: Ruben Impens

Nostalgia: Paolo Carnera

MIGLIOR TRUCCO

Dante: Federico Laurenti, truccatore prostetico o special make-up Lorenzo Tamburini

Esterno notte: Enrico Iacoponi

Il colibrì: Paola Gattabrusi, truccatore prostetico o special make-up Lorenzo Tamburini

Il signore delle formiche: Esmé Sciaroni

L’ombra di Caravaggio: Luigi Rocchetti

MIGLIORI COSTUMI

Chiara: Massimo Cantini Parrini

Esterno notte: Daria Calvelli

Il signore delle formiche: Valentina Monticelli

L’ombra di Caravaggio: Carlo Poggioli

La stranezza: Maria Rita Barbera

MIGLIORI ACCONCIATURE

Esterno notte: Alberta Giuliani

Il signore delle formiche: Samantha Mura

L’immensità: Daniela Tartari

L’ombra di Caravaggio: Desiree Corridoni

La stranezza: Rudy Sifari

MIGLIOR MONTAGGIO

Esterno notte: Francesca Calvelli (con la collaborazione di Claudio Misantoni)

Il signore delle formiche: Simona Paggi

La stranezza: Esmeralda Calabria

Le otto montagne: Nico Leunen

Nostalgia: Jacopo Quadri

MIGLIOR SUONO

Esterno notte: Presa diretta Gaetano Carito, Post-Produzione Lilio Rosato, Mix Nadia Paone

Il signore delle formiche: Presa diretta Emanuele Cicconi, Post-Produzione Mimmo Granata, Mix Alberto Bernardi

La stranezza: Presa diretta Carlo Missidenti, Post-Produzione Marta Billingsley, Mix Gianni Pallotto

Le otto montagne: Presa diretta Alessandro Palmerini, Post-Produzione Alessandro Feletti, Mix Marco Falloni

Nostalgia: Presa diretta Emanuele Cecere, Post-Produzione Silvia Moraes, Mix Giancarlo Rutigliano


MIGLIORI EFFETTI VISIVI

Dampyr: Alessio Bertotti, Filippo Robino

Diabolik – Ginko all’attacco!: Simone Silvestri, Vito Picchinenna

Esterno notte: Massimo Cipollina

Le otto montagne: Rodolfo Migliari

Siccità: Marco Geracitano

MIGLIOR DOCUMENTARIO

Il cerchio: Sophie Chiarello

In viaggio: Gianfranco Rosi

Kill Me If You Can: Alex Infascelli

La timidezza delle chiome: Valentina Bertani

Svegliami a mezzanotte: Francesco Patierno

MIGLIOR FILM STRANIERO

Bones and All

Elvis

Licorice Pizza

The Fabelmans

Triangle of Sadness


DAVID GIOVANI

Corro da te – Riccardo Milani

Il colibrì – Francesca Archibugi

L’ombra di Caravaggio – Michele Placido

La stranezza – Roberto Andò

Le otto montagne – Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersh

Il caso Alex Schwazer, in arrivo la docuserie

Alex Schwazer netflix

L’ascesa, la caduta e il tentativo di risalita del campione italiano di marcia Alex Schwazer arrivano su Netflix. A partire dal 13 aprile la docuserie di 4 puntate ideata e diretta da Massimo Cappello affronta tutte le fasi della carriera sportiva e della vicenda giudiziaria che lo ha travolto.

 L’incontro tra l’atleta olimpico in cerca di redenzione, Alex Schwazer, e un allenatore simbolo dello sport pulito, Sandro Donati, innesca un intrigo internazionale che sconvolge le loro vite e mette in crisi il sistema dell’antidoping. Il caso Alex Schwazer svela, per la prima volta, i retroscena di un’intricata vicenda senza precedenti.

L’unione con il proprio nemico per risalire la china.

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Alex Schwazer è stato, infatti, al centro di due squalifiche per doping. La prima Il 6 Agosto 2012 viene annunciata la positività dell’atleta all’eritropoietinache gli costò l’esclusiione, decisa dal CONI, dalla squadra della 50 km di marcia dei Giochi olimpici del successivo 11 agosto, mentre il giorno seguente sempre il CONI sospende l’atleta su richiesta del Tribunale Nazionale Antidoping.

La seconda, molto criticata, nel 2016. I livelli di testosterone secondo il suo team erano a livelli minimi e non avevano effetti dopanti. Una serie di ricorsi, di denunce e di inchieste che arrivarono al 18 febbraio 2021 quando il Gip del Tribunale di Bolzano dispose l’archiviazione del procedimento penale per “non aver commesso il fatto”, ritenendo “accertato con alto grado di credibilità razionale” che i campioni di urina “siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e, dunque, di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore, Sandro Donati”.

Netflix cerca di ripercorrere tutto ciò. Marciando al fianco della carriera e dei guai di un atleta giudicato troppo presto.

Bisio ad Avezzano in un viaggio agrodolce sulla vita: “Mi piace il teatro perché è live, la reazione immediata del pubblico è impagabile”

Foto di Marina Alessi

Dalla prima fidanzata alle gemelle Kessler, dai mondiali di calcio all’impegno politico, dall’educazione sentimentale alla famiglia o alla paternità, dall’Italia spensierata di ieri a quella sbalestrata di oggi, fino alle scelte professionali e artistiche che inciampano in Bertolt Brecht o si intrecciano con Mara Venier: lo spettacolo “La mia vita raccontata male” con Claudio Bisio, andato in scena al Teatro dei Marsi di Avezzano, si dipana in una sequenza di racconti e situazioni che, inesorabilmente, costruiscono una vita che si specchia in quella di tutti.

Attingendo dai romanzi di Francesco Piccolo, la pièce, che a tratti ricorda il teatro – canzone di Gaber, con la direzione di Giorgio Gallione, è montata in un continuo, perfido e divertentissimo ping-pong tra vita pubblica e privata, reale e romanzata, racconta “male”, in musica e parole: tutto ciò che per scelta o per caso concorre a fare di noi quello che siamo.

Utilizzando le parole di Claudio Bisio lo spettacolo potrebbe essere spiegato così:

Esagerando un po’, si potrebbe dire che è una summa dell’opera di Francesco Piccolo, c’è qualcosa di inedito, brani da racconti e romanzi precedenti al Premio Strega, anche se la storia si basa per l’appunto sul libro “Il desiderio di essere come tutti”. Alla fine, lo spettacolo è il tentativo di attraversare la vita di una persona che assomiglia a me, ovviamente a Piccolo, ma in realtà anche a molti altri, a iniziare dal regista Giorgio Gallione. Siamo dei boomers! Lo spettacolo è la storia di una generazione, quella nata tra gli anni Cinquanta e Sessanta, cresciuta guardando Carosello e le Kessler, quella che ricorda il Muro di Berlino e i Mondiali di calcio del ’74“, spiega l’attore piemontese.

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Ma perchè la vita messa in scena è raccontata “male”?

“È un omaggio che facciamo a un amico, Gipi, che ha intitolato una sua graphic novel La mia vita disegnata male, un titolo che sia a me che a Giorgio Gallione è sempre piaciutospiega Claudio Bisio Raccontiamo “male” nel senso che non seguiamo una cronologia rigorosa, andiamo avanti e indietro nel tempo, anche se si parte con ricordi dell’infanzia e si arriva sino alle problematiche della vita adulta, facendo emergere un percorso come in una sorta di grande puzzle. E poi “male” perché non raccontiamo solo le cose belle della vita, ma anche episodi negativi, sentimenti e fatti politicamente scorretti, non edulcoriamo niente. Ma Piccolo in questo senso è un maestro e noi lo seguiamo, e ovviamente speriamo di raccontare bene le sue storie“.

Claudio Bisio si muove sul palco in una tessitura sorprendente, accompagnato nella narrazione dai musicisti Marco Bianchi e Pietro Guarracino, facendo emergere un concetto fondamentale, relativo al viaggio in cui la vita ci conduce: un viaggio agrodolce, che spesso non è esattamente come vorremmo noi.

“La mia vita raccontata male” a fine 2020 era pronto per il debutto ma i teatri chiusero a causa della pandemia. Bisio e Gallione hanno ripreso, quindi, la messa in scena dello spettacolo nel 2022 e ad oggi molti sono i palchi che dovranno calcare nel corso del 2023. Protagonista nel mondo del cinema e della tv, Claudio Bisio ha iniziato la sua carriera proprio in teatro, superando i 40 anni di attività, ma sempre con una piccola predilezione per il rapporto diretto con il pubblico.

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Mi piace il teatro perché è live, succede tutto in quel momento, su quel palco, poi svanisce per sempre, qualsiasi replica sarà diversa – spiega Bisio – Mi piace fare il cinema, la televisione, ma la reazione immediata del pubblico in teatro è impagabile, soprattutto quando si portano in scena spettacoli come questo, che anche se hanno momenti più riflessivi sono in gran parte comici“.

Foto di Marina Alessi

Joe Satriani, tutto pronto per il tour italiano

Joe Satriani earth tour

Joe Satriani, una delle figure più prestigiose nella storia della musica rock, arriva in Italia con il suo “Earth Tour”. 

Ecco i sei imperdibili live del musicista: lunedì 24 aprile 2023 a Milano (Teatro Dal Verme), mercoledì 26 aprile 2023 a Napoli (Teatro Augusteo), venerdì 28 aprile 2023 a Lecce (Teatro Politeama Greco), sabato 29 aprile 2023 a Roma (Auditorium Conciliazione), domenica 30 aprile 2023 a Firenze (Teatro Verdi) e martedì 2 maggio 2023 a Bologna (Teatro Europauditorium).

I biglietti sono in vendita online su vivoconcerti.com.

Vero e proprio pioniere, nonché esempio di stile per tutti coloro che a lui si sono ispirati, Joe Satriani è uno dei musicisti più acclamati al mondo, nato artisticamente negli anni ’80, l’epoca d’oro dei chitarristi, visti come dei veri e propri eroi. Nato a Long Island, classe 1956, comincia a suonare la chitarra da autodidatta a 14 anni, influenzato dal grande amore per Jimi Hendrix, e dopo qualche anno inizia a prendere lezioni di jazz. 

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Nel 1978 inizia a suonare con alcune piccole band locali, grazie alle quali riesce a migliore le sue prestazioni, empatizzare con il palco e guadagnare la fiducia in se stesso. Nel 1986 si unisce a The Greg Kihn Band, rivelandosi come la prima vera opportunità per Satriani. Quello stesso anno il chitarrista pubblica il suo primo full-length album da solista dal titolo ‘Not of This Earth’. L’anno successivo pubblica il secondo progetto discografico ‘Surfing with the Alien’ per Relativity Records, che lo trasforma in una vera super star: il disco è certificato platino RIAA, ottiene critiche positive dalla stampa e, considerato tra i lavori più rilevanti del rock mainstream, si classifica alla posizione #29 nella classifica Top 200 album di Billboard.

Nel 1988, Mick Jagger chiede a Joe di accompagnarlo nel suo tour solista: il chitarrista accetta ben volentieri l’offerta, partendo con il cantante e leader dei Rolling Stones per il Giappone. Tornato da quell’esperienza pubblica il suo terzo album in studio ‘Flying in a Blue Dream’ in cui il chitarrista registra anche dei cantati, rivelandosi un successo: i singoli ‘One Big Rush’ e ‘Big Bad Moon’, infatti, raggiungono rispettivamente la posizione #23 e #17 nella classifica Mainstream Rock di Billboard. Nel 1992 SATRIANI pubblica ‘The Extremist’, album contenente il celebre brano hard rock ‘Summer Song’ certificato disco d’oro, che raggiunge la posizione #22 nella classifica Billboard e che conta attualmente 3,2 milioni di streams su Spotify.

Dopo aver pubblicato nel 1995 il suo sesto e omonimo album, fonda Tour G3, una tournée ideata con Steve Vai ed Eric Johnson con il fine di far conoscere al mondo i chitarristi più virtuosi della scena musicale rock: dato il grande successo, l’evento diventa una vera e propria istituzione e da allora ogni anno collabora con un diverso gruppo di chitarristi a rotazione.

Nel 1998 il musicista pubblica l’album ‘Crystal Planet’, certificato disco d’oro nel Regno Unito e che raggiunge la posizione #50 nella classifica dei Migliori 200 Album per Billboard USA. I primi anni duemila sono tra i più produttivi per il chitarrista che pubblica ‘Engines of Creation’ (2000), un album con sfumature elettroniche; ‘Live in San Francisco’ (2001); ‘Strange Beautiful Music’ (2002); ‘The Electric Joe Satriani: An Anthology’ (2003), una raccolta dei migliori brani dell’artista; ‘Is There Love in Space?’ (2004) e ‘Super Colossal’ (2006). 

Nel 2009 Joe Satriani insieme a Sammy Hagar, Michael Anthony (ex componenti dei Van Halen) e a Chad Smith (ex batterista dei Red Hot Chili Peppers) fonda il supergruppo Chickenfoot, con il quale pubblica due album, pur continuando a lavorare ai suoi progetti da solista. Il 2012 è l’anno dell’album live ‘Satchurated’, seguito da ‘Unstoppable Momentum’ (2013) e ‘Shockwave Supernova’ (2014). Nel gennaio 2018, torna con il suo sedicesimo album in studio, ‘What Happens Next’, registrato insieme al suo compagno di band Chad Smith, alla batteria, e insieme a Glenn Hughes, bassista dei Deep Purple.

Durante la pandemia, Joe Satriani ha composto l’album “The Elephants of Mars” uscito ad aprile 2022 e preceduto dal singolo “Sahara”. Nella sua carriera trentennale ha venduto più di 10 milioni tra registrazioni dal vivo e album in studio, e ha ottenuto 15 nomination ai Grammy.

Addio a Gianni Minà, cantore dei grandi dello sport e dello spettacolo

“Gianni Minà ci ha lasciato dopo una breve malattia cardiaca. Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari. Un ringraziamento speciale va al prof. Fioranelli e allo staff della clinica Villa del Rosario che ci hanno dato la libertà di dirgli addio con serenità”.

Con questo messaggio condiviso sulla sue pagine social si annuncia la morte del grande giornalista, scrittore e conduttore televisivo che aveva 84 anni.

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Nato a Torino il 17 maggio 1938, ha iniziato la carriera giornalistica nel 1959 a Tuttosport, quotidiano di cui è stato poi anche direttore per due anni dal 1996 al 1998.

Nel corso della sua carriera ha collaborato con quotidiani e settimanali italiani e stranieri, ha realizzato centinaia di reportage, ha ideato e presentato programmi televisivi e ha girato film documentari su personaggi famosi come Che Guevara, Muhammad Ali, Fidel Castro, Rigoberta Menchù, Silvia Baraldini, il subcomandante Marcos e Diego Armando Maradona. 

Iconica, tra le tante, resta la foto che lo ritrae gioioso a cena a Roma con Muhammad Ali, Sergio Leone, Robert De Niro e Gabriel García Marquez.

Questo il ricordo del giornalista Marino Bartoletti sui social network:

Che altro volete da noi tempi maledetti? Quale altro sacrificio pensate di pretendere? Quale altro dolore ci volete infliggere? Quale altro amico ci volete strappare? Siete sicuri che Gianni Minà non potesse restare ancora un altro po’ con noi? O volete ulteriormente acuire il rimorso di un’ultima telefonata non fatta, di un messaggio evaso con una riposta che ora sembra solo di circostanza?

“A presto Marino” mi aveva scritto premuroso pochi giorni fa. A presto dove, quando, dannazione? Vicino a chi? Forse – se Dio volesse – a Muhamed, a Pino, a Diego, a Fidel, a Marco, a Massimo, a Enzo, a Pietro, a John, a George… Gli altri aggiungeteli voi: ma non sarebbero mai tanti quanti Gianni ne ha incontrati veramente.

Se n’è andato un geniale inventore di un giornalismo fatto di passione, di camicie sudate, di agende enciclopediche mai tradotte in data-base: di meravigliose amicizie coniugate con la professione

Se n’è andato un fratello!

Venezia 80, Leone d’Oro alla carriera a Liliana Cavani e Tony Leung Chiu-wai 

Foto: By Siebbi - ipernity.com, CC BY 3.0 - Di Gorup de Besanez - Opera propria, CC BY-SA 4.0

Va alla regista Liliana Cavani il Leone d’oro alla carriera dell’80/a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia. La decisione è stata presa dal Cda della Biennale, che ha fatto propria la proposta del direttore della Mostra, Alberto Barbera.

Altro Leone alla carriera è stato assegnato all’attore honkongese Tony Leung Chiu-wai. “Sono molto felice e grata alla Biennale di Venezia per questa sorpresa bellissima”, ha dichiarato Cavani, che ha partecipato alla Mostra di Venezia dal 1965 con Philippe Pétain: Processo a Vichy, Leone di San Marco per il documentario.

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Tra le altre partecipazioni di Liliana Cavani alla Mostra del Cinema figurano quelle con i film Francesco d’Assisi (1966), Galileo (1968), I cannibali (1969), fino a Il gioco di Ripley (2002) e Clarisse (2012).

Tony Leung Chiu-wai ha interpretato tre film Leoni d’oro a Venezia: Città dolente (1989) di Hou Hsiao-hsien, Cyclo (1995) di Tran Anh Hung e Lust, Caution (2007) di Ang Lee.

Foto: By Siebbi – ipernity.com, CC BY 3.0 – Di Gorup de Besanez – Opera propria, CC BY-SA 4.0

Fairylands, a Guidonia torna il festival celtico

Fairylands celtic festival

Arriva l’annuncio che già da qualche giorno si attendeva. Il Fairylands Celtic Festival torna a Guidonia. Dopo l’ultima edizione svoltasi nel 2017, uno dei più importanti eventi a tema celtico d’Italia torna nella città della provincia est di Roma.

Sono gli stessi organizzatori ad annunciarlo tramite i social e tramite un comunicato in cui spiegano come è stato possibile, dopo 5 anni far ripartire una macchina del genere.

“In questi mesi- si legge nel comunicato- “il Clan” si è riunito diverse volte per capire e analizzare le problematiche inerenti alla fattibilità di poter riproporre a tutti gli appassionati di Guidonia e non solo, questa importante kermesse culturale. Nel corso di questi incontri è cresciuta la voglia di ripartire riscontrata anche nel constante sostegno dei cittadini di Guidonia, tale sentimento ha pervaso anche le stanze dell’amministrazione comunale insediatasi di recente, con la quale in una comunione di intenti si è scelto di ripartire da dove avevamo lasciato”.

Torneranno quindi, a risuonare le cornamuse, arpe e violini nella pineta di Guidonia dal 12 al 16 di Luglio. Le date sono fissate. Così come viene confermata la tradizionale location.

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“Il programma- continuano gli organizzatori- ricalcherà quello delle edizioni passate nel solco di una tradizione inaugurata quasi un ventennio fa, ampio spazio alla musica celtica e folk e ai balli irlandesi oltre alle ricostruzioni storiche e di tiro con l’arco. Uno spazio particolare verrà dedicato ai più piccoli con un villaggio a tema. Si sono intrapresi dei contatti con diversi gruppi di cosplayer, con i quali si pensa di creare un contest a loro dedicato. Non mancheranno birra, sidro, cibi tradizionali o meno come i fantastici arrosticini”.

Per ora sono queste le informazioni diramate che fanno brillare gli occhi alle decine di migliaia di appassionati che da ogni parte d’Italia ogni anno, fino al 2017, hanno raggiunto Guidonia solo per il Fairylands. Un dolce ritorno al passato per i cittadini e per tutta la comunità locale.

Altre informazioni necessarie verranno pubblicate nei prossimi giorni sui canali social dell’evento, nei quali si avrà modo, inoltre, di entrare in contatto con “il Clan” per proporre le candidature come espositori, artisti, performers o cosplayers.

Mostra il David agli alunni, preside allontanata per “pornografia”

michelangelo
michelangelo

Ai sistemi di controllo automatico dei vari social network non è al momento imputabile più di tanto la colpa di non saper fare discernimento tra nudo artistico (spesso in pittura e scultura) e immagine osé. Quella stessa capacità di discernimento che è però richiesta agli esseri umani. Anche se non si può sempre dare per scontata, come dimostra questa storia avvenuta in Florida.

Durante una lezione sull’arte del Rinascimento, agli alunni di una classe della Classical School di Tallahassee, sono stati mostrate immagini di alcuni capolavori di Michelangelo, fra cui la statua del David e l’affresco della Creazione di Adamo della volta della Cappella Sistina. Poco dopo, il presidente del consiglio di amministrazione dell’istituto ha offerto alla preside, Hope Carrasquilla, due opzioni: le dimissioni immediate dalla carica o il licenziamento in tronco.

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Senza spiegazioni. Insospettita, lei si è rivolta alla stampa – come racconta il New York Post – per denunciare il suo trattamento e ha avanzato il sospetto che la causa fossero proprio le immagini di nudo maschile michelangiolesche mostrate ai bambini. E aveva ragione: Barney Bishop, il presidente della Tallahassee Classical School, dove la storia dell’arte è parte obbligatoria del programma didattico, ha ammesso al New York Post che ben tre genitori hanno protestato: in due casi per non essere stati avvisati in anticipo dei contenuti “controversi” della lezione, in un terzo la madre dell’alunno ha accusato la scuola addirittura di “pornografia”, dicendosi “sconvolta” che suo figlio “abbia dovuto vedere quelle immagini”.

Bishop ha detto che, in base al regolamento della scuola, gli insegnanti sono tenuti ad avvisare con due settimane di anticipo eventuali contenuti didattici “controversi”. “I diritti dei genitori sono di primaria importanza e questo per tutelare gli interessi di tutte le famiglie”, ha detto alla stampa Bishop. Sono “veramente amareggiata”, ha commentato la preside e insegnante Carrasquilla, che lavora alla scuola da soli due anni. La Tallahassee Classical School è legata al conservatore Hillsdale College del Michigan.

Il divertimento dà spettacolo a Cinecittà World: al via la stagione con tante novità

Con l’arrivo della primavera è ripartito il divertimento. La nuova stagione di Cinecittà World, il Parco Divertimenti del Cinema e della TV di Roma, promette dieci mesi di emozioni, adrenalina e voglia di stare insieme agli amici e alla famiglia con 40 attrazioni, 7 aree a tema dedicate ai principali generi cinematografici (Cinecittà, Roma, Spaceland, Far West, Adventureland, Il Regno del Ghiaccio, Aqua World), 6 spettacoli live al giorno e oltre 60 eventi in calendario.

Quest’anno l’offerta di Cinecittà World si arricchisce ulteriormente: ad impreziosire il Parco arrivano quattro grandi novità per la nuova stagione.

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Dal 2 giugno, con l’apertura dell’area acquatica Aqua World il divertimento raddoppia: inaugureremo Vortex e Boomerang, due nuovi spettacolari scivoli di ultima generazione, da vivere in compagnia – dichiara l’Amministratore Delegato di Cinecittà World, Stefano Cigarini – e prosegue il nostro piano di sviluppo che ci porterà in questi anni da 1 a 3 parchi tematici”.

Le novità della stagione 2023 non finiscono qui: da maggio sorgerà il Palastudio, un nuovo teatro di oltre 2.100 mq progettato per eventi, spettacoli e concerti.

Nuovo anche lo spettacolo Scuola di Polizia, lo Stunt Show Live che farà salire l’adrenalina alle stelle tra testacoda e acrobazie su quattro ruote.

Il parco divertimenti di Roma offre attrazioni uniche in Italia, tra cui: VolariumIl Cinema volante, un flying theatre, in cui gli ospiti volano letteralmente davanti allo schermo sospesi a 12 metri di altezza, Inferno la montagna Russa indoor che si snoda tra i gironi dell’Inferno Dantesco e Jurassic War, un tunnel immersivo in cui i visitatori, a bordo di un treno, si ritrovano catapultati indietro nel tempo di 60 Milioni di anni, in mezzo a battaglie epiche tra i più terrificanti Dinosauri. Altair, il roller coaster outdoor è un cult per i coraggiosi: con i suoi 10 passaggi a testa in giù, detiene il record di inversioni in Europa. E per chi cerca un po’ di fresco c’è solo l’imbarazzo della scelta, tra le discese a 70km/h nell’acqua di Aktium o le 4 attrazioni de Il regno del ghiaccio, unico playground sulla neve e sul ghiaccio del belpaese.

Cinecittà World è il Parco tematico che cresce di più in Italia: +400% in 5 anni. Con oltre mezzo milione di visitatori è diventato il 1° Parco divertimenti di Roma e 4° Parco in Italia. Un parco innovativo che realizza il 90% delle vendite online e che, grazie al progetto Smart Park, consente di gestire biglietti, pranzi, prenotazione attrazioni e tanti altri servizi direttamente dal cellulare.

Con la riapertura del parco parte anche la stagione degli eventi che sarà impreziosita da grandi produzioni cinematografiche e televisive, da showcase e masterclass come quella di Alex Britti il 7 maggio, da eventi come Stelle di Fuoco, campionato italiano di fuochi d’artificio (7-16 Luglio), dai grandi concerti estivi, dalla 7° edizione di Viva l’Italia, il più grande evento interforze mai realizzato in un parco divertimenti. E con l’arrivo dell’autunno ecco i brividi di Ottobre – Il mese di Halloween, la magia del Natale a Cinecittà World, e la grande festa di Capodanno.

Da venerdì 24 marzo a fianco di Cinecittà World apre Roma World, il Parco a tema dedicato all’Antica Roma con la sua esperienza unica: permette di vivere una giornata da antico romano con tante attività da godersi in mezzo alla natura. Dagli spettacoli dei gladiatori alla possibilità di pernottare nell’accampamento come un vero legionario. Dal tiro con l’arco agli spettacoli di falconeria, il tutto condito da un buon pranzo o cena romana nella Taberna, e un po’ di shopping nell’antico mercatino. Novità 2023 di Roma World il Bosco Magico: un suggestivo percorso tra luci, proiezioni ed effetti sonori immersi nel bosco delle sughere.

Rinnovato anche il sodalizio tra cultura e divertimento: grazie alla collaborazione tra Cinecittà World e il Campidoglio tutti i possessori di un biglietto di accesso ai Musei Capitolini possono usufruire di un ingresso gratuito a Roma World.

Roma World punta negli anni a ricostruire dal vivo la Roma Imperiale, con l’obiettivo di immergere nella storia milioni di ospiti e turisti. Intanto il 1 Giugno 2024 debutterà Rome On Fire, spettacolare show serale nella maestosa cornice nel set di Ben Hur.

Il 2 giugno, infine, sarà la volta di Aqua World: fase uno del nuovo parco acquatico di Cinecittà World, dove prendere il sole tra spiagge di sabbia, la Cinepiscina, il fiume lento Paradiso, alternando il relax alle emozioni offerte dai due nuovi grandi scivoli Vortex e Boomerang. Che la magia abbia inizio!

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Una petizione a sostegno di Roger Waters

Una petizione a supporto di Roger Waters è stata sottoscritta da star della musica mondiale del calibro di Brian Eno, Peter Gabriel, Eric Clapton, Nick Mason, Tom Morello dei Rage Against The Machine, nonché Robert Wyatt, fondatore dei Soft Machine. Sono diversi i concerti del suo ‘This Is Not a Drill’ già cancellati o a rischio cancellazione.

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L’ex Pink Floyd avrebbe dovuto esibirsi il prossimo 28 maggio presso la Festhalle nell’ambito del tour ‘This Is Not a Drill’, ma lo spettacolo è stato sospeso dalla città di Francoforte per via del “persistente comportamento anti-israeliano” del musicista britannico. Intanto proprio l’altro ex Mason si prepara a suonare in Italia con sei date dello show tributo ai primi album dei Pink Floyd. Tra queste anche Pompei, il 24 luglio.

FIRMA LA PETIZIONE

Massimo Ranieri: “Tutti i sogni ancora in volo” al Sistina

Riprende il viaggio di Massimo Ranieri, insieme al suo pubblico, con il nuovo spettacolo “Tutti i sogni ancora in volo” sold out nei teatri di tutta Italia. Dopo più di 800 repliche di “Sogno e son desto” ecco un’altra straordinaria avventura tra canto, recitazione, brani celebri, sketch divertenti e racconti inediti.

Tra le tante canzoni ci sarà anche il brano vincitore del Premio della Critica a Sanremo 2022, “Lettera di la dal mare”.

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Ascolteremo anche bellissimi inediti scritti per Ranieri da alcuni grandi cantautori italiani tra i quali: Pino Donaggio, Ivano Fossati, Bruno Lauzi, Giuliano Sangiorgi e molti altri, canzoni che fanno parte del suo nuovo Album, che ha lo stesso titolo dello spettacolo, uscito il 18 novembre, che porta la firma della produzione musicale di Gino Vannelli.

Anche questa volta ci sarà un Massimo al 100%, che offrirà al suo pubblico tutto il meglio del suo repertorio più amato e prestigioso.

Lo spettacolo si veste di una nuova veste scenografica, l’organizzazione generale è del producer Marco De Antoniis, con una band di musicisti inedita dove possiamo trovare al pianoforte Seby Burgio, alle tastiere e voce Giovanna Perna, al basso Pierpaolo Ranieri, alla batteria Luca Trolli, percussioni di Arnaldo Vacca, alle chitarre Andrea Pistilli e Tony Puja, violino e voce Valentina Pinto e ai fiati troviamo il sax di Max Filosi e la voce e il sax di Cristiana Polegri.

Dopo il Sistina, Massimo Ranieri presenterà il suo spettacolo alle Terme di Caracalla, il prossimo 24 luglio, accompagnato da una grande orchestra.

Libri Come, torna la festa del libro a Roma

Dal 23 al 26 marzo l’Auditorium Parco della Musica di Roma torna ad essere la location di Libri Come, la festa del libro e della letteratura.

“Il tema scelto per questa XIV edizione- si legge nella presentazione dell’evento sul sito dell’Auditorium– è Potere. Una parola sconfinata che verrà affrontata con diversi linguaggi (saggistica, narrativa, fotografia, arte, musica) e nei diversi campi in cui si manifesta come limite, gerarchia, sopraffazione, ma anche in un senso diverso: quello di un verbo potere che indica la possibilità di agire e magari cambiare quei limiti e quelle gerarchie”.

L’iniziativa sarà inaugurata in alcune dell scuole superiori più famose e importanti di Roma. Il liceo Machiavelli, il Virgilio, il De Sanctis, il Giartosio, l’Alberti, il Mencarelli, il Bramante, il Pasteur, il Seneca e il Giulio Cesare.

Daniele Pittèri, Amministratore Delegato della Fondazione Musica per Roma (l’ente che gestisce il grande luogo di cultura e spettacolo a Roma e indirizza le sue attività), sottolinea come il tema scelto abbia una duplice accezione, di dostnativo e di verbo: “Potere come esercizio della facoltà/forza di influire sul comportamento altrui anche attraverso il compimento di azioni giuridicamente rilevanti. Potere come dote, possibilità, libertà di agire, di essere, di fare qualcosa”.

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Nella giornata di venerdì 24 marzo l’evento tornerà nella location del quartiere Flaminio. Qui già dalle 9, solo per gli studenti, sarà presentato “Scopriamo i diritti attraverso parole e immagini”, a cura di Amnesty International, in collaborazione con Emons editore Laboratorio per le scuole primarie. Fino a domenica si susseguiranno una serie di presentazioni di libri, workshop, discussioni con più persone intervistate e moderatori.

Molti ospiti si alterneranno sui vari palchi di Libri Come 2023. Tra questi Emmanuel Carrère, Javier Cercas, Zarifa Ghafari, David Grossman, Ian McEwan, Valerij Panjuškin, Daniel Pennac, Katja Petrowskaja, Niccolò Ammaniti, Paolo Giordano, Loredana Lipperini, Francesca Mannocchi, Dacia Maraini, Melania Mazzucco, Francesco Piccolo, Rosella Postorino, Massimo Recalcati, Walter Siti, Chiara Valerio, Zerocalcare.

Per partecipare agli eventi è necessario aver prenotato il proprio posto: come specificato anche all’interno del programma, alcuni eventi sono prenotabili e si può accedere solo dopo aver ottenuto il proprio biglietto gratuito altri, invece, richiedono il pagamento di un biglietto da tre euro. Per acquistare i biglietti occorre visitare la pagina del singolo evento oppure accreditarsi sul sito di Ticketone.

Foto di Gülfer ERGİN su Unsplash

Jethro Tull in concerto per ‘Pescara Jazz’

Tornano in Italia anche la prossima estate i Jethro Tull che saranno in concerto al Teatro D’Annunzio il 31 luglio alle 21 nell’ambito della celebre rassegna Pescara Jazz. Sarà l’occasione per portare dal vivo, oltre ai brani più significativi della loro discografia, anche quelli contenuti nell’album in uscita il 21 aprile (per InsideOutMusic/Sony) RökFlöte, nonché il 23esimo album della loro carriera.

La band si era esibita nel capoluogo adriatico anche nel 2017. I biglietti per il concerto, organizzato da Best eventi, sono disponibili sui circuiti TicketOne, Ticketmaster e Ciaotickets. Pescara Jazz attende anche Damien Rice, altro super-ospite, domenica 9 luglio. Altre date sono state annunciate a Matera (29 giugno), Cattolica (30 luglio) e Caserta (1 luglio).

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I Jethro Tull apparvero per la prima volta con questo nome nel 1968 nel famoso Marquee Club di Londra e da lì riuscirono a creare immediatamente un largo seguito, suonando su e già per l’Inghilterra. Il vero successo – anche un po’ a sorpresa – arrivò al Sunbury Jazz e al Blues Festival nell’estate del 1968.

Il gruppo registrò e pubblicò il loro primo album, This Was, con la formazione originale con Ian Anderson,  Glenn Cornick, Ian Bunker e Abrahams. Dopo la sostituzione di Mick Abrahams con Martin Barre, circa altri 30 musicisti si sono avvicendati nelle fila dei Jethro Tull, marchio che sopravvive fino ad oggi e dura nel tempo: Ian Anderson si esibisce con la band in genere per circa un centinaio di spettacoli ogni anno in tutto il mondo.

Domenico Galasso: in ‘Mare fuori’ la forza del teatro

Domenico Galasso

“La spontaneità è frutto di esercizio, dietro a quello che appare spontaneo sul palcoscenico, al grande o al piccolo schermo c’è in realtà molto lavoro da parte degli attori”.

Uno come Domenico Galasso può dire queste cose a voce alta: prima di raggiungere grande notorietà con ‘Mare Fuori’, insieme peraltro a suo figlio Nicolò (recitano proprio nei ruoli di padre e figlio, ndr), ha visto tanti sipari, arrivando a fondare il Piccolo Teatro Orazio Costa a Pescara, realtà che omaggia il maestro indimenticato della scena teatrale italiana, primo allievo della Regia scuola di recitazione Eleonora Duse che, con l’avvento della Repubblica, diventerà l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica.

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“Costa è stato anche mio maestro – sottolinea Galasso con orgoglio – e questo spazio vuole in qualche modo raccogliere la sua eredità”. Una stagione attiva quella del Piccolo Teatro che lunedì 27 (ore 21) aprirà il palcoscenico alla penna di Ennio Flaiano, con ‘La scorciatoia’, primo capitolo di ‘Tempo di uccidere’.

Sabato 25, invece, la Sala della Pinacoteca di Palazzo D’Avalos a Vasto ospiterà alle 17.30 “Armonie e Parole”, omaggio a Dante Alighieri, con Galasso impegnato prima nelle letture di rime dalla Vita Nova, per raccontare la giovinezza del poeta, dunque nel canto V dell’Inferno, per raccontare la passione di Francesca. Sul palco anche l’ensemble “Stella Nova” e Gianni Oliva.

“Nei corsi e nei laboratori che tengo non prescindo mai dal testo poetico di Dante”, spiega l’attore che è anche docente letteratura interpretativa e dizione all’Università degli Studi Gabriele D’Annunzio a Chieti. “La poesia di Dante è un valore aggiunto per la nostra lingua – valuta – e sono felice di aver avviato mio figlio Nicolò alla recitazione leggendogli la Divina Commedia”.

Il giovane attore, nato a Lanciano 24 anni fa, ha interpretato Gaetano ‘o Pirucchio, uno dei personaggi più difficili e riusciti a causa dell’evoluzione richiesta dal copione. “Se vuoi ottenere quella evoluzione – conclude Domenico Galasso – lo puoi fare solo lavorando per anni su te stesso. Questo è il successo di una serie come ‘Mare fuori’, una tragedia greca in chiave moderna, che mette in primo piano le emozioni forti degli adolescenti”.

“Terence Hill in un nuovo Trinità?, sfida affascinante”

Ha accompagnato Terence Hill a Campo Imperatore nei luoghi di ‘Continuavano a chiamarlo Trinità’, in un incontro promosso da L’Aquila Film Festival e dal Festival del Gran Sasso, nell’estate del 2021, cinquant’anni dopo l’uscita del sequel del film ‘Lo chiamavano Trinità’ che ha fatto la fortuna di Enzo Barboni, in arte E.B. Clucher, ma anche della coppia Spencer-Hill.

Oggi, Piercesare Stagni, docente e storico cinematografico aquilano, non può che essere felice dell’annuncio dell’attore al Corriere della Sera di voler girare un ulteriore capitolo di Trinità, nei prossimi mesi, proprio tra le montagne abruzzesi.

“Terence Hill – commenta Stagni all’agenzia Ansa deve molto a Trinità, è un personaggio che ha accompagnato tutta la sua vita, anche nell’immaginario collettivo della nostra generazione, che è poi quella che ha celebrato meglio Bud Spencer e Terence Hill”.

“Onestamente – ha aggiunto – non credo che sia facile per lui dopo cinquant’anni rientrare nei panni di Trinità, con tanto di cavallo e lettiga. Un personaggio che è arrivato in Italia anche grazie al meraviglioso doppiaggio di Pino Locchi. L’attore ha 83 anni e nulla è scontato come prima, a parte il fatto che non avrà Carlo Pedersoli come controparte”.

Terence Hill, al secolo Mario Girotti, ha detto di essere al lavoro sulla trasposizione di un libro con la storia vera di una suora italiana che è emigrata a fine Ottocento in America dall’entroterra ligure con la sua famiglia contadina e poverissima. Una storia che tira in ballo anche Billy The Kid.

“Più volte nella sua carriera – ricorda Stagni che è stato tra le persone che lo hanno voluto per una rievocazione in Abruzzo – Terence Hill si è confrontato con ‘spaghetti western’ come ‘Lucky Luke’, oppure ‘Botte di Natale’, il cui successo è ben lontano da quello dei primi leggendari lungometraggi. Sono curioso di sapere come andrà questa volta, certo dopo 20 anni di Don Matteo non sarà facile, ma i fan saranno entusiasti e gli faccio i miei sinceri auguri”. A Terence Hill, Stagni ha regalato il suo libro ‘Piccoli racconti di cinema’ che parla anche della scena dei fagioli girata a Campo Imperatore.

Songs Of Surrender, il nuovo album degli U2 nel giorno di St. Patrick

By U2start - U2 in Tokyo, CC BY 2.0

Esce proprio oggi, 17 marzo, data simbolica per l’Irlanda, ‘Songs Of Surrender’, il nuovo album degli U2, che contiene 40 canzoni “reimmaginate e ri-registrate”, come ha annunciato a gennaio la stessa band sui social, postando un video che, sulle note di ‘Beautiful Day’, mixando immagini storiche e animazione, racconta il percorso del gruppo.

Un titolo che richiama quello dell’autobiografia di Bono Vox, ‘Surrender: 40 Songs, One Story’ (in Italia ‘Surrender’, edito da Mondadori), uscito a inizi novembre, in cui il frontman degli U2 si mette a nudo, dall’infanzia e adolescenza a Dublino all’ascesa e al successo della band, passando per l’attività filantropica e l’attivismo a livello mondiale, tra l’altro contro l’Aids e la povertà estrema.

“Arrendersi è una parola carica di significato – ha spiegato Bono -. Sono cresciuto in Irlanda negli anni Settanta con i pugni alzati (musicalmente parlando), questo non era un concetto per me naturale. Sono ancora alle prese con questo ‘comando’ umiliante. Nella band, nel mio matrimonio, nella mia fede, nella mia vita da attivista, sono ancora alle prese con questo atto di umiltà. ‘Surrender’ è la storia della mancanza di progresso di un pellegrino… Con una buona dose di divertimento lungo il percorso”.

Ci sono classici come ‘Sunday Bloody Sunday’, ‘With or Without You’ e ‘One’, spogliate dell’epica da stadio ma anche gemme degli esordi tirate a lucido come ‘Stories for Boys’ e canzoni minori ma amatissime dai fan come ‘If God Will Send His Angels’.

In alcuni casi, Bono, che canta in modo più confidenziale rispetto alla rockstar dei megapalchi, cambia anche i testi, come per ‘Walk On’, dedicata al presidente ucraino Zelensky, suonata insieme a The Edge nella metropolitana di Kiev lo scorso maggio. Ancora, l’album propome versioni inedite di ‘Where The Streets Have No Name’, ‘I Still Haven’t Found What I’m Looking For’, ‘Pride (In The Name Of Love)’, oltre ai brani preferiti dai fan come ‘Stories For Boys’, ‘Bad’ e ‘Desire’.

Gli U2 hanno venduto oltre 175 milioni di album, vinto 22 Grammy Award e pubblicato 14 album in studio.

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Gli anni del Grunge: un libro omaggia l’ultima grande rivoluzione musicale

Da oggi nelle librerie e negli store digitali “Gli anni del Grunge: Italia 1989-1996” (PubMe – Collana Gli Scrittori della Porta Accanto) a cura di Giacomo Graziano: gli aneddoti, le interviste, le emozioni dei fan, i grandi eventi e gli incontri casuali con i protagonisti dell’ultima grande rivoluzione musicale, così come è stato vissuto nella nostra Penisola: il pop si è fatto da parte per dare spazio al fenomeno underground uscito dal suo guscio alternativo, esploso in una supernova che non ha risparmiato niente e nessuno. Non ha risparmiato gli ultimi eroi del rock prima del crepuscolo: Kurt Cobain, Layne Staley, Andrew Wood, Chris Cornell e tanti altri artisti sensibili e talentuosi, ciascuno capace di comunicare un disagio personale cui era possibile immedesimarsi.

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Negli scritti raccolti del libro, ci sono le testimonianze di giornalisti, critici musicali, organizzatori, musicisti, strumentisti, Dj, promoter si attinge dal cassetto dei ricordi a rievocare le emozioni del passaggio del grunge, della “musica sporca e rumorosa del Northwest”, dei piccoli e grandi concerti in Italia, o la trepidazione nel tenere in mano una copia fresca e scintillante di Ten o di Nevermind.

Il grunge è stato “il manto protettivo” di un’intera generazione, forse in ritardo rispetto al resto del mondo, dove le innovazioni giungono come polvere trasportata dal vento. “Ricordate gli sguardi dei nostri genitori, rassegnati a un baratro generazionale incolmabile impotenti spettatori di una moda contro la quale i loro biasimi non potevano nulla”, si legge nella nota di presentazione.

“La flanella, i maglioni informi, i jeans strappati; Kurt Cobain appeso a un lampadario e quella pistola che galleggiava sott’acqua; Chris Cornell che urlava al cielo verso un sole nero che inghiottiva ogni ipocrisia; Jeremy che si faceva saltare le cervella davanti a tutta la classe. Avevamo il cuore e gli occhi pieni delle immagini di questo carrozzone impazzito che saturava gli scaffali dei negozi di dischi, di vestiti, le televisioni e le radio. Quando tutto questo galoppava ai massimi giri del motore – e le tasche delle etichette discografiche e dei manager erano gonfie da scoppiare – il grunge in realtà era già morto. Da anni. Per trovare il vero grunge, dobbiamo tornare indietro al suo ultimo anno di vita, il 1989″.

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Divenuto etichetta, la sua accezione ha cominciato ad avere confini temporali, stilistici. Beh, a quel punto ha smesso di esistere. Il vento del grunge imperversava nei vicoli di una città, negli appartamenti studenteschi del quartiere universitario, nei corridoi fetidi del Music Bank di Seattle, dove i gruppi andavano a suonare nelle sale prove, a bere caffè, alcuni a dormire e vivere per non stare in mezzo a una strada.

QUELLA SERA CHE (MI) SUONARONO I PEARL JAM

Piercesare Stagni

Tra le pagine del libro c’è anche la rielaborazione di un articolo a firma di Fabio Iuliano per il nostro Magazine. Protagonista della storia, il critico cinematografico Piercesare Stagni, cultore del grunge sin dagli anni del debutto, ve ne riproponiamo la lettura in integrale, così come è apparso su The Walk of Fame.

Roma, luglio 1993. Gli U2 si esibiscono a Roma con due date all’indomani dell’uscita di Zooropa in un set allo stadio Flaminio che sarà ricordato per anni. In apertura ci sono gli An Emotional Fish, band alternative rock di Dublino e i Pearl Jam, entrambe poco conosciute ai più, in Italia, almeno all’epoca, anche se Eddie Vedder e compagni sono in giro da mesi per suonare le canzoni del loro album d’esordio Ten, una vera rivelazione nell’alternative rock, e per testare quelle di Versus, atteso per ottobre.

Chi si presenta ai cancelli ha in tasca un biglietto da 45mila lire più prevendita a cui magari aggiungere anche quelle 10-15mila lire per  fare avanti e indietro dalla città di provincia. “Così sono arrivato dall’Aquila, in un pullman organizzato e riempito da tanti musicisti o aspiranti tali che attendevano queste due date da alcuni mesi”, ricorda Piercesare Stagni, oggi critico e docente di materie cinematografiche, uno che però non ha mai riposto in soffitta nessuna delle sue chitarre e continua a suonare in una punk band, i Niutàun.

“C’era una pubblicità di questi due concerti al Cit (centro di informazione turistica) che, peraltro, si trovava proprio di fronte al vicolo del Rex, frequentato da tante band del momento”, prosegue. “Ricordo ancora la grafica del manifesto. Io avevo scelto la serata del 6, ma ci ho pensato a lungo: essendo le date di lancio dell’album Zooropa, girava voce che gli U2 avrebbero inserito in una delle due scalette Numb, da suonare in anteprima mondiale. Avrei dovuto giocarmela a testa o croce, visto che la prima sera suonarono altro. Gran concerto, per carità”.

Con buona pace di Fabrizio Moro – che in alcune interviste recenti non ha nascosto le perplessità di alcuni ragazzi per la prima volta davanti ai Pearl Jam, si sono trovati a dire: “Ma chi sono questi? La chitarra è scordatissima e il cantante è stonato” –  la performance della band di Seattle è andata oltre le aspettative.



“C’era gente”, ricorderanno tante volte Danilo Cianca e Giuseppe Tomei nel programma di Radio L’Aquila 1 – Controllo a Terra, “che aveva pagato quelle 50mila lire solo per assistere ai Pearl Jam, strappando il biglietto e tornando a casa, senza neanche aspettare gli U2. Noi non lo avremmo mai fatto, ma almeno abbiamo capito il perché”.

E però, per un ragazzo di vent’anni  o poco più – all’epoca Piercesare Stagni era studente di Giurisprudenza a Roma – 50mila lire erano soldi. “Mi sono guardato le tasche e ho capito che no, non c’era la possibilità di fare il bis per il secondo concerto, solo per ascoltare la nuova canzone. Però, insieme ad altre persone, ho deciso di rimanere una serata in più, ad ascoltare il concerto da fuori, alla meglio, in uno dei piazzali circostanti lo stadio. Per dormire, mi sono appoggiato da amici. Eravamo in dieci in un appartamento di 70 metri quadri. Meglio tirare tardi il più possibile dopo il concerto, tanto in ogni caso si dorme scomodi”.

Ed è qui che ha inizio la guerra dei Pier. “Col mio amico Pierfrancesco, ci siamo spostati a piedi verso via Veneto e ci siamo piazzati davanti all’ingresso dell’Hotel Majestic – cinque stelle – sicuri che lì, presto o tardi, gli U2 sarebbero tornati. Lì intorno c’era gran fermento, si vedeva girare gente come Paolo Zaccagnini e vari giornalisti internazionali, spediti a Roma appunto per la prima di Zooropa. Tuttavia, qualcuno lì davanti, non ricordo bene, ci ha detto ‘nun ce provate, tanto adesso staranno a magna’ a Fregene“.

Perché proprio Fregene? Beh la ragione è legata al videoclip di All I Want is You, girato a Capocotta (Lido di Ostia), set quotatissimo anche per alcuni film erotici di Tinto Brass. “Col senno di poi”, sottolinea Stagni, “avremmo fatto bene a rimanere dove eravamo: era solo questione di attendere un paio d’ore e avremmo potuto stringere la mano a Bono o The Edge.

E invece, abbiamo iniziato a camminare tra i vicoli a caso, fino a quando non siamo arrivati a piazza Navona”. È lì che accade quello che non ti aspetti. “Era una serata calda e ogni tanto dovevi fermarti per bere. Ci avviciniamo a una delle fontanelle della piazza”, ricorda.

I Pearl Jam con Matt Dillon

“Faccio per bere, ma davanti a me si piazza un giovane dalla camicia a scacchi di flanella, vistosamente ubriaco. Sapeva di vomito. Indugia sulla fontana, ma gli chiedo di scansarsi. A quel punto, lui tenta una reazione, ma è evidente che non riesce neanche a reggersi in piedi. Proprio in quel momento, mi rendo conto che non è da solo. Nei paraggi ci sono due pulmini dai vetri oscurati, quelli che si usano per il servizio transfer degli hotel”.

“Giusto il tempo di fare mente locale, si apre la porta scorrevole di uno dei due minivan ed escono dei ragazzi, vestiti grosso modo come lui – uno anche con uno strano basco in testa – e si avvicinano verso di me, mi strappano il loro amico di dosso e lo riportano a bordo.  Nell’operazione ci rimedio anche un paio di cazzotti, così gratuitamente”.

Il tutto si risolve nel giro di pochi minuti, neanche il tempo di realizzare che il gruppo di ragazzi del mini-van erano i Pearl Jam. “Cazzo, ho realizzato solo dopo: eppure quel basco strano lo avevo visto solo in testa al bassista (Jeff Ament ndr.) e aveva catturato la mia attenzione”. La cosa più sconvolgente era anche il giovane ubriaco era nientepopodimeno che Matt Dillon. “Insieme avevano recitato, l’anno prima, sul set di Singles di Cameron Crowe. Insieme avevano vissuto quella parentesi romana, mi è capitato poi di vedere la foto di Dillon come ospite nel backstage. Quella sera lui era ubriaco, aveva vomitato e lo avevano mandato a ripulirsi in una fontanella, appunto. La stessa fontanella che serviva a me. E fu così che mi hanno suonato i Pearl Jam”.

Ma non è finita qui. “La guerra dei Pier” è finita in baretto anonimo di Corso Vittorio, con le saracinesche semichiuse. Dentro c’era una festa privata con tanto di trenino e musica brasiliana. Era il compleanno di uno dei gestori. Tra gli ospiti anche Giucas Casella. Piercesare potrebbe continuare a parlarne per ore, così come potrebbe raccontarti quella volta che, sempre a Roma, si ritrovò ad aiutare un semisconosciuto Kurt Cobain a gestire una chiamata a carico del destinatario col telefono a gettoni. Doveva parlare con la madre. Aneddoti di un tempo che non c’è più.

Ma queste sono storie che racconteremo un’altra volta.

Quadreria del Palazzo Ducale, a Venezia tutto pronto per la riapertura

Venezia Quadreria

Il 25 marzo riapre la Quadreria del Palazzo Ducale. L’intervento è stato condotto dalla Fondazione Musei Civici di Venezia con la collaborazione e il supporto di Venice International Foundation.

L’attuale riallestimento, che coinvolge la Sala della Quarantia Criminale, la Sala dei Cuoi e quella del Magistrato alle Leggi, si rifà ad una tradizione che risale ai primi decenni del ‘600, quando all’interno del Palazzo si vollero esposte, accanto ai dipinti “istituzionali, opere da “cavalletto” provenienti da illustri collezioni private. Fu il caso dei dipinti legati al Ducale dal cardinal Domenico Grimani. Opere, quelle, di origine fiamminga, estranee quindi alla tradizione pittorica veneziana, ma presto diventate presenze fisse negli ambienti del Palazzo.

“In omaggio a quella secolare tradizione, si è deciso di dedicare – afferma Chiara Squarcina Responsabile della sede museale – la Sala dei Cuoi all’esposizione di opere fiamminghe, tra le quali l’unica superstite di quelle offerte alla pubblica fruizione in Palazzo a partire dal 1615: quell’Inferno già attribuito al Civetta (Henry Met de Bles) e oggi più opportunamente ricondotto ad anonimo seguace di Bosch o il Cristo deriso di Quentin Metsys. Esempi delle relazioni culturali della Serenissima con il resto d’Europa”.

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Nelle altre sale ad essere esposti sono capolavori di Bellini, Tiziano e Tiepolo, maestri sommi dell’arte veneziana, quali “Venezia riceve da Nettuno i doni del mare” di Giambattista Tiepolo, la “Pietà” di Giovanni Bellini e la “Madonna con Bambino e due angeli” di Tiziano, nonché il “Leone marciano andante” di Carpaccio, che sarà possibile ammirare all’interno di questi spazi dopo la conclusione della mostra antologica di Palazzo Ducale. Capolavori superstiti di un ben più ricco patrimonio, oggi in parte disperso o passato a istituzioni statali.
Accanto alle magnifiche opere superstiti, la Quadreria accoglie un nucleo di pregevoli tele e tavole concesse in deposito a lungo termine da una collezione privata. Tra i dipinti, “Ritratto di dama con figlia” (Doppio ritratto, già collezione Barbarigo) di Tiziano, “L’angelo annuncia il martirio a Santa Caterina di Alessandria“, di Jacopo Tintoretto (un tempo nella chiesetta di San Geminiano in piazza San Marco e più recentemente in collezione David Bowie) e la “Maria Maddalena in estasi” di Artemisia Gentileschi, oltre ad opere di Giovanni Cariani, Anthony van Dyck e Maerten de Vos.

Luigi Brugnaro, Sindaco di Venezia, ricorda come l’Amministrazione Comunale e la Fondazione MUVE siano impegnati anche in interventi forse meno evidenti, ma altrettanto fondamentali. Come la complessa campagna di riqualificazione funzionale di Palazzo Ducale, finanziata dal Comune, che comporta monitoraggio e interventi sugli apparati decorativi (soffitti e pareti). “I lavori, già in corso – commenta il Sindaco – consentiranno di disporre di una banca dati ragionata sullo stato di conservazione delle superfici ispezionate che potrà funzionare come elemento di ingresso per la progettazione e programmazione degli interventi di restauro. Bassorilievi, pietre d’istria, marmi provenienti dalle più diverse cave in relazione al loro colore, fregi che impreziosiscono quello straordinario scrigno di arte, storia e mito che è il Palazzo dei Dogi, antica sede del potere della Serenissima che abbiamo il dovere di conservare in tutta la sua magneficienza.”

Accanto agli importantissimi interventi strutturali, Comune e Fondazione sono all’opera per rendere ancora più imperdibile la visita al Ducale. Mariacristina Gribaudi, Presidente di Fondazione MUVE, nel ringraziare la Venice International Foundation come esempio di mecenatismo culturale di cui i Musei Civici di Venezia beneficiano, ricorda l’imperdibile mostra su Carpaccio e annuncia l’apertura – tra poche settimane – di un nuovo Itinerario Segreto, alla scoperta di luoghi in origine inaccessibili al pubblico. La Presidente anticipa anche che, “dopo Artemisia Gentileschi, la Sala della Quarantia Civil Vecchia accoglierà nel corso dell’anno nuovi Ospiti a Palazzo: opere, provenienti dalle ricche collezioni d’arte della Fondazione Musei Civici di Venezia e non sempre fruibili da parte del pubblico, a cui si alterneranno altre, altrettanto importanti, provenienti da prestigiose collezioni private”.

“Venice International Foundation e la Fondazione Musei Civici di Venezia”, ha affermato il Presidente di VIF, l’architetto Luca Bombassei, “sono da tempo legate da un vincolo di visione e prospettive, teso alla protezione di un immenso patrimonio artistico e culturale che appartiene a tutti noi. Grazie al contributo dei nostri associati, VIF ha deciso di sostenere una così importante operazione di restauro perché pensiamo che l’evoluzione sia una delle caratteristiche peculiari di Venezia, una città capace di trasformarsi continuamente mantenendo la propria identità. In questo caso significa tornare ad ammirare magnifici capolavori che acquisteranno nuova vita grazie all’allestimento del Maestro Pier Luigi Pizzi e al prodigioso equilibrio fra mano, mente e materia degli artigiani veneziani e dei maestri restauratori che hanno lavorato per VIF nella Quadreria. Il risultato è straordinario perché si è fondato sul valore umano, quel motore immateriale che permette di fissare obiettivi e poi raggiungerli, reagire alle difficoltà, innovare nella tecnica e nei metodi. Ho sempre pensato che l’arte sia come una macchina del tempo che apre una porta sui momenti cruciali della storia, aiutando le nuove generazioni a comprendere il presente. Con la riapertura della Quadreria, Venice Foundation e tutti i suoi soci permettono di far ricominciare questo viaggio meraviglioso”.

L’Abruzzo protagonista ad Hollywood su “Variety”

‘Cartoon on the bay’ e l’Abruzzo celebrati su “Variety”, la rivista cinematografica, con sede a Hollywood, più importante del mondo, che nell’ultimo numero ha presentato il Festival del cinema d’animazione in programma a Pescara dal 31 maggio al 4 giugno prossimi.

Le anticipazioni di “Variety” hanno annunciato che il fondatore di Aardman Animations, Peter Lord, e il regista di “Waltz With Bashir”, Ari Folman, riceveranno i Pulcinella Career Awards al festival italiano di animazione Cartoons On The Bay.

La ventisettesima edizione del festival celebrerà anche “Cuphead”, il videogioco canadese di successo che è diventato una serie Netflix, e conferendo la sua creatrice Maja Moldenhauer con il suo nuovo Transmedia Award.

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A Pescara sarà protagonista anche Ian Mackinnon, cofondatore dello studio di marionette britannico Mackinnon e Saunders, che ha lavorato con Guillermo del Toro in “Pinocchio”, chiamato a far parte della giuria del festival.

“Un festival che diventa ogni anno più importante. Ringrazio il direttore artistico Roberto Genovesi che valorizzando il festival dà lustro all’Abruzzo. La giunta regionale ha saputo cogliere l’occasione di ospitare uno degli appuntamenti più importanti del panorama internazionale. L’articolo pubblicato su ‘Variety’ conferma che la scelta della nostra amministrazione regionale. L’Abruzzo punto di riferimento mondiale del cinema di animazione rappresenta elemento di richiamo per migliaia di appassionati. Quest’anno ospiteremo quest’anno anche delegazioni delle due emittenti pubbliche tedesche, ZDF e ARD, che rappresenteranno la Germania come ospite d’onore”, ha dichiarato il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio.

Foto di Jake Hills su Unsplash

Damien Rice in concerto al Teatro La Fenice di Venezia: nuova data italiana per il “poeta con la chitarra”

Una nuova data italiana si aggiunge al tour di Damien Rice, uno dei più importanti cantautori internazionali del nostro tempo, che si esibirà martedì 11 luglio 2023 al Teatro La Fenice di Venezia. Si tratta di un evento unico in uno dei teatri lirici più prestigiosi al mondo. I biglietti saranno in vendita a partire dalle ore 10:00 di venerdì 17 marzo 2023 su Ticketone.it, Ticketmaster.it e Vela.avmspa.it e in tutti i punti vendita autorizzati.

Il nuovo concerto – organizzato da Veneto Jazz e Zen Production, nell’ambito della rassegna AAVV Autori Vari Indipendenti, in collaborazione con Vigna PR e Live Nation – si aggiunge alle due date italiane già sold che si terranno rispettivamente mercoledì 29 marzo 2023 a Milano al Teatro dal Verme e venerdì 31 marzo 2023 al Teatro Nuovo Giovanni di Udine e farà parte del suo tour estivo.

Dopo la pubblicazione degli album “O”, “9” e del più recente “My Favourite Faded Fantasy”, l’artista continua con i suoi live in tutto il mondo. Contraddistinto sempre da uno stile non convenzionale e dal piacere per l’improvvisazione, il cantautore ha dato il via nel 2023 in un nuovo grande tour, che, oltre all’Italia, toccherà alcune delle principali città europee e mondiali, portando sul palco la sua energia positiva e sempre comunicando una delicata sensibilità che rende il suo personaggio sincero e non costruito.

Damien Rice è un artista unico ed eclettico, la cui vita da nomade lo ha portato spesso a cantare per le strade, viaggiando di città in città, ma che non gli ha precluso di raggiungere i più importanti palchi del mondo. Amatissimo anche in Italia, Paese che lo ha accolto per alcuni mesi in Toscana nel 1999, il cantautoreè pronto a riportare la sua musica anche da noi e ad incontrare i fan italiani.

Tra le date confermate oltre Venezia, anche a Milano (29 marzo), Udine (31 marzo) Catania (2 luglio), Caserta (5 luglio), Ostia Antica (Roma – 7 luglio), Pescara (9 luglio), Pistoia Blues (12 luglio), Bologna (14 luglio), Gardone Riviera, nel Bresciano (15 luglio).

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BIOGRAFIA

Irlandese classe 1973, DAMIEN RICE è uno dei folksinger simbolo degli ultimi 20 anni. Animo nomade e girovago, che porta la sua musica nel mondo imbracciando la chitarra e cantando per le strade, trae le sue ispirazioni da Jeff Buckley, Leonard Cohen e Nick Drake. Dopo l’esperienza indie con i Juniper e un viaggio in Europa di tre anni, che conta anche un soggiorno in Toscana nel 1999, l’artista torna a Dublino e pubblica il suo album d’esordio, “O”, registrato e autoprodotto in casa. Nell’album RICE suona chitarra, piano, basso, clarinetto e percussioni e racchiude molte esperienze di vita, una raccolta di languide e misteriose ballate che cantano di sentimenti e passioni agrodolci. Il cantautore pubblica poi altri due album, “9” nel 2006, che lo consacra come uno dei cantautori di riferimento nella scena folk mondiale, e, dopo un periodo di silenzio e ritiro a vita privata, “My Favourite Faded Fantasy”, rilasciato nel 2014 con la co-produzione Rick Rubin. Grazie al suo stile unico e riconoscibile, RICE preferisce improvvisare sul palco senza avere una setlist, e ancora predilige viaggiare in barca a vela piuttosto che con un tour bus, per questo motivo sta progettando un altro tour in barca a vela nel Mediterraneo che partirà nell’estate del 2023.

Oscar 2023, Jamie Lee Curtis è la migliore attrice non protagonista

Oscar jamie lee curtis

È Jamie Lee Curtis a trionfare nella notte degli Oscar 2023 come migliore attrice non protagonista. Grazie al ruolo di Deirdre Beaubeirdre in “EveryThing Everywhere All At Once“, batte la concorrenza di Angela Basset, Hong Chau, Kerry Condon e Stephanie Hsu.

Era sicuramente una delle favorite, ma l’interpretazione dell’ispettrice dell’IRS (l’agenzia governativa deputata alla riscossione dei tributi all’interno del sistema tributario degli Stati Uniti d’America) nel film diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert è l’ennesima conferma delle capacità dell’attrice americana che nel 2021 ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera nell’ambito della 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Figlia di Tony Curtis, Jamie Lee Curtis è nota al grande pubblico già dagli anni ’80 con la partecipazione nel cult “Una poltrona per due”, nel ruolo di Ophelia, personaggio che le ha permesso di vincere il BAFTA alla migliore attrice non protagonista. Nel 1994 essendo nel cast di “True Lies” ha vinto il Golden Globe per la migliore attrice in un film commedia o musicale.

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Il film diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert porta a casa il bottino pieno nelle due categorie dei non protagonisti. Tra gli attori infatti è stato Ke Huy Quan a trionfare.

L’attrice, evidentemente emozionata, sul palco è comunque riuscita a dire: “Ho 45 secondi e ho promesso che sarei stata brava. Non sono qui da sola, ci sono centinaia di persone con me , i Daniels, la troupe, tutti quelli che hanno fatto questo film, il mio dream team: tutti abbiamo vinto questo Oscar. Dedico il premio a mio marito, alle nostre figlie, a mia sorella, a tutti quelli che hanno sostenuto i miei film di genere: tutti noi abbiamo vinto questo Oscar. E a mia madre e a mio papà, tutti e due hanno avuto la nomination per categorie diverse”.

Oscar 2023, Ke Huy Quan è il miglior attore non protagonista

È Ke Huy Quan a trionfare nella notte degli Oscar 2023 come miglior attore non protagonista. Il ruolo di Waymond Wang inEverything Everywhere All at Once gli è valso il plauso della critica. Il film diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert, fa così bottino pieno nelle due categorie degli attori non protagonisti grazia anche alla vittoria di Jamie Lee Curtis.

L’attore statunitense, originario del Vietnam, già vincitore del Golden Globe, ottiene così il suo primo Oscar della carriera. Batte la concorrenza di Brendan Gleeson, Brian Tyree Henry, Judd Hirsch e Barry Keoghan.

Torna vittorioso davanti le quinte Ke Huy Quan. L’attore, famosissimo negli anni ’80 al fianco di Indiana Jones e per aver interpretato Data dei “Goonies“, si era preso infatti quasi 20 anni di pausa come attore tornando nel 2021 in “Alla scoperta di ‘Ohana” di Jude Weng.

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Il ruolo che gli è valso l’Oscar è quello del marito di Michelle Yeoh, un uomo apparentemente innocuo ma action e furbo in un altro multiverso.

La dedica dell’Oscar va alla madre ottantenne che lo guarda da casa. Emozionato da sfogo a qualche lacrima e tra i ringraziamenti trova il tempo di dire a tutti: “Tenete vivi i vostri sogni”.

Oscar: Italians Do it Better

L’talia è il paese che ha vinto più Oscar per il Miglior film straniero. In testa con ben 5 statuette Federico Fellini, seguito a breve distanza con 4 statuette da Vittorio De Sica. Il suo Sciuscià, nel 1946, fu la prima pellicola nella storia dell’Academy, ad aggiudicarsi l’Oscar come miglior film straniero (allora denominato “onoriario”).

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Nella categoria Miglior regista per il nostro paese per ora solo un Oscar, quello consegnato a Bernardo Bertolucci nel 1988 per il kolossal L’ultimo imperatore. A Paolo Sorrentino invece il grande merito di aver riportato l’ambito riconoscimento dell’Academy in Italia dopo ben 15 anni con il film La grande bellezza nel 2014. Roberto Benigni nel 1999 ha portato a casa 2 statuette, per il Miglior film straniero e per il Migliore attore protagonista con La vita è bella. Elio Petri conquistò l’Oscar al Miglior film straniero cinquant’anni fa, nel 1971 con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Gabriele Salvatores trent’anni fa con Mediterraneo nel 1991.

L’omaggio dei rifugiati ucraini al poeta Ševčenko

Foto di copertina: Ivan Kramskoi - www.goskatalog.ru, Public Domain

Festa tra le comunità ucraine nel giorno in cui si celebra la nascita di Taras Hryhorovyč Ševčenko (Morynci, 9 marzo 1814 – San Pietroburgo, 10 marzo 1861). Poeta, scrittore, umanista e pittore, la sua eredità letteraria è ritenuta uno dei pilastri della moderna letteratura ucraina e, in senso più ampio, della stessa lingua ucraina.

Ševčenko era un servo della gleba dal talento straordinario, fu riscattato grazie all’intervento del grande pittore russo Karl Brjullov e visse a lungo a San Pietroburgo scrivendo molte opere in russo. Giovedì 9, a Civitaretenga, frazione di Navelli (L’Aquila), in uno dei moduli abitativi provvisori assegnati ai rifugiati, in particolare quello professoressa Ljubov Prokof’eva (docente alla facoltà di Psicologia di Odessa), saranno lette alcune poesie di Ševčenko in ucraino, con relative traduzioni in inglese, francese e italiano. Seguirà un piccolo rinfresco a base di cibo ucraino.

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L’iniziativa vede coinvolti Alessandro Vaccarelli, professore associato di Psicologia generale e sociale al Dipartimento di scienze umane dell’Ateneo, Ornella Calvarese, collaboratrice ed esperta linguistica dell’Università dell’Aquila e Leonardo Di Pietrantonio, studente del Dsu oltre ad amici e sostenitori. “Per questa comunità è una giornata importante – spiega Ornella Calvarese – siamo felici di contribuire all’omaggio a un poeta così simbolicamente significativo, specie per questo momento storico”.

“Seppellitemi e ribellatevi. Spezzate le catene”, scrisse Taras Ševčenko in Zapovit (Testamento). Cercava la libertà, la anelava con tutto se stesso. Ma non per sé, per la sua patria. Per l’Ucraina, la stessa che da mesi è teatro di guerra e orrori. In lingua italiana esiste un’edizione delle poesie tradotte dal titolo “Nere sopracciglia”, un’edizione a cura dell’associazione culturale Thauma. 

TESTAMENTO

Quando morrò seppellitemi
Sull’alta collina
Nella nostra steppa
Della bella Ucraina
Che si vedano i campi
E il Dniepr stizzito
Che si oda dal fiume
Al mare azzurro
L’inimico sangue
Cattivo, impuro
Allor, lascerò la terra,
salirò al Dio
per pregare…ma intanto
non conosco Dio.
Seppellite, insorgete,
le catene spezzate,
con l’inimico sangue
libertà spruzzate,
e nella grande famiglia
nuova, liberata,
non obliate ricordar di me
con parola grata.

Foto di copertina: Ivan Kramskoi – www.goskatalog.ru, Public Domain

“Ghosted”, in arrivo il nuovo film con Chris Evans (trailer)

Ghosted apple tv

Apple ha rilasciato il trailer e la locandina di “Ghosted”, il nuovo film Apple Original con Chris Evans e Ana de Armas, che nel dicembre del 2021 sostituì Scarlett Johansson.

Un film romantico con alto tasso d’azione e avventura che racconta la storia di Cole (Chris Evans), un uomo buono e onesto, che si innamora perdutamente dell’enigmatica Sadie (Ana de Armas), arrivando a scoprire in modo scioccante che lei è in realtà un agente segreto. Prima che possano decidere di darsi un secondo appuntamento, Cole e Sadie vengono travolti in un avventuroso intrigo internazionale per salvare il mondo.

“Ghosted” è interpretato anche da Adrien Brody (“Peaky Blinders”), Mike Moh, Amy Sedaris, Tim Blake Nelson e Tate Donovan (“The O.C.”).

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Il film è diretto da Dexter Fletcher e scritto da Rhett Reese, Paul Wernick, Chris McKenna ed Erik Sommers. David Ellison di Skydance, Dana Goldberg e Don Granger sta producendo, insieme a Jules Daly, Evans, Reese e Wernick, mentre i produttori esecutivi sono Donald J. Lee, Jr., Brian Bell e de Armas. Le riprese principali sono avvenute ad Atlanta e Washington tra il febbraio e il maggio 2022.

Festa delle donne, alle origini dell’8 marzo

8 marzo festa della donna

L’8 marzo negli ultimi anni, complici social e creatori di meme, ha paradossalmente diviso ancor più che unire. La scelta di affollare ristoranti e locali vari in cerca di una serata al di sopra delle righe, al grido di “girl power”, potrebbe un po’ offuscare il senso di questa giornata.

Solo nel 1977 arrivò il riconoscimento formale dell’Onu, con l’istituzione della Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale. Un lungo percorso di decenni di battaglie nelle strade e nelle fabbriche da parte di donne vogliose di un riconoscimento del proprio io.

Ma perché l’8 marzo? Questa data risale ai primi anni del secolo scorso. Infatti la prima grande manifestazione di donne avvenuta l’8 marzo ebbe luogo nel 1914 in Germania, per la rivendicazione del diritto al voto. Mentre nel 1917 le operaie di Pietroburgo chiesero il ritorno degli uomini dalla guerra e il pane.

In Italia bisognò attendere il 1921 per cominciare alcune mobilitazioni in questa data per spinta delle donne comuniste. Ma solo negli anni ’70 questa giornata cominciò ad assumere importanza a livello socio-politico. Arrivarono i primi risultati. Fu ottenuto il diritto al divorzio, all’aborto, la parità salariale (almeno su carta).

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I movimenti femministi si diffusero su larga scala, facendo parlare di loro. Come nel 1972 quando a Campo de’ Fiori a Roma una manifestazione di donne si concluse con incidenti con le forze dell’ordine.

In Italia la questione è ancora molto dibattuta. Un esempio su tutti era l’idea che lo stupro fosse un reato contro la morale e non contro la persona. Questo fino agli annoi ’90. Oggi, quantomeno, Giorgia Meloni è il primo presidente del Consiglio italiano, nonostante molti movimenti femministi non si riconoscano in lei e nei suoi valori. Ma qui si entra in un altro campo.

Lei stessa nella giornata di ieri ha sottolineato come l’obiettivo è quello di avere al più presto un presidente della Repubblica donna. Lo ha detto nela Sala delle donne alla Camera dove è stata aggiunta la sua foto. La sua immagine va ad aggiungersi a quella delle 21 deputate elette all’Assemblea costituente, delle prime 11 sindache elette tra la primavera e l’autunno del 1946 e delle donne che per prime hanno ricoperto le più alte cariche delle Istituzioni della Repubblica italiana. 

Qui campeggiano le statue di Annamaria Mozzoni, paladina dei diritti delle donne e della battaglia per il suffragio femminile per il quale aveva presentato due mozioni in Parlamento nel 1877 e poi nel 1906, e di Salvatore Morelli, patriota mazziniano e deputato del Regno d’Italia che scrisse la prima proposta di legge per l’abolizione della schiavitù domestica. Due esempi di come la lotta per la parità di genere in molti casi fu trasversale e abbia origini antiche in Italia.

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Si tratta, dunque di scelte, di informazione. Si tratta di non fermarsi agli stereotipi. Di leggere e di informarsi. Di non fermarsi alle mimose e di scrivere post, conditi con hastag del momento, solo in queste occasioni.

La storia e gli scritti di Virginia Woolf, Edith Piaf, Alda Merini potrebbero essere un degno accompagnamento a questo giorno, per capire a fondo le spinte generatrici dell’8 marzo. Non che le 3 citate abbiano mai (forse) pensato ad una giornata del genere. Ma approcciarsi a questo di tipo di lettura fa andare oltre un brindisi fine a stesso questa sera. Qualsiasi genere sessuale lo faccia.

D’altronde l’esistenza, l’affermazione della persona, del proprio io passa attraverso pensieri e azioni concrete. Non solo cantando a squarciagola “oltre le gambe c’è di più” come fa Sabrina Salerno.

Foto di Brianna Tucker su Unsplash

Greta Margaret Cipriani e il mare dentro e fuori

Greta Margaret Cipriani

Un omaggio al suo Abruzzo il nuovo video di Greta Margaret Cipriani, pianista e compositrice protagonista di una canzone e un videoclip, “Marea”, disponibile su Youtube, nella pagina ufficiale dell’artista. La composizione, pensata per pianoforte ed effetti elettronici, fu pubblicata nel 2020 per l’album Here and Now dell’etichetta Blue Spiral Records.

Pianista di formazione classico-accademica, pluripremiata in concorsi classici, nonché poetessa, cantante, songwriter finalista al Sanremo Rock ha deciso di lavorare sul singolo aggiungendo al pianoforte effetti e arrangiamenti realizzati con la tastiera Korg Krome, in una dinamica che unisce il classico al moderno.

La giuria dell’European Music Contest, nel premiarla nel 2017 per la canzone “Tangueria”, l’aveva definita “originale, versatile, ma soprattutto talentuosa con il suo virtuosismo e il suo approccio eclettico, dimostrando una capacità decisamente rara di saper giocare con la musica e con il suo strumento”.

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In questo arrangiamento invece Cipriani abbandona momentaneamente il virtuosismo per trasmettere una concezione romantica della musica, ma anche densa, intimista e personale.

‘Marea’ rappresenta la marea interiore di ogni artista, che non aspetta altro che la catarsi. Il video, realizzato da Francesco Lombardi, riesce ad evocare poeticamente il movimento, sia sonoro che naturalistico, nel quale la protagonista – l’artista stessa – riesce a fondersi completamente.

Realizzato sulle spiagge abruzzesi fra i Ripari di Giobbe e la costa dei Trabocchi, il video è stato girato cercando di mettere in rilievo proprio la simbiosi fra l’arte, la natura e il sentimento. 

Patrizia Cirulli, l’omaggio discreto alla poesia di Eduardo

Patrizia Cirulli

“Incontrando la poesia di Eduardo è successo qualcosa di magico e straordinario”, Patrizia Cirulli parla del suo lavoro che la ha portata a definire il suo ultimo album “Fantasia. Le poesie di Eduardo in musica”. Disponibile in versione fisica, digital download e sulle piattaforme digitali.

Eduardo, naturalmente è Eduardo De Filippo e il suo album si propone come una trasposizione di in musica di dieci liriche di una delle figure più significative della storia del nostro teatro. L’album, realizzato sotto la direzione musicale di Marcello Peghin e la consulenza artistica di Mimmo Paganelli e edito da Squilibri Editore, spazia tra generi diversi: dal folk alla canzone d’autore. Il disco contiene una nota introduttiva a firma di Pasquale Scialò e alcune immagini dei dipinti di Beppe Stasi.

“Mi sono fortemente appassionata al suo mondo poetico – racconta Patrizia Cirulli – Luca De Filippo mi diede una prima autorizzazione alla pubblicazione e, successivamente, arrivarono anche le autorizzazioni degli altri eredi che ringrazio profondamente per avermi permesso di realizzare questo progetto. Musicare le poesie di Eduardo è stato come entrare in un mondo che non ho mai incontrato nella mia realtà, ma mi ha permesso di percepirlo come se lo avessi vissuto da vicino”. Giovedì 9 marzo e venerdì 21 aprile la cantautrice sarà in concerto al Garage Moulinski di Milano e all’Auditorium Novecento di Napoli.

BIO. Patrizia Cirulli è una cantautrice, compositrice, autrice di Milano, dalla voce “insolita e straordinaria”- come l’ha definita Lucio Dalla. Per tre volte finalista al Premio Tenco e per tre volte vincitrice del Premio Lunezia, ha collaborato con vari artisti, fra cui Sergio Cammariere, Mario Venuti, Fausto Mesolella, Sergio Muniz, Vince Tempera, Pacifico.

Nel 2012 pubblica il disco “Qualcosa che vale”, rilettura in chiave acustica dell’album “E già” di Lucio Battisti, in cui suonano 14 fra i migliori chitarristi italiani come Fausto Mesolella, Luigi Schiavone, Paolo Bonfanti, Massimo Germini, Carlo Marrale. 

Nel 2016 pubblica “Mille baci” (Egea Music) album finalista al Premio Tenco 2016, vincitore del Premio Stilnovo nell’ambito del Premio Lunezia 2016 e vincitore del Premio La musica della poesia nell’ambito del Premio Bianca D’Aponte 2016. In questo album Patrizia ha musicato e interpretato in forma canzone poesie di grandi autori (Quasimodo, Merini, d’Annunzio, Pessoa, Catullo, Garcia Lorca, De Filippo, Kahlo e altri). Due anni dopo pubblica “Sanremo d’Autore” (Egea Music), album finalista al Premio Tenco, in cui Patrizia ha reinterpretato alcuni brani che hanno partecipato al Festival di Sanremo. Nel 2020 ha pubblicato una sua personale versione acustica del brano di Achille Lauro “C’est la vie” e nel dicembre 2021 Patrizia ha scritto il suo primo libro di poesie dal titolo “Sola di fronte al mare” edito da Pluriversum Edizioni con prefazione di Alessandro Quasimodo

“Silo”: guarda il trailer della serie basata sui romanzi di Hugh Howey

Silo apple tv

“Silo” (già noto come “Wool”), la nuova serie drammatica in 10 episodi basata sulla trilogia di romanzi distopici bestseller del New York Times di Hugh Howey, farà il suo debutto il 5 maggio su Apple TV+. Oggi Apple ha rilasciato il teaser trailer e le prime immagini della serie creata dallo sceneggiatore nominato agli Emmy Graham Yost (“Band of Brothers – Fratelli al fronte”, “Justified – L’uomo della legge”), che ne è anche showrunner. Il candidato all’Oscar Morten Tyldum (“In difesa di Jacob”, “The Imitation Game”) dirige i primi tre episodi, mentre la serie dramedy è interpretata da un cast corale guidato da Rebecca Ferguson (“Dune”, “Mission: Impossible”), che è anche produttrice esecutiva. “Silo” uscirà su Apple TV+ con i primi due episodi, seguiti da un nuovo episodio settimanale ogni venerdì, fino al 30 giugno.

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Silo racconta la storia degli ultimi diecimila abitanti della Terra, la cui casa profonda un miglio li protegge dal mondo esterno, tossico e mortale. Tuttavia, nessuno sa quando o perché il silo sia stato costruito e chi cerca di scoprirlo va incontro a conseguenze fatali. Rebecca Ferguson interpreta l’ingegnere Juliette che cerca risposte sull’omicidio di una persona cara e si imbatte in un mistero molto più intricato di quanto avrebbe mai potuto immaginare, portandola a scoprire che, se le bugie non ti uccidono, lo farà la verità. 

Il cast della serie comprende Common (“The Chi”), la candidata agli Emmy Harriet Walter (“Succession”), Chinaza Uche (“Dickinson”), Avi Nash (“The Walking Dead”), il vincitore del Critics Choice Award e del NAACP David Oyelowo (“Selma”), la candidata agli Emmy Rashida Jones (“Parks and Recreation”) e il premio Oscar Tim Robbins (“Mystic River”).

“Silo” è prodotta per Apple TV+ da AMC Studios e basata sui romanzi di Hugh Howey. La serie è prodotta da Graham Yost, Hugh Howey, Morten Tyldum e Rebecca Ferguson, insieme a Nina Jack, Fred Golan, Rémi Aubuchon e Ingrid Escajeda.

Giannini, il giorno della stella sulla Walk of Fame: “Devo tutto a Lina”

di Luijtenphotos - Opera propria, CC0

Senza neanche aspettare il riconoscimento d’oltreoceano, Giancarlo Giannini una stella se l’è fatta da solo. “L’ho scolpita sul vialetto d’accesso a casa. Ho pensato: vada come vada, questa non me la leva nessuno”, sorride. Poi, è arrivata anche la decisione ufficiale da Hollywood dove ogni anno vengono scelti circa 30 artisti nel mondo a cui dedicare una nuova mattonella nel Walk of Fame.

L’attore e doppiatore italiano ha aspettato tre anni che venisse approvato il suo nome e poi altri due perché venisse fissata la cerimonia, rimandata per la pandemia. “Finalmente ci siamo – dice emozionato all’Hotel Beverly Hilton di Los Angeles – per me è un grande onore e lo devo tutto a Lina Wertmüller: non sarei qui se non avessi avuto lei a valorizzarmi. Venivamo qui con le pizze dei film sottobraccio per farle vedere a un produttore locale. Era un genio, purtroppo poco apprezzata in Italia”.

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Da oggi, tutte le persone che passeggeranno sul marciapiede più famoso potranno anche ammirare la stella di granito rosso dedicata all’interprete di Pasqualino sette bellezze o dei più recenti Casino Royale e Quantum of Solace della saga 007, posata a pochi passi dal mitico incrocio tra Hollywood Boulevard e Vine street, dove all’inizio del ‘900 aprirono i primi Studios. Sarà vicina a quella di Gina Lollobrigida: “Non aver lavorato con lei è uno dei miei rimpianti. Moltissimi anni fa, mi propose di fare insieme una commedia a Broadway, ma poi non se ne fece nulla”.

Giannini aveva commentato l’onorificenza dicendo: “A Hollywood mi danno la stella, a Venezia non mi hanno dato neanche un gatto nero”. Ci ride sopra, ma conferma: “Sono stato candidato all’Oscar, ho vinto a Cannes, tanti Donatello e Nastri d’argento ma mai un Leone. In genere, si dice: ‘danno premi a cani e porci’ …evidentemente non è così!”. Giannini ha ritirato intanto il premio alla carriera del Filming Italy Los Angeles, il festival creato dalla produttrice Tiziana Rocca per promuovere opere e artisti italiani all’estero, realizzato con l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles.

Foto: di Luijtenphotos – Opera propria, CC0

Federico Barbarossa, la leggenda che non lo vuole morto

Barbarossa federico barbarossa

Quando Richard Wagner scrisse “Quando tornerai, Federico, splendido Sigfrido? Quando abbatterai il drago malvagio che tormenta l’umanità?”, si riferiva a Federico Barbarossa e alla leggenda che non lo voleva morto. Anzi, che non lo vuole.

L’imperatore appartenente alla famiglia degli Hohenstaufen, nonché nonno del futuro stupor mundi Federico II, è stato sicuramente una delle figure di riferimento del Medioevo. In oltre cento battaglie e circa 40 anni di regno portò l’aquila degli Svevi a regnare sull’Europa. Dalle gelide acque del Nord alle spiagge assolate della Sicilia.

Visse e morì sul campo di battaglia. Sebbene non furono mai le armi dei nemici a vincerlo. Bensì le acque di un fiume. Quelle che gli arabi chiamavano Salef e i greci Kalikaddanos. Era il 10 giugno del 1190 e il Barbarossa era al comando dei crociati che dalla Cilicia si dirigevano ad Antiochia.

Qui le “acque azzurre”, o meglio Göksu come le chiamano i turchi, attrassero il comandante anziano e asfissiato dal caldo. Qui storia e leggenda cominciano ad intrecciarsi. Perché sembrava impossibile per chicchessia morire in quelle acque, tanto che ne “La perfezione nella Storia”, il cronista arabo Ibn al-Athir ringraziò Allah per averli liberati dell’acerrimo nemico.

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A questo si aggiunse il tentativo dei cristiani di ridurre il corpo dell’imperatore a reliquia, ma i resti non giunsero mai a Gerusalemme. Si persero probabilmente tra Tiro e Acri.

Da qui in poi nacque il mito di Federico Barbarossa. Il re dei Romani si aggiunge alla schiera dei personaggi come Artù, Carlo Magno, Alberto da Giussano. Vite e morti leggendarie.

Si narra infatti che il prode Federico non sia morto, ma riposi su una montagna nella Turingia, in Germania. Qui dorme, con i suoi soldati, in una grotta nella catena montuosa del Kyffhäuser.

Sul porfido di queste rocce, durante il regno dell’imperatore, fu construito il Reichsburg Kyffhausen, un imponente castello medievale. Da lontano svetta la statua di Guglielmo I a cavallo. Sotto di lui, incastonato nella roccia, il monumento di Federico Barbarossa si affaccia sul suo ex regno dormendo seduto su un trono di pietra. Qui la sua barba cresce lentamente da secoli.

Gli occhi del re sono semichiusi, quasi in dormiveglia. Leggenda vuole che si svegli di rado per chiedere a qualche giovane passante se i corvi hanno smesso di volare. Solo quando questi chiuderanno le ali sarà giunto il momento di porre definitivamente fine al suo sonno e tornare per guidare la Germania all’antica grandezza.

Solo lui potrà, stando alle parole di Wagner, tornare per sconfiggere “il drago malvagio che tormenta l’umanità”.

“Così speciale” è il singolo che anticipa il nuovo album di Diodato: da aprile in tour

Esce oggi “Così speciale” (Carosello Records), la title track che anticipa il nuovo album di inediti di Diodato “Così speciale”, in uscita il 24 marzo.  

Il videoclip della title track racconta la genesi del brano stesso e gli ambienti in cui è girato richiamano momenti di vita quotidiana. Diodato inizialmente è immerso in un luogo pieno di gente, una mostra espositiva in cui domina il diletto, il confronto e la voglia di interagire. La testa però sembra portarlo pian piano altrove fino a costringerlo a rifugiarsi in una casa accogliente che sembra diventare il luogo ideale per sentirsi libero di dare sfogo alle riflessioni che affollano la mente. Il finale si svolge in un campo sconfinato in cui domina una pace garantita dalla consapevolezza raggiunta, sublimata e amplificata dalla creazione artistica che permette di condividere con chiunque le proprie emozioni. Proprio a questo fa riferimento lo sguardo in macchina con cui si chiude il videoclip e che rappresenta una mano tesa all’ascoltatore.

Il video ripercorre la nascita e il processo di scrittura di questo brano in cui Diodato canta con estrema sincerità le proprie fragilità fino alla salvifica consapevolezza d’aver vissuto qualcosa di importante, di speciale. Il videoclip è una produzione Borotalco.tv per la regia di Attilio Cusani e nasce proprio dal confronto tra il regista e il cantautore.

“Così speciale” (Carosello Records), brano che anticipa l’uscita del quarto album di inediti di Diodato, è una ballad, è un pianoforte che vibra in una stanza e una voce che vibra con esso, con la sola esigenza di raccontare. Ancora una volta Diodato decide di andare al cuore della questione, arrivando in profondità, per tornare a rifiorire in superficie ancor più forti, consapevoli e arricchiti dal proprio vissuto. 

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«Talvolta infatti, arriva un momento di estrema lucidità e con sorprendente chiarezza si comprende quali siano state le cose davvero importanti, gli attimi vissuti che potrebbero essere definiti speciali. Li puoi sentire fiorire lentamente, fiori lievi come ricordi e allo stesso tempo potenti, come la consapevolezza che li nutre. Crescono nonostante i rimpianti, nonostante gli errori. Sono il dono segreto che si riceve per aver lasciato entrare vento, pioggia e sole, per aver vissuto davvero, per aver riconosciuto qualcosa di così speciale»

Autenticità, emotività, cura e passione sono gli aspetti che la canzone svela dell’omonimo album “Così speciale”, che sancisce il ritorno di uno degli artisti più amati degli ultimi anni e tra i più premiati della storia della musica italiana.

L’album “Così speciale” arriva dopo lo straordinario successo del disco “Che vita meravigliosa” (certificato platino), uno dei progetti discografici più seguiti degli ultimi anni e tra i più premiati della storia della musica italiana, anticipato da “Fai Rumore”(Carosello Records), brano certificato triplo disco di platino con cui Diodato ha trionfato nel 2020 al 70esimo Festival di Sanremo e con cui si è esibito nel 2022 all’Eurovision Song Contest di Torino, regalando a tutto il mondo una performance iconica e indimenticabile. Fanno parte del disco “Che vita meravigliosa” anche l’omonimo brano – disco d’oro – parte della colonna sonora de “La Dea Fortuna” di Ferzan Özpetek, che gli è valso per la miglior canzone originale  il premio David di Donatello, il Nastro d’argento e il Ciak d’oro, e il grande successo “Fino a farci scomparire” (certificato disco d’oro).

Il nuovo album “Così speciale”, si compone di 10 tracce inedite e sarà disponibile in formato CD, vinile, vinile autografato in esclusiva su Amazon e in una speciale box deluxe in tiratura limitata e numerata contenente CD con artwork bianco, vinile con artwork bianco e differente grafica, 2 fogli di sticker che richiamano i fiori della cover in diverse dimensioni e due stampe in alta qualità, una delle quali realizzata dal fotografo Alessio Albi.

Festen, il capolavoro di Vinteberg è diventato un grande spettacolo. L’intervista al regista Marco Lorenzi

In cartellone alla Sala Umberto fino a domenica 5 marzo, il “Festen” della compagnia Il Mulino di Amleto è senza alcun dubbio una scommessa teatrale molto ardita: voler portare in scena, infatti, un capolavoro cinematografico come quello del danese Thomas Vintenberg, manifesto del movimento “Dogma 95” e caratterizzato da un linguaggio figurativo a dir poco spigoloso, avrebbe potuto rappresentare una scelta potenzialmente suicida, in termini di resa spettacolare ma anche contenutistica. Invece, a parere di chi scrive, (e non sono certo solo viste le numerose, entusiastiche recensioni e gli altrettanto numerosi, concordi pareri di gradimento assoluto espressi sui social da chi lo ha visto), si tratta di un esperimento di “traduzione” assolutamente ben riuscito e da non lasciarsi sfuggire.

Ne abbiamo parlato con il regista Marco Lorenzi.

La prima domanda non può che essere: quando e perché le è venuto in mente di mettere in scena un film a dir poco particolare come “Festen”?

Il progetto di portarlo a teatro l’ho accarezzato da molto tempo. Io sono un grande amante del cinema e, inoltre, con Il Mulino di Amleto abbiamo sempre subito il fascino dell’estetica cinematografica e della ricchezza del suo linguaggio. Probabilmente l’idea è nata già la prima volta che ho visto il film, perché mi ha colpito forte a livello emotivo. È stata un’attrazione subitanea, di una natura che definirei quasi “erotica”. Partendo da questo impulso ho cominciato a sviluppare delle idee, delle tracce, che si sono arricchite nel corso del tempo anche grazie al fatto che io frequento non poco il teatro al di là dei nostri confini. All’estero, non solo in Danimarca, “Festen” è una specie di classico da anni (la prima versione teatrale, rappresentata a Londra, risale al 2001). Comunque ci tengo a sottolineare che per me non è soltanto un dramma borghese come spesso è stato definito, ma possiede una visione metafisica, piena di simboli e di archetipi, che a mio giudizio il teatro può sviscerare con assoluto profitto, anche più del cinema. Nell’elaborazione dello spettacolo abbiamo infine studiato con grande attenzione Ibsen (come ha fatto lo stesso Vintenberg, d’altronde) e certi capisaldi della tragedia classica, in quest’ultimo caso soprattutto per le implicazioni politiche della storia che raccontiamo (l’”Orestea” è stato un faro).

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Tenendo presente i “paletti” stilistici imposti dal Dogma 95, specialmente quello riguardante la necessità di usare la sola telecamera a mano, come ha lavorato per la definizione dello spazio scenico?

Sembra difficile da credere, oggi, ma questo spettacolo era nato con una scenografia completamente diversa che abbiamo cassato dieci giorni prima dell’inizio delle prove, perché non dava lustro agli attori, li appiattiva, li schiacciava. Abbiamo quindi ricominciato tutto da capo, partendo dalla favola di Hänsel e Gretel che si vede ad inizio rappresentazione e che ha dato la stura alla riedificazione del progetto. In un primo momento, non avevo pensato di usare la telecamera sul palcoscenico (nonostante già in alcuni lavori passati lo avessi fatto), la scelta è nata in seguito, dopo aver fatto un’attenta riflessione con i miei attori sul modo in cui sarebbe stato più opportuno mostrare al pubblico il rapporto con potere e verità, che, come già ho suggerito, è centrale nella storia. Da quel momento in poi, abbiamo dato vita ad un gigantesco piano sequenza che si sovrappone a quello che fanno gli attori in scena creando due piani paralleli che costringono il pubblico a scegliere costantemente ciò che vuole guardare, fino a quando il velatino che abbiamo inserito in scena non cade definitivamente. Così facendo, secondo me, si è determinato un climax drammatico molto efficace.

Sempre in tema di stile: la resa visiva del campo-controcampo cinematografico sul palco alla quale ha dato vita è a dir poco affascinante. Come ha guidato gli attori per ottenerla? È stato complicato abituarli alla presenza della telecamera?

Quando abbiamo modificato lo spettacolo, lo spazio scenico si è progressivamente svuotato per favorire la capacità di alludere determinata dalla compresenza di telecamera e attori. Con quest’ultimi non c’è stato naturalmente nessun problema, perché i ragazzi de Il Mulino di Amleto sono molto coesi e open minded. Abbiamo scoperto tutti insieme come funzionava il “gioco” in scena, servendoci di una videomaker e di un light designer per definire quali dovevano essere i movimenti e quali le inquadrature da sovrapporre (non a caso, ognuno degli attori ha utilizzato e utilizza uno story board per ogni replica). Infine, abbiamo fatto in modo che la recitazione fosse il più “fine” possibile, che fosse quanto più sottile possibile per ampliarsi e comprimersi nello spazio.

Rispetto alla pellicola, il vostro spettacolo presenta una componente di (macabra) ironia spiccata e perdurante, anche nei momenti più drammatici della storia. Perché? Uno scarto voluto rispetto a Vintenberg o una semplice conseguenza?

Sì, c’è una certa costante ironia fin dall’inizio, ma non posso dire quanto sia effettivamente voluta e quanto più marcata rispetto all’originale. Forse dipende dal fatto che come spettatore di “Festen”, parlo del film ovviamente, l’ho sempre riscontrata nei suoi risvolti più oscuri. Alla fine, a ben riflettere, la storia che racconta, per quanto spietata e pregna di un cinismo senza fine, nel suo voler comporre un ritratto crudele del genere umano e della sua miseria, ogni tanto incappa in qualcosa che, paradossalmente, fa ridere. Pensiamo solo al fatto che, nonostante tutto ciò che si racconta, in scena e nel film, la festa che dà il titolo a entrambi va avanti imperterrita! Ecco, già solo questo dice tanto di come lo stesso Vintenberg abbia in qualche modo previsto una simile componente fin dall’inizio. E questo rende il suo lavoro ancora più favoloso, sconvolgente.

Il suo “Festen” si inserisce -con assoluta originalità, a parere di chi scrive- nel moderno filone di quello che potremmo chiamare “teatro cinematografico”. Come mai, secondo lei, questa sorta di tendenza si sta sviluppando così tanto? E, nel suo caso, risponde ad un’esigenza di superare certe convenzioni in ambito spettacolare?

Io parto sempre dal contenuto e mai dalla forma quando costruisco uno spettacolo. Questo, talvolta, mi porta a scardinare quegli approcci che possono essere considerati “classici”. E per riuscirci, mi servo di tutto ciò che ritengo opportuno. L’importante è che il risultato finale riesca sempre a determinare l’incontro tra attori e spettatori, a generare quel “rito” che è alla base del teatro come dovrebbe essere. Detto ciò, per noi de Il Mulino di Amleto ciò che conta di più è la suggestione e il modo in cui può essere rappresentata. “Festen”, in questo senso, deve essere considerato come un “nuovo classico” ed un esempio lampante di come il cinema possa allargare gli orizzonti di chi lavora nel teatro. Solo certo cinema, però, perché il discorso di “cassetta”, quello cioè di cavalcare stancamente l’onda di un grande successo sul grande schermo può risultare deleterio. In ogni caso, credo che ai giorni nostri il concetto di “repertorio” che nel nostro Paese a volte è così soffocante (pensiamo al fatto che, molto spesso, di alcuni autori, anche grandi, si rappresentano sempre le stesse quattro o cinque cose), vada assolutamente rivisto. E allargato a nuove scelte, verso nuove possibilità.

Uno dei capisaldi della vostra compagnia è: “Affrontare i classici come fossero testi contemporanei e affrontare i contemporanei come fossero testi classici”. Ci può spiegare cosa intende(te) e come questo motto programmatico si sostanzia nella prassi lavorativa?

Noi cominciamo sempre dallo stesso proposito, quando ci mettiamo al lavoro su un testo: cercare di scoprire se al suo interno c’è un’idea in grado di sopravvivere nei secoli, di superare certe contingenze temporali. Una volta individuata, riflettiamo sul perché possegga questa caratteristica. Parallelamente, ci chiediamo che mezzi sono stati utilizzati per rappresentarla e se anche loro hanno una capacità di sopravvivere nel tempo. Come è stato dimostrato, l’intelligenza umana, in termini di emotività, non è cambiata nel tempo: ecco dunque che, rispetto al IV secolo a.c., per dire, certe reazioni di fronte a determinati accadimenti sono sempre le stesse. Pensiamo al “cuore più oscuro” delle grandi tragedie classiche. Non è forse lo stesso anche oggi, una volta individuato? L’unica cosa che cambia sono, appunto, i mezzi che si utilizzano per mostrarlo, per andare incontro allo spettatore. Tirando le somme, quindi: se lavoriamo su un testo classico, una volta trovata la summenzionata idea, facciamo in modo di svilupparla con un linguaggio espressivo adatto alla nostra epoca; se lavoriamo invece su un testo contemporaneo, facciamo il percorso inverso, togliendo la “modernità” per arrivare al “cuore nero” di cui sopra.

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In chiusura: che succede dopo un’opera come questo “Festen”? Qual è il passo successivo?

Di sicuro, a livello di “virtualismo” teatrale, rappresenta la mia regia più spinta. Per un po’, forse, potrei aver bisogno di un rapporto con il palcoscenico meno mediato. Magari, invece, non andrà così. Magari incapperò in un progetto che, nonostante certi propositi di partenza, mi porterà a servirmi ancora di mezzi simili o ancora più tecnologici. Chi può dirlo? Vedremo.

Auditorium Zambra, la serata vintage con l’eccellenza italiana delle Satin Dollz

In occasione dell’8 marzo il Cinema Auditorium Zambra di Ortona ospita un appuntamento tutto al femminile con il concerto delle Satin Dollz previsto per le ore 21.00.

La serata, unica nel suo genere, è prodotta e organizzata da Martina Di Martino in collaborazione con Unaltroteatro di Lorenza Sorino, Arturo Scognamiglio e Davide Borgobello.

Le Satin Dollz sono una creazione di Allison Lizzi Mahr, una cantante professionista laureata al Teatro delle Arti dell’Università della California, che nel 2005 ad Hollywood, decide di formare la prima divisione di questo gruppo di Pin Up, cantanti e ballerine che si esibiscono in spettacoli Swing in giro per la nazione.

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Negli anni le divisioni delle Satin Dollz si moltiplicano e sbarcano anche in Europa, nascono infatti anche le divisioni di Londra di Parigi e infine anche quella di New York. Ad oggi anche l’Italia può vantare di rappresentare questo brand, perché dal gennaio 2022 nasce la divisione italiana delle Satin Dollz che debuttavano inizialmente come “Sorelle Rossetto”.

Il trio formato dalle abruzzesi Gabriella Profeta, Giorgia Bellomo e Marika Marrone è stato ideato dalla Profeta che racconta: “È uscito da poco il nostro disco ‘Tradizionale’. Lo abbiamo tanto desiderato, ci abbiamo lavorato duramente e lo abbiamo atteso con infinita pazienza. È nato con il nome del trio che ho fondato nel 2019, le Sorelle Rossetto. Abbiamo partecipato a festival vintage e a programmi televisivi come Tu si que vales. Un trio che ha fatto strada ed è diventato, nel gennaio 2022, la quinta divisione mondiale del brand americano Satin Dollz e ora rappresentiamo l’Italia con la loro divisione italiana”.

Tutte le divisioni si esibiscono con spettacoli dedicati alla musica jazz, allo swing, alla musica hawahiana e al rockabillie rispettando gli stessi arrangiamenti e le stesse coreografie firmate Satin Dollz. Solo la divisione italiana, forte della grande tradizione di musica swing, dedica un angolo speciale ai brani che hanno segnato l’epoca del Dopoguerra, da qui il nome “Tradizionale” del disco che verrà parzialmente proposto nel primo set durante la serata ad Ortona: un genere che ha accompagnato le ragazze fin da piccole, che fa da eco al passato in cui anche le nonne cantavano, impegnandosi nelle faccende di case.

Nel secondo set invece, come spiegano “presentiamo un angolo interamente dedicato al marchio Satin Dollz, un brand che parte proprio dalla tradizione swing degli anni 20/30, i brani che abbiamo scelto sono tra i più celebri eseguiti da big band e jazz combo per le truppe militari che rientravano alle basi”.

“Nei nostri show abbiamo mantenuto l’angolo dedicato al nostro swing tradizionale, siamo sempre state legate alla nostra storia ed è per questo che l’album è un omaggio alla musica che ci ha aiutato a risollevare gli animi tristi colpiti dalla Seconda Guerra Mondiale – conclude Gabriella Profeta.

Tra il primo ed il secondo set, non mancherà un ulteriore tocco di sensualità con la leziosa Veruska Puff e l’arte del burlesque: in giro per il mondo con il suo antico baule pieno di sorprese, indossa uno stiloso cappellino ed un elegante cappotto che nasconde un intimo sfavillante. Uno show divertente ed elegante dallo squisito gusto rétro.

Per info e prenotazioni il numero è 345.4367809, mail segreteria@cinemauditoriumzambra.com; biglietti acquistabili su www.liveticket.it.

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Uffizi, l’aumento del biglietto riaccende la polemica

Uffizi biglietto

L’aumento del biglietto d’ingresso degli Uffizi di Firenze ha nuovamente aperto il dibattito riguardante il tema dei prezzi per accedere a musei, siti archeologici, monumenti vari. Il costo sarà di 25 euro invece degli attuali 20. Il rialzo riguarda il solo l’accesso singolo per la Galleria delle statue e delle pitture ed esclusivamente in alta stagione (dal 1 marzo a 30 novembre).

Da un lato chi sostiene come la cultura deve essere accessibile a tutti, dall’altro chi fa i conti in tasca al settore e propende per un ticket per accedere ai luoghi custodi della cultura in Italia.
Quest’ultimo fronte si basa sul dato che all’estero la gran parte dei musei sia a pagamento nonostante le opere proposte siano spesso inferiori qualitativamente a quelle esposte in Italia.

Qui subentra anche un discorso soggettivo, ma sarebbe qualunquista non ammettere che alcuni artisti, opere, musei, siti archeologici, monumenti, siano superiori ad altri. Quantomeno per importanza storica ed artistica. Se poi si vuole comparare il Colosseo con qualsiasi anfiteatro costruito dai Romani nei meandri del loro territorio, si può certamente farlo. Ma risulterebbe forzato.

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L’assunto da cui bisogna partire è che il settore della cultura in Italia è in parte in difficoltà. Molti siti sono chiusi per mancanza di personale che a loro volta non può essere assunto per mancanza di fondi.
Potrebbe sicuramente tornare utile il metodo di pagare tutto ma pagarlo di meno, così da contribuire maggiormente al reperimento di finanze per la manutenzione e apertura di tutti i beni culturali in Italia. Sebbene chi veramente voglia accedere a determinati luoghi ad oggi può contare su molte facilitazioni. Da sconti per under e over, per residenti, per gruppi, domeniche gratis, aperture serali gratuite. Insomma se si vuole si può. La cultura, l’arte, d’altronde è costata fatica. E fatica e soldi costa mantenerli.

Di contro i Greci furono fautori della bellezza per tutti per creare un effetto catartico ed epifanico. L’arte, la cultura sono un bene pubblico. L’ingresso incondizionato dei privati, sebbene i loro finanziamenti siano a volte più che necessari, gli aumenti dei prezzi (cosa non sempre collegata) e brandizzazione di opere d’arte e musei vari, rischia di allontanare una buona fetta di potenziale pubblico da questi luoghi.

Si potrebbe verificare uno sfruttamento dell’arte, come se quest’ultima, in tutte le sue sfaccettature, fosse un mezzo per rendere più cool i profili social di influencer vari. Facendo divenire le opere veri e propri marchi pubblicitari a favori di aziende private.

Ben venga la pubblicizzazione di musei, siti archeologici. Giusto rendere più fruibile la storia artistica. Ma cercando il più possibile di lasciarla accessibile a chiunque. Cercando di coinvolgere le fasce meno abbienti della società con sconti in base ai redditi. Non rendendo il mondo della cultura un qualcosa di elitario.

“Fortini Sonori”, la musica nei piccoli teatri

Il cantautore romano Claudio Cirillo apre domani  all’Aquila (ore 21) la rassegna Fortini Sonori, progetto dell’etichetta Isola Tobia Label che prevede una serie di concerti degli artisti dell’etichetta nelle piccole sale teatrali italiane, individuate a Roma e Torino. 

 Per questo circuito, nel capoluogo abruzzese, è stato scelto Spazio Rimediato, in via Fontesecco. Obiettivo di Fortini Sonori, che ha trovato la piena sinergia dei direttori artistici dei teatri coinvolti, è quello di offrire agli spettatori la possibilità di ascoltare la musica di artisti poco noti ma di talento, in un’atmosfera intima e senza filtri, per recuperare quel contatto diretto con le emozioni e le sensazioni che soltanto uno spettacolo dal vivo può dare. 

 Questo progetto si pone inoltre come finalità sia quella di un ascolto consapevole e partecipato da parte del pubblico in ambienti che lo consentano – quali appunto le sale teatrali – sia quella consentire ai cantautori del tour una propria autonomia artistica, che fornisca loro anche gli strumenti per valorizzare e far riconoscere il proprio lavoro, nel pieno rispetto delle regole previste nell’organizzazione dei concerti da un punto di vista remunerativo e contributivo. Cirillo presenta il suo concerto chiamandolo “365 Tour – Un anno di emozioni raccontate sul palco” dove trova idealmente collocazione una canzone per ogni mese e polistrumentista, Cirillo ha iniziato la sua carriera dapprima soltanto come musicista, avvicinandosi in un secondo momento anche al canto. È diplomato in chitarra acustica “fingerstyle” alla scuola acustica di Roma e ha frequentato il Saint Louis College of Music con indirizzo Jazz, studiando contemporaneamente batteria e pianoforte. 

 Si è inoltre formato al conservatorio di Santa Cecilia (triennio in Chitarra jazz) e all’accademia Studio 5 di Roma (corso di Canto).Le prossime settimane vedranno le esibizioni di Mizio Vilardi (giovedì 9), Porfirio Rubirosa (giovedì 16) e Carlo Mercadante (giovedì 23).

“The Dark Side of the Moon”: compie 50 anni l’album che cambiò la storia della musica

È molto difficile, se non impossibile, parlare oggi dei Pink Floyd senza scadere nell’ovvio. Perché, diciamocelo: The Dark Side of the Moon è tra i migliori album mai partoriti da qualunque mente umana nella storia della musica, ed un lavoro che dettò dei nuovi canoni, portando a livelli mai pensati e avanguardistici l’espressione musicale. Pubblicato il 1º marzo 1973 negli Stati Uniti d’America dalla Capitol Records e il 23 dello stesso mese nel Regno Unito dalla Harvest Records. Ben 50 anni fa, eppure sembra sia uscito ieri da qualche passaggio spazio-temporale del futuro.

«The Dark Side of the Moon was an instance of political, philosophical and humanitarian empathy that desperately asked to come out.» (The Dark Side of the Moon era un’istanza di empatia politica, filosofica e umanitaria che chiedeva disperatamente di venir fuori)

Così lo definì Roger Waters, polistrumentista e storico bassista e seconda voce del quartetto inglese. E forse sono proprio le sue parole le più adatte a definire un’opera di questo calibro. Noi comuni mortali non possiamo certamente avvicinarci alla natura quasi divina delle quattro menti che diedero vita ad un simile lavoro. The Dark Side of the Moon è l’esempio perfetto di come il genio nasca una sola volta, in circostanze quasi divine, come se i pianeti si fossero allineati in quel giorno.

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L’ottavo album dei Pink Floyd fu una rivelazione, rappresentò il culmine di anni di sperimentazioni. Assai diverso rispetto ai lavori precedenti, la prima cosa che saltò all’occhio fu la notevole riduzioni delle sezioni strumentali ed un maggiore accento ai testi. Questi ultimi incentrati sulla psiche umana e su quei lati nascosti (oscuri, per meglio dire) che la razionalità non può tenere a freno. Da qui il titolo canonico dell’album.

Temi come il conflitto interiore, il denaro, la percezione e il trascorrere del tempo, la morte, l’alienazione (un chiaro rifermento all’ ex vocalist Syd Barrett) furono la linfa vitale del disco. Premere il tasto “play”, tanto oggi quanto quasi cinquant’anni fa, significa entrare in una dimensione completamente aliena al mondo. Un po’ come guardare in uno specchio che riflette l’anima anziché il corpo. Questo è il lato nascosto della Luna e della psiche. Ed anche da un punto di vista prettamente tecnico i Pink Floyd furono innovativi. L’album si avvalse infatti di una registrazione in multitraccia, sintetizzatori analogici e sezioni parlate.

Già quando venne pubblicato il sesto album Meddle nel 1971, la band iniziò a raccogliere il materiale per la sua creazione finale. Addirittura Il nuovo album venne sponsorizzato mesi prima della sua effettiva pubblicazione, durante il Dark Side of the Moon Tour . Subito dopo l’uscita, il disco ottenne un successo stratosferico. Milioni e milioni di copie vendute e ben 741 settimane di prima posizione, tra il 1973 e il 1988, nella classifica statunitense Top LPs & Tapes.

L’idea di un lavoro che si concentrasse su un solo tema fu proprio di Roger Waters. In un’intervista concessa alla rivista Rolling Stone, David Gilmour disse:

«Credo che tutti pensassimo – e Roger sicuramente lo pensava – che molti dei testi che stavamo usando fossero un po’ troppo indiretti. C’era decisamente la sensazione che le parole stessero per diventare più chiare e specifiche.»

Sappiamo tutti dello storico attrito che ci fu tra i due -motivo per il quale la band si scioglierà-. Eppure in quel 1972, Il bassista e paroliere Roger Waters, il chitarrista David Gilmour, il batterista Nick Mason e il tastierista Richard Wright parteciparono alla composizione e alla produzione del nuovo materiale. Waters poi registrò i primi demo nella sua casa di Islington, in un piccolo studio di registrazione allestito in un capanno in giardino. Tutti e quattro furono d’accordo con l’idea.

Concettualmente parlando, e come già accennato, The Dark Side of the Moon rappresentò uno spartiacque nella carriera dei Pink Floyd. Lo stesso Gilmour definì il materiale precedente con Barrett «quella noiosa roba psichedelica» -ah, il buon David e le sue provocazioni- . Una svolta stilistica già annunciata, dicevamo, con Meddle, resa nota dall’espressione “musica concreta“. Il termine fa riferimento al compositore francese Pierre Schaeffer che lo ideò nel 1948. Esso indica la manipolazione del suono nella musica contemporanea. Schaeffer parlava di musica concreta intendendo il suono nella sua completezza; ovverosia il fatto di ascoltare il suono in tutti i suoi aspetti.

I Pink Floyd furono tra i primi innovatori a dare al suono una vita propria, non ragionando per schemi ma per interezza. Esattamente come nel Cubismo l’oggetto veniva rappresentato in mille prospettive su un unico piano esistenziale, allo stesso modo il sound dell’album venne colto nella sua totalità. Attraverso modulazioni, orchestrazioni e la tecnologia dell’epoca, The Dark Side of the Moon rese tangibile qualcosa che, prima di allora, era possibile cogliere solo con l’udito. Un’esperienza mistica che coinvolgeva tutti i cinque sensi.

I due lati del vinile contengono ciascuno cinque tracce, unite come fossero una sola suite per facciata. Inoltre ogni brano costituisce un’allegoria ai vari stadi della vita, tant’è vero che l’album inizia e finisce con il rumore del battito cardiaco. Ed è il cuore, per così dire, il senso dell’opera, a testimonianza di come solo tramite l’empatia si possa cogliere ciò che il solo grezzo cervello non può. D’altronde, come può la razionalità spiegare qualcosa di irrazionale? Solo la forza del sentimento può.

Oltre ad un enorme guadagno in termini economici, l’album segnò l’inizio di una nuova epoca musicale. La musica elettronica moderna, l’uso del sintetizzatore e delle sonorità psichedeliche e la musica intesa come concetto, presero il via proprio da qui, quasi cinquant’anni fa. Non possiamo quindi che concordare con la rivista Rolling Stone, che nel 1987 lo collocò al 37º posto della sua Top 100 Albums of the last 20 years, e sedici anni dopo al 43º nella sua lista dei 500 migliori album di tutti i tempi.

«[…] Penso che quando fu terminato, tutti pensavamo che fosse la cosa migliore che avessimo mai fatto fino ad allora, e tutti erano molto soddisfatti, ma non è che qualcuno lo considerasse cinque volte migliore di Meddle, o otto volte migliore di Atom Heart Mother, oppure lo valutasse per il numero di copie che esso ha di fatto venduto. È stato [..] non solo un buon album, ma anche [realizzato] nel posto giusto al momento giusto»

(Nick Mason)

Tracklist nell’Edizione Originale:

Lato A
1. Speak to Me
2. Breathe
3. On the Run
4. Time + Breathe (Reprise)
5. The Great Gig in the Sky
Lato B
6. Money
7. Us and Them
8. Any Colour You Like
9. Brain Damage
10. Eclipse

Formazione:

David Gilmour – voce, cori, chitarra, lap steel guitar, pedal steel guitar, sintetizzatore
Roger Waters – basso, sintetizzatore, voce principale (tracce 8 e 9), effetti su nastro
Richard Wright – organo Hammond, pianoforte, pianoforte elettrico, cori e armonie vocali, voce principale (traccia 4), sintetizzatori Minimoog,
Nick Mason – batteria, percussioni, rototoms (traccia 4), effetti sonori e su nastro

“Metainferno, Piano -9”, a Roma arriva l’Inferno di Dante in realtà aumentata

Metainferno piano 0

Ha suscitato numerose reazioni l’esposizione curata da Claudio Guerrieri e prodotta da Piano Zer0 che per l’occasione si è trasformata in Piano -9, per un riferimento ai 9 cerchi dell’Inferno dantesco. “Metainferno, Piano -9” è un’esplorazione dell’inferno digitale ma al contempo reale.

La collaborazione degli artisti B-Visionary, Gugghyart e Warrior 0 trasporta il pubblico negli inferi, nel lago di ghiaccio descritto dal sommo poeta fiorentino, dove i dannati sono i traditori. Un viaggio attraverso 5 installazioni in cui realtà aumentata e intelligenza artificiale sono i protagonisti.

La scelta della data non è stata casuale. Sabato ricorreva infatti la ricorrenza dello scoppio ufficiale della guerra in Ucraina. E proprio Putin, Zelensky e Biden sono tra i co-protagonisti di una delle installazioni della mostra in quanto rappresentanti dell’inferno odierno. Alcuni loro filmati sono stati lavorati attraverso l’intelligenza artificiale che gli ha dato un aspetto infernale. La stessa installazione ha visto la stanza e il modello dello spazio di Spazio Zer0 ricostruito da Ohii Katya, i cui rami, sterpi, alberi sono stati trasformati basandosi sulle illustrazioni di Gustav Doré e sull’Inferno di Dante. La stessa natura man mano assume sembianze demoniache accompagnata da suoni binaurali (rumori bianchi, frequenze basse sotto i 1000 hertz che vengono interpretate dal cervello).

“Tutta l’estetica scenografica- sottolinea l’artista Gugghyart– è un chiaro omaggio a Nicolas Winding Refn, regista di Pusher, Copenaghen Cowboy e Drive. L’illuminazione scenografica dell’ambiente è studiata attraverso l’utilizzo di neon, luci blu e rosse, ponendo sullo sfondo l’idea del crimine”.

La prima installazione sono le immagini delle 24 terzine del primo canto dell’opera dantesca trasposta in realtà aumentata tramite un’app di B-Visionary. Qui le illustrazioni si animano e vengono descritte da una voce che decanta i versi della Divina Commedia.

Il percorso artistico continua con la seconda installazione in cui una lapide, con la data d’inizio della guerra russo-ucraina, è stata posta accanto ad un pozzo creato con video mapping rappresentante l’ingresso dell’inferno. Da qui, dal Piano 0, si accede al viaggio che conduce al Piano -9.

Nella terza postazione, oltre ai 3 Presidenti, Gugghyart ha ricreato il Teatro di Mariupol basandosi sui filmati della BCN fatti con il drone dopo il bombardamento dello stesso. Il modello presentato è tridimensionale e parte da una serie di frame grossolani del network britannico. Inoltre è stato proiettato con un’animazione anaglifica, cioè un’illusione ottica data attraverso due filtri colorati sugli occhi.

La quarta installazione prevedeva la proiezione di un film muto del 1911. Il primo film sull’Inferno di Dante, girato a Velletri e realizzato con una cinepresa regalata dai fratelli Lumiere. Il cortometraggio, tra l’altro, era perso fino al 2004, quando fu ritrovato nella filmoteca Vaticana e restaurato dalla casa farmaceutica tedesca Bayer.

Il viaggio tra le opere si conclude dentro un freezer. Il loft adibito a mostra, infatti, in passato era stato una macelleria e in seguito una falegnameria. Qui è stato installato un vero e proprio video mapping su una maschera demoniaca accompagnato dalla colonna sonora di Carmelo Bene che recita “All’amato me stesso” di Majakowskij.

Barni (CulTurMedia): “Serve uno Statuto per tutto il lavoro culturale”

Fonte: www.dire.it

 Incentivare il rapporto tra pubblico e privato, portare a termine il percorso della Legge delega sullo Spettacolo, ma soprattutto procedere alla stesura di uno Statuto del lavoro culturale nel suo complesso. Le cooperative del settore cultura, turismo e comunicazione delineano le loro istanze al II Congresso nazionale CulTurMedia, in programma nel weekend a Roma, negli spazi dell’edificio Marco Polo della Sapienza. Costituita nel 2017 in seno a Legacoop, CulTurMedia rappresenta oltre mille cooperative in tutta Italia. L’agenzia Dire ha intervistato la presidente nazionale, Giovanna Barni.

Presidente Barni, il Congresso Nazionale CulTurMedia è anche un momento di riflessione dopo anni durissimi che hanno visto il mondo della cultura essere uno dei settori più colpiti. A oggi possiamo dire di essere usciti da quella crisi senza precedenti? Qual è lo stato di salute delle cooperative che operano intorno al mondo della cultura e del turismo?

“Sono molte le cooperative che svolgono attività in questo settore molto articolato e complesso, che va dalle attività culturali, come la gestione e i servizi per il patrimonio, ma anche lo spettacolo dal vivo, la musica e l’audiovisivo, l’editoria, i giornali cooperativi, le cooperative di comunicazione. Sono tantissime professioni e attività diverse diffuse in tutto il Paese. La cooperazione è stata colpita in modo molto duro durante la pandemia, siamo arrivati anche a perdite di oltre il 40%. Però è anche vero che le cooperative, proprio grazie al loro radicamento nei territori e grazie al fatto di essere realtà ibride, non dedicate a un’unica attività, sono riuscite comunque a essere flessibili e a trovare il modo di soddisfare i nuovi bisogni emersi durante la pandemia. Questo significa cultura di prossimità, dunque meno dipendente dai grandi flussi turistici e alternativa alle grandi mete dove si concentrano i visitatori del patrimonio culturale. Con queste modalità le cooperative probabilmente hanno saputo reagire meglio alla crisi e soprattutto hanno saputo anche garantire meglio la tutela del lavoro durante la crisi”.

Questi nuovi modelli continuano a funzionare anche con il ritorno alla normalità?

“Si tratta di forme di economia di rete e di economia collaborativa anche tra pubblico e privato. Nel nostro Paese il 60% del patrimonio culturale è sottoutilizzato e sono moltissime le cooperative che abbiamo aiutato per rinnovare il modello di rapporto fra pubblico e privato, diventando non più soltanto fornitori di servizi, ma provando a progettare e gestire la riutilizzazione e la valorizzazione di questo patrimonio culturale altrimenti appunto sottoutilizzato. È un modello che va bene per i musei, per i monumenti, per i siti archeologici, per i borghi. Tanto che anche alcune misure del Pnrr per la prima volta non guardano più soltanto ai grandi attrattori ma, per esempio, alla valorizzazione del patrimonio minore, dei borghi e ai progetti di rivitalizzazione dell’area del cratere. Mettere insieme tante tipologie di attività diverse e anche tanti soggetti diversi fa sì che un territorio possa essere valorizzato attraverso una filiera integrata. E così c’è spazio per lo sviluppo di modelli evoluti di cooperazione territoriale”.

fonte: Agenzia Dire

L’arte di Mark Kostabi, esposizione e concerto evento a Pescara

Mark Kostabi

Figure senza volto, cromatismi opulenti e mai banali, uno stile personalissimo eppure ricco di citazioni: sotto il titolo “Loves” 80 opere di Mark Kostabi saranno esposte, a partire da oggi, nel Museo delle Genti d’Abruzzo a Pescara. Nel 1988 l’artista ha fondato il Kostabi World, studio-galleria in cui lavora con i suoi assistenti in una produzione che guarda le diverse forme dell’arte: è musicista e compositore, dipinge e realizza oggetti cult.

Le opere esposte a Pescara provengono dalla sua collezione personale e da collezionisti privati, Coprono un periodo dal 1979 al 2023. “La mostra – scrive il curatore Mariano Cipollini – vuole indagare e mettere in luce i vari universi paralleli che l’artista costruisce nei suoi lavori. L’opera di Mark Kostabi si inserisce in seno a una società globalizzata, in cui l’omologazione è alla base del sistema sociale che sancisce di fatto l’azzeramento delle identità personali a tutto vantaggio di vite duplicate e appagate dalle sirene dell’avere. Nella struttura geo-politica, intesa come sistematica rappresentazione di una società in cui i confini della dignità comportamentale sono immersi in un’ampia zona grigia, inserisce le sue figure senza volto, osservatori anonimi che s’interrogano, si muovono e interagiscono fra paesaggi iconici storicizzati, con chiari riferimenti ai segni degli artisti del passato. Muti commentatori che mettono in dubbio le sicurezze del consorzio occidentale. Sia si parli di arte sia di sistemi sociali ad essa più o meno correlati”.

Nel corso del vernissage all’auditorium Petruzzi del Museo, Mark Kostabi ha eseguito alcune sue composizioni al pianoforte, accompagnato alle percussioni dall’amico Tony Esposito. A seguire guiderà il pubblico lungo il percorso espositivo. “Kostabi è uno degli artisti più influenti della nostra epoca: il suo è uno sguardo originale sul mondo, che si traduce in una produzione che richiama la struttura della bottega d’arte del Novecento – sottolinea la direttrice della Fondazione Genti d’Abruzzo, Letizia Lizza – Quella di Kostabi è una relazione biunivoca con l’esterno, con cui interagisce criticamente, dando forma a opere che nel corso del tempo hanno mantenuto il pregio di una ideale unicità”. La Fondazione ha realizzato per l’occasione un catalogo che sarà presentato dall’artista nel corso delle giornate della mostra, aperta fino all’1 maggio, dal martedì al venerdì con orario 9-13, sabato e domenica dalle 16 alle 20. Il coordinamento generale è di Antonella Giancaterino, l’organizzazione della mostra e dell’evento di Alessandra Moscianese. 

   

Teatro Sistina: torna “Rugantino” con Serena Autieri e Michele La Ginestra

Rivive a Roma una pagina indimenticabile della lunga storia del Teatro Sistina: dopo il successo della scorsa Stagione, dal prossimo giovedì 2 e fino al 26 marzo, sarà di nuovo in scena, con la supervisione di Massimo Romeo Piparo, la maschera amara e dissacrante di “Rugantino” dei mitici Garinei & Giovannini.

Lo spettacolo, che fonde mirabilmente tradizione e modernità, viene presentato nella sua versione storica originale, con la regia di Pietro Garinei, le musiche del maestro Armando Trovajoli, le preziose scene e i bellissimi costumi originali firmati da Giulio Coltellacci: un imperdibile ritorno alle radici e un’occasione per riscoprire un classico del teatro musicale italiano.

Sul palco, la splendida Serena Autieri, ancora una volta straordinaria interprete dell’intrigante personaggio di Rosetta, donna bella altera e irraggiungibile, che fa battere il cuore di Rugantino, un ruolo in cui l’attrice napoletana dà prova di grande maturità artistica. Al suo fianco, Michele La Ginestra, che torna a vestire i panni del celebre personaggio indossati, dopo 21 anni, nella scorsa stagione. Nel ruolo di Eusebia e Mastro Titta, Edy Angelillo e Massimo Wertmuller.

Ancora una volta, dunque, il palcoscenico si trasformerà nella Roma papalina ottocentesca grazie a una storia commovente, ironica e nostalgica, in cui brillano personaggi scritti magistralmente, che emozionano e fanno ancora riflettere. E, seguendo le vicende di Rugantino, chiacchierone e sbruffone dall’animo nobile e dalla impareggiabile verve, fino al triste ma edificante epilogo, il pubblico tornerà a cantare successi famosi in tutto il mondo e che non subiscono lo scorrere del tempo, da “Roma nun fa la stupida stasera” a “Ciummachella” a “Tirollallero”.

LA TRAMA. Roma, 1830, sotto il papato di Pio VIII: Rugantino, giovane popolano un po’ spaccone e nullafacente, vive di espedienti aiutato da Eusebia, che lui spaccia per sua sorella. I due riescono a ottenere vitto e alloggio prima di un anziano prelato che quando muore non lascia loro nulla, poi dal boia dello Stato Pontificio Mastro Titta, che si innamora di Eusebia e ne è presto ricambiato. Rugantino invece brucia di passione per la bella Rosetta, moglie del violento e gelosissimo Gnecco Er Matriciano, e scommette che riuscirà a sedurla prima della Sera dei Lanternoni. Dopo varie peripezie e stratagemmi, Rugantino seduce la ragazza ma imprevedibilmente se ne innamora: per questo in un primo momento non fa parola con gli amici della sua impresa, poi però cede alla vanagloria ferendo i sentimenti di Rosetta. Quando Gnecco viene ucciso da un criminale, Rugantino si fa trovare accanto al cadavere e si autoaccusa dell’omicidio, affermando di aver compiuto il fatto per amore di Rosetta. Il protagonista, imprigionato e condannato a morte, sarà giustiziato da Mastro Titta: forte dell’amore di Rosetta, Rugantino dimostrerà affrontando la morte di essere un vero uomo.

“RUGANTINO”
Commedia Musicale di Garinei e Giovannini
scritta con Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa

Collaborazione artistica di Gigi Magni
Scene e Costumi originali di Giulio Coltellacci
Musiche di Armando Trovajoli
Versione storica originale
Regia di Pietro Garinei
Supervisione di Massimo Romeo Piparo

con
Serena Autieri, Rosetta
Michele La Ginestra, Rugantino
Edy Angelillo, Eusebia

e con
Massimo Wertmuller, Mastro Titta
Giulio Farnese, nel ruolo di Don Niccolò
Marco Rea, Gnecco
Alessandro Lanzillotti, Bojetto
Matteo Montalto, Serenante/Calascione
Marco Valerio Montesano, Scariotto
Tonino Tosto, Cardinal Severini
Roberto Attias, Cav. Thorwaldsen
Brunella Platania, Donna Marta
Gerry Gherardi, Don Fulgenzio Burinello
Monica Guazzini, La Gattara
Gloria Rossi, Donna Letizia

Ensemble

Sebastiano Lo Casto
Valentina Bagnetti
Rocco Greco
Nicolò Castagna
Raffaele Cava
Alessandro Lo Piccolo, Gendarme
Francesco Miniaci, Gendarme
Luca Paradiso
Rossella Lubrino
Fabrizia Scaccia
Rossana Vassallo
Martina Bassarello
Ilaria Ferrari
Giovanni Papagni
Fatima Rosati
Denis Scoppetta

“Laggiù qualcuno mi ama”: nelle sale il viaggio personale di Mario Martone nel cinema di Massimo Troisi

“Laggiù qualcuno mi ama” è il titolo del docu-film di Mario Martone dedicato a Massimo Troisi e nelle sale cinematografiche italiane da oggi 23 febbraio. Presentato alla 73esima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, il film intende raccontare la genialità e il mito di Troisi attraverso testimonianze di colleghi e amici e contenuti inediti, per rendergli omaggio nell’anno in cui avrebbe compiuto 70 anni. 

Montando le scene dei suoi film Martone vuole mettere in luce Troisi come grande regista del nostro cinema prima ancora che come grande attore comico, e per farlo delinea la sua parabola artistica dagli inizi alla fine, inquadrandolo nella temperie degli anni in cui si è formato e nella città comune ai due registi, Napoli.

Leggi anche: Carlo Buccirosso tra comicità e giallo con “L’erba del vicino è sempre più verde!”

Col montaggio dei film si intersecano alcune conversazioni, non con persone che frequentavano Troisi, ma con artisti che lo hanno amato e ne sono stati influenzati, come Francesco Piccolo, Paolo Sorrentino, Ficarra e Picone,  critici che lo hanno studiato, come Goffredo Fofi e la rivista Sentieri selvaggi, e due tra gli artefici della sua opera postuma, Il postino, Michael Radford e Roberto Perpignani. Fa eccezione Anna Pavignano che con Troisi scriveva i suoi film e che Martone vuole incontrare per indagare i processi creativi da cui  essi scaturivano, e che collabora al film mettendo a disposizione dei preziosi materiali inediti.

Ricostruendo la parabola artistica ed esistenziale di uno dei personaggi più amati dal pubblico italiano, Martone esalta la grandezza di Troisi come regista ancor prima che attore.

Lo fa attraverso la riproposizione di alcuni estratti dei film di Troisi che vengono contestualizzati nel più ampio quadro dell’Italia di quegli anni, illuminando chi guarda su quale fosse la lente adottata da Troisi per osservarla e raccontarla. Martone e Troisi, che provengono dallo stesso movimentato contesto culturale napoletano, erano uniti da un filo invisibile, quello dell’uscita dalla rappresentazione stereotipata di una città e di un popolo intero, Napoli e i napoletani.

In “Laggiù qualcuno mi ama” lo conosciamo meglio come uomo, oltre alla sua malattia, le sue paure e le sue ambizioni, il suo desiderio politico e la sua sensibilità unica. Martone riesce a raggiungere questo grado di intimità grazie anche alle rivelazioni di chi con Troisi ha collaborato, come Michael Radford e Roberto Perpignani, regista e montatore de Il Postino, ma soprattutto di Anna Pavignano.

Pavignano, che è stata compagna nella vita e co-sceneggiatrice di tutti i film del Troisi regista (ad eccezione di Non ci resta che Piangere), mette a disposizione di Laggiù qualcuno mi ama materiale inedito, tra taccuini e foglietti pieni di idee e riflessioni, e una cassetta sulla quale è registrata un’improvvisata seduta psicanalitica a Troisi, realizzata proprio da Pavignano e un’amica comune dalla quale emerge un Troisi intimo e riflessivo, sempre divertente e malinconico nello stesso momento.

Leggi anche: Non ci resta che piangere: quando Benigni e Troisi si persero nel Medioevo

Nuovo album degli Stones, storico punto di incontro con i Beatles

Rolling Stones
Foto Jim Pietryga - https://www.iorr.org/tour15/, CC BY-SA 3.0,

Due miti della storia del rock starebbero per unire le forze, mettendo da parte decenni di rivalità: i Rolling Stones starebbero lavorando assieme a Paul McCartney e Ringo Starr, i due Beatles sopravvissuti, in vista di un nuovo album. Lo ha appreso Variety che cita “molteplici fonti”.

Secondo il giornale di spettacolo, l’ottantenne Sir Paul avrebbe registrato parti di chitarra basso per un progetto della band di Sir Mick Jagger coordinato da Andrew Watt, premio Grammy 2021 per producer dell’anno che di recente ha lavorato con star come Elton John e Dua Lipa. Anche l’82enne Ringo sarebbe a bordo, anche se non è chiaro in quale tipo di collaborazione. Le registrazioni sarebbero avvenute a Los Angeles nelle ultime settimane.

“C’è nuova musica in arrivo”, aveva annunciato per Capodanno su Instagram il chitarrista degli Stones Keith Richards. L’album sarebbe il primo di musica originale degli Stones da A Bigger Bang del 2005, ma non è che le ‘pietre rotolanti’ siano rimaste da allora con le mani in mano. Jagger da anni sta accumulando canzoni per un nuovo disco e nel 2021 ha detto che “ci sono molti brani” pronti per qualcosa di nuovo, in cui potrebbero entrare brani registrati anche da Charlie Watts, il batterista del gruppo, prima di morire nell’agosto 2021. Nel 2016 i Rolling Stones hanno fatto uscire Blue and Lonesome, una compilation di cover blues con due canzoni di Eric Clapton.

L’intervista: Matteo Servilio racconta la nascita della biblioteca a Bugnara (Aq)

Matteo Servilio bugnara

I piccoli centri, soprattutto delle aree interne, sono spesso i main characters dei discorsi politici, sociali ed economici del Paese. La dispersione giovanile che vola verso le grandi capitali europee o semplicemente verso città dal futuro più agevole, ha reso i borghi d’Italia quasi evanescenti, sorretti da una labile speranza nel turismo culturale. Bugnara, in provincia dell’Aquila, non ha voluto arrendersi alla decadenza e, oltre a varie giovani associazioni, ha dato i natali al Centro Studi e Ricerche “Nino Ruscitti”. L’organizzazione che ha soffiato la sua prima candelina lo scorso dicembre, porta il nome dell’Avvocato Nino Ruscitti prematuramente scomparso nel 2020; un professionista nel suo campo come nella vita e dalla spiccata cultura.

L’impegno profuso nel lavoro di ricerca ha permesso l’Istituzione di una biblioteca comunale, per ora con sede presso la Piazza del SS. Rosario a Bugnara. La biblioteca nasce non solo per conservare volumi di estremo valore di proprietà dello stimato Avvocato Ruscitti ma anche per ospitare libri donati da studiosi e professionisti del territorio.

Il focus dell’Associazione si prefigge due obiettivi: in primo luogo coinvolgere giovani, studenti, scuole e studiosi del territorio per portare avanti ricerche e progetti culturali; in secondo luogo dialogare con le Istituzioni e le Università per creare nuovi spazi di incontro e crescita.

A sostegno di quanto affermato vi è il ventaglio di incontri letterari avvenuti in occasione della rassegna estiva “libri sotto le stelle” che, oltre a promettere una seconda edizione, sta dando il via ad una versione primaverile.

Abbiamo incontrato il presidente del Centro Studi Matteo Servilio.

Ciao Matteo, come nasce l’idea di istituire una biblioteca?

L’iniziativa di istituire un Centro Studi e una biblioteca a Bugnara nasce a seguito della scomparsa di Nino, avvenuta nel febbraio 2020. L’idea, arrivata direttamente dalla famiglia Ruscitti, era quella di condividere e mettere a disposizione della comunità parte del suo patrimonio librario. Al momento la struttura è quasi completamente allestita. È stato realizzato, grazie all’aiuto dei ragazzi del Servizio Civile di Bugnara, un primo inventario e una prima ubicazione dei volumi secondo macro categorie. A seguito di questa prima operazione abbiamo riscontrato la presenza di oltre 1500 volumi derivanti soprattutto da diverse importanti donazioni.

Quale sarà il prossimo passo?

Per poter disporre pienamente del patrimonio e consentire un accesso regolare alla consultazione e soprattutto al prestito, il patrimonio richiede un processo di catalogazione che segua gli standard e che ci consenta di rendere facilmente accessibile l’intero catalogo. Proprio per questo motivo stiamo lavorando, soprattutto attraverso la progettazione, per raccogliere le risorse necessarie alla catalogazione.

Perché una biblioteca in un paese come Bugnara è importante?

Intorno a questa proposta, di per sé già rivoluzionaria per un piccolo paese dell’entroterra abruzzese, abbiamo cercato di strutturare una serie di iniziative indirizzate alla promozione culturale. L’idea è stata da sempre quella di superare la vecchia metafora della biblioteca come deposito di libri che di fatto accompagna il senso comune. Un luogo quindi solitario, silenzioso, e polveroso. Le biblioteche di fatto, in tante realtà, e persino in aree marginali come le nostre, svolgono funzioni che vanno al di là della consultazione o del prestito di libri. Organizzano tra le altre cose attività per i bambini, mostre, concerti, dibattiti e presentazioni di saggi e di romanzi, possono svolgere attività dedicate alle persone anziane, fungere da centro informazioni, garantire momenti di formazione o anche semplicemente di condivisione.

Anche le vostre attività seguono questa mission?

Esattamente, da qui è nata ad esempio l’idea di una rassegna estiva dedicata al libro e alla lettura, o l’idea di dedicare una parte della nostra attività al tema delle aree interne. L’ultima di queste attività è stata il convegno-dibattito sul tema di spopolamento e la contestuale proposta di istituire un osservatorio dedicato alla questione centrale delle aree interne.

Iniziative, dunque, pensate anche per coinvolgere la comunità stessa…

Sì, L’obiettivo è infatti non solo quello di creare nuove forme di turismo, più riflessive, orientate alla partecipazione e alla relazione con la comunità, ma soprattutto quello di garantire un servizio che sia funzionale alle necessità di chi rimane nei paesi durante tutto l’anno.

Con Senhit dentro la magia di San Marino

Conto alla rovescia per la serata finale di “Una Voce per San Marino” il festival che sabato 25 febbraio sceglierà l’artista che rappresenterà il Titano all’Eurovision Song Constest 2023, nato su iniziativa della Segreteria di Stato per il Turismo, Poste, Cooperazione ed Expo della Repubblica di San Marino in collaborazione con Media Evolution Srl e San Marino Rtv, Radiotelevisione della Repubblica di San Marino.  

La serata si terrà al Teatro Nuovo di Dogana di San Marino, in diretta su San Marino Rtv a partire dalle 21 (e visibile sul digitale terrestre al canale 831, su Tivùsat al canale 93, su Sky al canale 520, e in streaming sul sito della Tv). 

Dopo aver rappresentato la Repubblica di San Marino per due volte all’Eurovision Song Contest, Senhit è stata confermata per il secondo anno come presentatrice della serata finale. La serata si terrà al Teatro Nuovo di Dogana di San Marino, in diretta su San Marino RTV a partire dalle 21 (e visibile sul digitale terrestre al canale 831, su Tivùsat al canale 93, su Sky al canale 520, e in streaming sul sito della TV). 

Leggi anche: Senhit si racconta: la mia musica è un’inno alla libertà

La cantante e performer sarà affiancata sul palco dall’amico e collega con cui condivide un background cosmopolita Jonathan Kashanian. Insieme presenteranno i 22 artisti che si sfideranno. Continuano intanto le esibizioni della Freaky Queen nei più importanti festival dedicati al mondo dell’Eurovision Song Contest. Il prossimo appuntamento è il 10 marzo al Melodifestival di Stoccolma. 

È in radio e in digitale “Try to love you” il nuovo singolo di Senhit, una ballata in inglese, raffinata e dal sound internazionale. Il brano è accompagnato da un video, online su Youtube, con la regia e la direzione creativa di Laccio e Shake. Il video è stato presentato in anteprima con un billboard nell’iconica Times Square di New York.

Il brano è prodotto da Thomas Stengaard, che già ha collaborato con Senhit per “Adrenalina” (singolo arrivato in finale all’Eurovision Song Contest 2021 per San Marino e che ha superato 18 milioni di ascolti su Spotify) e che ha lavorato con molte star eurovisive e artisti come Alvaro Soler.

Dopo il successo del singolo “Follow Me” con il rapper canadese Tory Lanez, la Freaky Queen è tornata con un singolo che sta già ricevendo moltissimi apprezzamenti dai fan di tutto il mondo. 

Senhit è stata chiamata a presentare il 16 giugno il Gran Galà del Festival internazionale di Cori Lgbtq+ Various Voices (www.various-voices.it) che si terrà a Bologna dal 14 al 18 giugno 2023 con il Patrocinio della Regione Emilia Romagna. Per la prima volta in assoluto dalla prima edizione del 1985, il Festival approderà infatti in Italia. Ad oggi sono previsti in arrivo più di 3500 coristi per 108 cori provenienti da 20 nazioni diverse tra cui tutta Europa e Stati Uniti. Oltre a presentare la serata, Senhit sta preparando una performance a sorpresa e si esibirà anche durante la Cerimonia di chiusura del 17 giugno.

Artista poliedrica, cantante, attrice e performer, nata a Bologna ma cittadina del mondo, Senhit (pseudonimo di Senhit Zadik Zadik )vanta performance in tutto il mondo e collaborazioni con artisti del calibro di Benny Benassi, Flo Rida, Steve Aoki e Tory Lanez. Con il brano “Adrenalina”, portato sul palco dell’Eurovision Song Contest 2021 insieme a Flo Rida e con la direzione artistica di Luca Tommassini, in rappresentanza di San Marino, Senhit ha conquistato la serata finale e un pubblico internazionale.

Grazie a questo singolo di successo e al Freaky Trip To Rotterdam, il progetto dedicato all’Eurovision che Senhit ha creato insieme a Luca Tommassini durante la pandemia per unire i fan di tutto il mondo (oltre 5 milioni di views su Youtube), è diventata una delle artiste più conosciute dal pubblico eurovisivo. Con il suo percorso artistico, Senhit ha sempre lanciato messaggi contro ogni forma di discriminazione, a favore della valorizzazione dell’identità, grazie a una musica che non ha confini e che trasmette vibrazioni positive per ballare e cantare tutti insieme.

Di Senhit – www.senhit.com, CC BY 4.0,

Senhit la partecipazione dello scorso anno a Una voce per San Marino ha permesso ad Achille Lauro di rientrare nella finestra dell’Eurovision, questo ha giocoforza acceso più riflettori su questa kermesse

Questo è vero ma il festival a San Marino non è solo un porto franco per i reduci dall’altro festival, è una manifestazione che riunisce tanti artisti locali, ma anche musicisti da tutta la Penisola, anche dall’estero. Immaginavo potesse vincere lui. Ho sperato potesse partecipare una donna, c’erano tantissimi emergenti validi. Mi è piaciuto molto il duo arrivato secondi, Burak Yeter e Alessandro, li sentivo molto Eurovision. Questa comunque sarà un’edizione importante.

Che cosa le ha lasciato l’esperienza all’Eurovision nel 2021?

È stata un’esperienza molto intensa, per me è stata anche una grande soddisfazione riuscire a portare San Marino in finale, cosa non semplice, Lauro non ci è riuscito lo scorso anno. All’Eurovision si respira un mondo internazionale, ma allo stesso tempo su quel palco ho maturato anche la voglia di recuperare le mie origini italiane. Sono contenta di fare ancora parte di quella kermesse.

Che idea si è fatta di Sanremo 2023?

Molto funzionale a livello televisivo, un po’ meno dal punto di vista musicale: le canzoni le ho percepite più deboli.

Parlando della sua musica, dal 29 dicembre alla fine dell’anno, un billboard nell’iconica Times Square di New York ha celebrato l’uscita del nuovo singolo “Try to Love You”

Vado spesso a New York e anche quest’anno mi trovavo lì a Capodanno, quando il mio team mi ha chiamata e mi ha detto di guardare bene i cartelloni di Times Square. Non potevo crederci, è stato un regalo bellissimo vedere proiettato davanti al naso di migliaia di persone da tutto il mondo quel video per il quale abbiamo lavorato duramente e con tanto entusiasmo. Quest’anno abbiamo viaggiato tantissimo e suonato in varie parti del mondo, la mia musica è stata ascoltata in ogni Stato, mi auguro che questo billboard a Times Square sia di buon auspicio anche per il 2023.

Foto: di Senhit – www.senhit.com, CC BY 4.0

La fabbrica di cioccolato e acqua: il caso Dahl

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Fa discutere nel Regno Unito come negli Usa, la polemica innescata dalle “correzioni” ispirate al politicamente corretto ai libri di Roald Dahl: scrittore britannico di origini norvegesi reso celebre – al di là delle non poche controversie suscitate a posteriori attorno alla sua persona – dalla pubblicazione di titoli per l’infanzia di enorme successo planetario. Polemica che contrappone anche nomi celebri della letteratura anglosassone contemporanea, dopo la decisione annunciata nei giorni scorsi nel Regno Unito dall’editore Puffin, branca del colosso Penguin, e condivisa dai familiari: titolari dell’eredità legale dell’autore morto 74enne a Oxford nel 1990.

Tanti i dubbi sulla scelta dell’editore Puffin – e della Roald Dahl Story Company – di sostituire nei testi originali vocaboli quali “grasso”, “nano” o altre parole giudicate oggi “non inclusive” con termini più graditi al bon ton corrente. Ritoccando ad esempio da ‘ciccione’ a ‘enorme’ o da ‘piccoli uomini’ a ‘piccole persone’ alcuni personaggi del popolarissimo ‘La fabbrica di cioccolato’; o ancore da ‘femmina formidabile’ a ‘donna formidabile’ la Miss Trunchbull di ‘Matilde’, altro racconto del prolifico autore britannico che, fra i suoi lavori, fu pure il soggettista di ‘Gremlins’: film scritto in origine per Walt Disney, ma poi prodotto trionfalmente nel 1985 da Steven Spielberg.

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“Quando si ripubblicano libri scritti anni fa, non è insolito rivedere il linguaggio usato”, spiegano i responsabili della casa editrice e i rappresentanti degli eredi di Roald Dahl. “Il nostro principio guida è stato tuttavia quello di mantenere le trame, i personaggi, l’irriverenza e lo spirito tagliente del testo originale. Le modifiche sono state piccole e attentamente valutate”.

Ma la cosa non ha convinto scrittori come Salman Rushdie: in via di recupero – in America – dalle conseguenze dell’agguato di matrice islamico-radicale subito a New York l’anno scorso e costatogli un occhio nonché l’uso della mano sinistra. “Dahl non era un angelo, ma questa è un’assurda censura, Puffin Books e gli eredi di Dahl dovrebbero vergognarsene”, ha tuonato su Twitter l’autore di ‘Versetti Satanici’, simbolo nel mondo occidentale di libertà d’espressione minacciata.

Parole raccolte fra gli altri dall’umorista liberal inglese David Baddiel, che ha radici ebraiche e che in passato ha scritto pagine severe sull’antisemitismo e gli atteggiamenti snob manifestati in vita da Dahl; ma che ha a sua volta denunciato come fuori luogo l’idea di apportare episodiche correzioni post mortem di parole ritenute qua e là offensive verso certe sensibilità contemporanee. Non senza notare con sarcasmo come alcuni aggettivi delle versioni autentiche siano stati censurati e depurati, mentre altri no; e come se si pretendesse d’essere coerenti fino in fondo con un simile approccio “le pagine bianche” si moltiplicherebbero a dismisura nella storia letteraria.

L’analisi di Yasmina Pani che riportiamo qui sotto, entra nel dettaglio delle modifiche anche importanti ad alcune strutture, giochi di parole e frasi idiomatiche che caratterizzano la letteratura di Dahl.

Foto di Carl Van Vechten – licenza

James Senese torna in tour con il nuovo album

James Senese sax

Parte il 25 febbraio dal Parco della musica di Roma il tour teatrale di James Senese.

Il concerto in programma il 2 marzo presso la Sala Verdi del Conservatorio di Milano è stato spostato, per ragioni logistiche non imputabili all’artista e al Conservatorio, al 21 prossimo maggio. I biglietti acquistati rimarranno validi per la nuova data ma sarà possibile chiedere un rimborso entro il 28 febbraio.

Come tutti i suoi concerti, l’occasione per vedere all’opera uno degli artisti italiani più influenti è imperdibile. E questa volta maggiormente, dal momento che il 2023 è sia l’anno nel quale ricorrono i 40 anni dalla pubblicazione del suo primo album da solista “James Senese” (1983 – Polydor) che quello nel quale pubblicherà, la prossima primavera, il nuovo album di inediti. In questo tour il pubblico avrà la possibilità di ascoltare dal vivo in anteprima proprio i brani del prossimo lavoro.

In più di mezzo secolo di carriera Senese ha attraversato generi, epoche, mode, senza lasciarsi mai corrompere in nome del mercato. I suoi numi tutelari sono Miles Davis e John Coltrane. La sua granitica coerenza artistica e intellettuale sono famose come il suono del suo sax.

Passando per i seminali showmen con Mario Musella, Napoli Centrale, le collaborazioni con l’indimenticabile amico Pino Daniele ma anche il sodalizio artistico e fraterno che lo ha legato a Franco Del Prete, James Senese ha suonato e cantato i vinti, quelli che non hanno mai avuto voce.

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L’energia e la rabbia del suo sax, e della sua voce, contraddistinguono le sue performance live, fatte di coraggio e determinazione: quella di un “Nero a metà”.

La sua forza e coerenza artistica lo ha trasformato in un’icona, irrinunciabile punto di riferimento per le nuove generazioni musicali che vogliono urgenza espressiva e zero compromessi.

Nella società attuale è diventato molto difficile far prevalere il bene sul male e ancora più complesso è parlare alle persone per cercare di far capire loro quella che per me è la strada giusta, quella dei sentimenti – dichiara James Senese– Ogni persona ha un proprio Credo, non siamo tutti uguali e ognuno costruisce il proprio mondo in modo differente ma uno dei problemi principali è che vi sono persone che hanno velleità dominanti. Per realizzare James is Back ho guardato un pò dappertutto, per trovare una voce comune che potesse entrare nel cuore della gente. È un disco molto sofferto ma pieno d’amore. Ed è proprio l’Amore quello che io cerco in ogni momento della mia vita e della mia arte. Il lavoro che ho fatto è stato di cercare un unico suono: quello della verità, il mio essere nero e bianco… per potermi ritrovare, e rintracciare la mia identità. Le canzoni di questo album mi danno una carica emozionale notevole, per me rappresentano il presente ma anche il futuro. Sembrano canzoni ma vanno oltre; sono lo specchio della mia vita. In questi brani si sente il soffio del mio cuore”.

Fantasyland, le librerie Feltrinelli si trasformano in una terra immaginaria

Fantasyland feltrinelli

Dal 20 febbraio al 9 aprile le Librerie Feltrinelli si trasformano in Fantasyland: una terra immaginaria popolata di iniziative, proposte bibliografiche, promozioni ed esclusive, e scandita da un nutrito programma di eventi speciali realizzati in collaborazione con Lucca Comics & Games, il community event più significativo d’Europa.

Un palinsesto interamente volto a esplorare i mondi fantastici – alternativi, talvolta distopici, sicuramente straordinari – protagonisti delle opere fantasy, fantascientifiche e gotiche che sempre di più si affermano tra le letture preferite da giovanissimi e non solo.

Tra gli ospiti protagonisti del calendario di iniziative che animerà le librerie delle principali città italiane: l’illustratore fantasy Paolo Barbieri che ha creato per la Feltrinelli l’immagine guida di Fantasyland, il divulgatore fantascientifico Adrian Fartade che porterà in scena a Milano e Roma gli spettacoli “Gli alieni non sono buoni da mangiare (forse…)” e “Vivere nella galassia di Star Wars”, la scrittrice Licia Troisi, autrice delle serie fantasy ambientate nel Mondo Emerso, in uscita il 14 marzo con “Poe e la Cacciatrice di draghi” (Rizzoli), gli scrittori Jacopo Starace, Roberto Recchioni, Cecilia Randall, Moony Witcher e molti altri.

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Spazio anche ai progetti speciali, come la Blackwater Night in programma in contemporanea in diverse Librerie Feltrinelli d’Italia il 27 marzo, alla vigilia dell’uscita di Pioggia, l’ultimo libro della saga di McDowell pubblicata recentemente da Neri Pozza. Dalle ore 23.00 fino a mezzanotte, nelle Feltrinelli di Milano Buenos Aires, Roma Appia, Genova via Ceccardi, Bologna piazza Ravegnana, Firenze RED piazza della Repubblica e Bari via Melo si condividerà l’attesa con letture attoriali di brani tratti dalla saga, per culminare poi con la vendita in anteprima del libro che, per l’occasione, avrà un timbro speciale in ricordo della serata. E ancora, per gli appassionati dei giochi di ruolo, le speciali sessioni di gioco a tema Dungeons and Dragons, che si svolgeranno in diverse Librerie Feltrinelli d’Italia in occasione dell’uscita sul grande schermo del film «Dungeons and Dragons – L’onore dei ladri».

A inaugurare il programma di iniziative dedicate al fantastico, martedì 28 febbraio a partire dalle 19.00 l’appuntamento è alla Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano con “Welcome to Fantasyland”. Una serata speciale, condotta da Marta Perego, con la partecipazione esclusiva dell’illustratore fantasy Paolo Barbieri che firmerà le tavole di “Fantasyland” e la performance del più creativo dei divulgatori fantascientifici Adrian Fartade che proietterà i partecipanti in un’atmosfera siderale con “Gli alieni non sono buoni da mangiare (forse…)”, “E.T.”, “L’uomo che cadde sulla terra” di Walter Trevis, “Extraterreste” di Eugenio Finardi. L’uomo si è da sempre interrogato sulla natura e sull’aspetto degli alieni. Fartade accompagna il pubblico in un viaggio tra lune, pianeti e mondi lontani, a metà strada tra scienza e immaginazione.

Al termine dello spettacolo, l’esibizione live della violinista Eleonora Montagnana che ricreerà le atmosfere fantasy attraverso le colonne sonore di molti film e serie tv cult, da La Storia Infinita a Il Trono di Spade.

Creature magiche giapponesi sono le protagoniste di “It’s Manga Time!” un palinsesto di incontri che si svolgerà sabato 4 marzo nella nuova Manga Lounge della Feltrinelli di corso Buenos Aires a Milano. Disegnato dall’Accademia Europea del Manga, lo spazio riproduce ambientazioni tipicamente giapponesi ed ospiterà, in occasione del mese del fantastico, alle 11.30 la masterclass di Asuka Ozumi, docente per Feltrinelli Education del corso sulla progettazione di Manga che illustrerà il variegato mondo del fumetto giapponese: dallo spokon al gekiga, dall’horror ai drammi storici. Alle ore 15.30 Emanuela Pacotto e Renato Novara, doppiatori di One Piece, Pokémon e Dragonball, terranno un incontro sul mondo degli anime mentre alle 18.30 Bao Publishing e Gastronomia Yamamoto organizzano un laboratorio su curiosità e differenze culturali legati al mondo della cucina orientale.

Ad arricchire l’iniziativa dedicata al fantastico, inoltre, anche numerose promozioni e prodotti esclusivi realizzati appositamente dagli editori che hanno aderito e disponibili nella rete di Librerie Feltrinelli e online su lafeltrinelli.it e IBS.it. Dal 23 febbraio al 9 aprile, Gribaudo propone un inedito taccuino della collana fantasy in omaggio a chi acquista titoli fantasy, fantascienza e horror. Dal 23 febbraio al 12 marzo i lettori potranno ricevere uno speciale Reading Journal per recensire i libri del cuore in omaggio con l’acquisto di un titolo Fantasy HarperCollins fra cui i titoli della fortunatissima saga Blood and Ash di Jennifer L. Armentrout; Fazi Editore propone un planner con la grafica di «Raybearer» di Jordan Ifueko in omaggio con l’acquisto di un volume della collana Lainya e, ancora, il racconto inedito dell’autrice fantasy Kerri Maniscalco, La nascita del principe Oscuro, in omaggio a chi acquista un titolo a tema fantastico e fantasy del marchio Mondadori. Dal 13 marzo al 9 aprile, invece, Neri Pozza destina lo speciale cofanetto “Blackwater limited edition per laFeltrinelli” contenente sei spillette d’autore con le grafiche delle copertine della saga di McDowell, a chi acquista due titoli di Blackwater, mentre Fanucci dedica la promozione 1+1 su ogni titolo della collana Piccola Biblioteca del Fantastico e propone un inedito racconto dell’Antologia «The Espanse» di James Corey in omaggio a chi acquista un volume qualsiasi dell’editore.

E per invitare gli appassionati e i neofiti del genere all’approfondimento e alla scoperta, in tutte le Librerie Feltrinelli d’Italia e sui siti lafeltrinelli.it e IBS.it, tavoli e bibliografie tematiche con oltre 300 proposte di lettura dedicate.

Fantasyland è il primo dei quattro appuntamenti a cura di Librerie Feltrinelli che scandiscono l’anno e invitano a scoprire, indagare e approfondire le passioni che sempre di più interessano ed emozionano le comunità dei lettori. Un caleidoscopio di proposte, letture e iniziative che trasformano le librerie in portali di accesso alla scoperta di differenti generi letterari. Il lettore viene condotto per mano sulle strade di quattro mondi, attraverso tante storie quante ne può contenere una libreria.

Dopo la prima tappa che conduce sulle strade del fantastico, si prosegue tra gli scenari misteriosi e noir propri del “giallo”, che continua a rappresentare uno dei generi più amati soprattutto nel periodo che anticipa l’estate. La terza direttrice, che più di tutte rappresenta una bussola di orientamento per comprendere e interpretare il presente, è quella tracciata da titoli e voci della saggistica divulgativa. Infine, l’ultimo sentiero ha origine da una domanda: quali saranno i classici del futuro? A provare a rispondere sono proprio i librai Feltrinelli che scommettono sui titoli che più li hanno emozionati suggerendoli ai lettori di oggi come letture imprescindibili del nostro domani.

Roma a Teatro: gli spettacoli dal 21 al 26 febbraio

Ancora una settimana ricchissima di appuntamenti per gli appassionati della ribalta romani, che, tra maestri del mestiere, debutti assoluti e una messe di proposte che spazieranno in lungo e in largo attraverso vari generi, avranno la possibilità di scegliere all’interno di una proposta complessiva piena di qualità e di quantità.

I nostri soliti consigli per evitare di perdersi.

Due vecchi amici tornano ad incontrarsi dopo una lunga separazione dovuta ad una serie di incomprensioni. La scoperta della natura di queste ultime e dell’irriducibile capacità delle parole di essere fraintese (anche solo a livello di semplici “intonazioni”) mettono in moto un confronto-scontro da loro giocato sul filo della provocazione che li condurrà a nuovi livelli di reciproca consapevolezza. Da domani al 5 marzo, all’Argentina, non perdete “Pour un oui ou pour un non (Per un sì o per un no)” di Nathalie Sarraute, con la regia di Pier Luigi Pizzi. In scena, due autentici “mostri” del nostro teatro: Umberto Orsini e Franco Branciaroli.

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Stesse date al Quirino per un classico di Edoardo, “Uomo e galantuomo”, interpretato da un altro grande della recitazione, Geppy Gleijeses, in compagnia, tra gli altri, di suo figlio Lorenzo e con la partecipazione straordinaria del David di Donatello Ernesto Mahieux. Sarà compito loro mettere in moto lo straordinario meccanismo comico dell’opera, tutto giocato sui fraintendimenti e sulla capacità di bluffare dei vari personaggi.

Sempre da domani e fino al 26 febbraio, al Vittoria è in cartellone “Pane o libertà”, il nuovo spettacolo di Paolo Rossi, che mescola la dirompenza della stand up comedy con la commedia dell’arte, passando per la comicità greca e mettendo in piedi un gioco di palco in cui l’attore e autore di Monfalcone, con la sua consueta causticità e la sua vena stralunata, si interroga sul proprio mestiere, sui propri sogni e sulla necessità-possibilità di scegliere tra, appunto, il pane e la libertà.

Dal 22 febbraio fino al 5 marzo, Fabio Condemi porta all’India (debutto nazionale) “Nottuari”, ispirato alle opere di Thomas Ligotti, maestro contemporaneo della narrativa del mistero e dell’horror, qui traslato in un’affascinante trasposizione spettacolare in grado di esaltare i suoi continui slittamenti tra realtà e dimensione onirica attraverso un grande rigore scenico e un impianto scenografico di forte impatto visivo ed emotivo.

Autentico gioiello da vedere, al Tor Bella Monaca dal 21 al 25 febbraio c’è “Io per te come un paracarro”, scritto, diretto e interpretato da Daniele Parisi, il commovente, polifonico (nonostante in scena ci sia solo lui) ritratto di una famiglia in fuga e alla ricerca di una propria dimensione e identità. Si ride e si piange dall’inizio alla fine, in una catarsi costante! Non perdetelo.

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Ancora da domani al 26, al Vascello, “Tavola tavola, chiodo chiodo” di Lino Musella e Tommaso De Filippo, un affascinante viaggio nel mondo dell’inarrivabile (e già citato) Eduardo, tratto da appunti, corrispondenze, articoli e carteggi del genio napoletano. Musella, premio Ubu come migliore attore nel 2019 e premio Le Maschere del Teatro Italiano sempre come miglior attore, andrà ad indagare (dandogli voce sul palco) gli aspetti meno conosciuti della sua attività, soprattutto quelli legati alle donchisciottesche battaglie condotte contro le istituzioni e alla sua inestimabile eredità di capocomico e uomo di teatro.

Debutta il 23 febbraio e replicherà fino al 12 marzo al Manzoni La Venexiana”, diretto e adattato da Cinzia Berni, con Patrizia Pellegrino e Jane Alexander impegnate nei ruoli delle due donne che si contendono i favori amorosi del doppiogiochista Iulo (interpretato da Stefano Flamia).

Dal 21 al 26 febbraio all’OFF/OFF tocca a “Non esistono piccole donne” da Johannes Bückler , con Camilla Filippi, una Spoon River tutta al femminile, in cui si raccontano storie di donne che in qualche modo hanno segnato il loro tempo.

Dal 22 febbraio al 5 marzo, al Golden si alza il sipario per “Ormonella” di e con Paola Tiziana Cruciani, in cui una sessantenne prova a rimettersi in gioco sentimentalmente e non solo dopo essere stata iscritta dal figlio su un sito di incontri on line.

Dal 23 al 26 febbraio, al Belli, Anna Guado è impegnata in “La banalità del male” di Hannah Arendt, filosofa tedesca di origine ebrea e allieva di Heidegger, che, dopo essere fuggita dalla Germania nazista, ripercorre la tragedia dell’Olocausto osservandola con spietata, mai banale lucidità, cercando di capirne e di farne capire l’esatta portata e le vere responsabilità.

Stesse date allo Spazio per il ritorno di “A cosa serve essere belli dentro se poi nessuno ci entra”, di Massimiliano Vado, una pièce dalle tinte brillanti in cui tre amiche (Lara Balbo, Francesca Anna Bellucci e Giulia Fiume) si confrontano sui “massimi sistemi” della vita e riflettono, in modo mai scontato, sulla loro femminilità.

Sempre dal 23 al 26 febbraio, al Ghione, Giorgio Lupano è il protagonista di “La vita al contrario”, tratto dal celebre racconto di Francis Scott Fitzgerald “Il curioso caso di Benjamin Button”.

Ultime segnalazioni, infine, per uno dei testi più amati di Luigi Pirandello, “Il piacere dell’onesta”, che il 25 e il 26 febbraio sbarca al De’ Servi nella versione diretta da Luca Ferrini, e per “Una pura formalità”, intrigante adattamento teatrale dell’omonimo film di Giuseppe Tornatore, al Marconi dal 23 al 26 febbraio.

L’intervista: Paolo Ruffini presenta “Quasi amici”

Paolo Ruffini massimo ghini

Insieme a Massimo Ghini, Paolo Ruffini sarà ancora impegnato da domani fino a domenica 26 al Teatro Parioli nel fortunato “Quasi Amici”, lo spettacolo di Alberto Ferrari, tratto dalla ormai celebre, omonima pellicola diretta da Olivier Nakache e Éric Toledano e ispirata dalla commovente storia di amicizia tra il miliardario tetraplegico Philippe Pozzo di Borgo e il suo ex badante Abdel Yasmin Sellou. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui prima dell’ultima settimana di repliche in terra romana.

Ecco cosa ci ha raccontato.

Ci racconta come è stato coinvolto nel progetto “Quasi Amici” e che tipo di lavoro ha dovuto fare su se stesso per calarsi nei panni di Driss?

Sono stato scelto in base a delle logiche imperscrutabili… No, molto più semplicemente, conoscevo già Alberto Ferrari avendo avuto la fortuna di assistere ad un suo spettacolo e avendo subito apprezzato il taglio cinematografico nel suo modo di dirigere. Così, quando è arrivata l’offerta, non ho dovuto pensarci un secondo. Per quanto riguarda l’entrare nel mio personaggio, mi è stato di grande aiuto l’esperienza di “Up&down” perché aver lavorato tanto e bene con i ragazzi down, mi ha dato immediatamente delle coordinate per stabilire un corretto rapporto tra il mio Driss e il personaggio di Ghini. Ci tengo però a sottolineare che il mio approccio alla questione della disabilità è privo di facile “condiscendenza”, nel senso che per me gli attori, come gli uomini in generale, d’altronde, appartengono a delle categorie, a dei “tipi”, assolutamente generali: bravi, meno bravi, simpatici, umani, stronzi.

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A proposito del suo rapporto in scena con Ghini: lo spettacolo è centrato sulla prodigiosa “chimica” che viene a stabilirsi tra voi. In che modo l’avete creata e quanto cambia col passare delle repliche?

Di certo il fatto di aver lavorato insieme in più di una circostanza e la fortuna di averlo anche potuto dirigere come è avvenuto nel mio ultimo film “Ragazzaccio”, ha fatto sì che certi meccanismi in scena si mettessero subito in funzione fin dall’inizio delle prove. Massimo è un grande attore, secondo me, capace di lavorare su più registi ed è anche una persona molto generosa, che non ha paura di darsi. Poi bisogna pensare che portare in giro per l’Italia uno spettacolo, non si limita soltanto a metterlo in scena ma a condividere molti altri spazi extralavorativi. Basti pensare alle cene dopo la rappresentazione, per dirne una. Ecco, quelle sono occasioni per fare bilanci, parlare di ciò che è andato e di ciò che non è andato e, naturalmente, diventa in modo indiretto un’occasione di crescita e di miglioramento per la nostra intesa anche sul palcoscenico.

Una curiosità: ha avuto modo di conoscere i veri protagonisti della storia?

No, purtroppo no, mi sarebbe piaciuto. So però che sono stati informati di questa nostra riduzione teatrale. Chissà…

In un mondo come il nostro dove i rapporti tra le persone sembrano sempre meno immediati e sempre più mediati, cosa insegna una storia come quella di “Quasi amici”? E, già che ci siamo, che importanza ha l’amicizia nella sua vita?

Parto dalla coda della domanda: considero l’amicizia un sentimento d’amore un po’ più… “spettinato”, che consente di avere più libertà e di essere meno possessivi rispetto alla relazione di coppia. Con il mestiere che faccio e il continuo tener dietro ai tanti impegni, per me non è facilissimo stabilire rapporti d’amicizia con le persone. Diciamo che io ho un sacco di “quasi amici”, che magari sento anche in momenti impensati. Per quanto riguarda invece il primo interrogativo, direi che la cosa che più mi piace di questo spettacolo è certa sua anti convenzionalità rispetto a determinati temi: poter fare in scena delle battute sulla disabilità, per dirne una, esula infatti da certe, insopportabili astringenze comportamentali e di pensiero alle quali l’odierna dittatura del politically correct ci costringe.

È attivo da ormai un quarto di secolo e a tutto tondo nel mondo dello spettacolo. Il suo essere poliedrico la aiuta ad entrare e ad uscire dai vari ruoli o ogni volta è costretto a fare tabula rasa prima di cominciare qualcosa? E dove si colloca a livello di importanza questo “Quasi amici” nel suo percorso?

Cerco di affrontare le differenze di impegni pensando che, comunque, si tratti di un continuum lavorativo, innanzitutto. Poi credo fermamente che il teatro sia il mezzo artistico meno ingrato che ci sia. Mentre in televisione o al cinema il successo passa e può capitare che, nel giro di pochissimo tempo, ci si dimentichi di te, nel teatro questo non avviene, rimani sempre un attore, la gente si ricorda. È per questo, ad esempio, che in un periodo particolare come quello della post pandemia il teatro sta andando bene. Il teatro non è delivery, è sempre se stesso e non ha mai paura di mettere il dito nella piaga o di parlare “come mangia”. E quest’ultimo aspetto, in un momento storico come questo, dove il già summenzionato politically correct sta cercando di imporre una sorta di forma di fascismo all’arte, è il più rimarchevole. Ecco, è per questo motivo che uno spettacolo come “Quasi amici”, che il politically correct lo bersaglia con costanza, ha e avrà sempre una grande importanza nel mio intero percorso.

Sta preparando qualcosa al cinema dopo “Ragazzaccio”?

Sì, ho due film che usciranno a breve. A marzo toccherà a “Uomini da marciapiede” una commedia divertente diretta da Francesco Albanese dove recito, tra gli altri, con Clementino. E poi “Rido perché ti amo”, che sarà nelle sale a luglio, una commedia romantica che ho scritto e diretto personalmente e nella quale sarò affiancato da un cast che vede la presenza di Nicola Nocella, Daphne Scoccia, Claudio “Greg” Gregori e Malika Ayane.

Guardandosi indietro, c’è qualcosa che a posteriori non avrebbe fatto nella sua carriera? E c’è qualcosa, invece, che vorrebbe assolutamente fare?

No, alla fin fine penso che tutte le esperienze che ho attraversato siano state formative, positive. Un mio sogno nel cassetto sarebbe poter condurre “La Corrida”: la ritengo infatti la più geniale delle trasmissioni che sia mai andata in onda in televisione. Mi piacerebbe tantissimo!

Siria, missili su tesori Unesco a Damasco

Foto di Mahmoud Sulaiman su Unsplash

L’attacco israeliano avvenuto l’altra notte ha avuto come obiettivo la capitale della Siria, Damasco. I missili diretti nella zona residenziale di Kafr Sousa hanno causato decine di vittime, nonché ingenti danni al patrimonio storico e artistico. Si tratta dell’attacco israeliano “più sanguinoso dall’inizio della guerra civile del 2011”, così lo ha definito Rami Abdel Rahman, responsabile dell’Osservatorio siriano per i diritti umani.

L’azione è partita dalle alture del Golan e come obiettivo, sempre secondo il portavoce dell’Ondus, aveva come obiettivo un deposito di milizie filo-iraniane e degli Hezbollah vicino Damasco.

Sebbene nessun iraniano sembra essere stato colpito, dure sono state le reazioni di Nasser Kanani, diplomatico iraniano, e della Russia che parla, tramite le parole del portavoce del ministro degli Esteri, di contravvenzione del diritto internazionale da parte di Israele.

In silenzio per ora il governo israeliano, come solitamente accade dopo attacchi nelle zone filo-iraniane.

Questa volta però l’attacco ha colpito un’area siriana di valore archeologico ed artistico. I missili hanno danneggiato edifici storici del quartiere medievale di Damasco.

Secondo quanto riportato dal The Directorate-General for Antiquities and Museums (Dgam), agenzia responsabile della promozione e della protezione degli scavi e dei siti siriani in collaborazione con il Ministero della Cultura, “Il nemico israeliano che ha preso di mira un punto a Damasco e dintorni all’alba di oggi ha causato grossi danni all’Istituto Tecnico di Arti Applicate e all’Istituto Mediterraneo di Archeologia e Musei nel Castello di Damasco.
I danni hanno prolungato gli uffici amministrativi del Castello di Damasco e hanno causato danni ingenti all’Istituto di Arti Applicate e all’Istituto Intermedio di Archeologia, a tutti gli istituti educativi, e alle squadre tecniche della direzione stanno ora effettuando un’indagine preliminare per valutare i danni”.

Dunque i missili israeliani hanno causato gravi danni alla cittadella medievale di Damasco, patrimonio dell’Unesco dal 1979.

Situata a nord della capitale siriana, la Cittadella è un sito composto da 12 torri e 3 porte principali. Le torri stesse dimostrano varie fasi archeologiche, esempi di come i vari sovrani succedutisi abbiano apportato modifiche per aumentarne lo scopo difensivo.

Nonostante i terremoti, i numerosi attacchi, la crisi del XIX secolo, la fortezza rimane ad oggi uno dei più bei simboli siriani. Come molti altri siti della Siria si presume che non sia stato ancora scavato è scoperto tutto al suo interno. I danni potrebbero essere più gravi di quelli appurati, soprattutto per gli archeologi che rischiano di non poter accedere al sito per molto tempo.

Foto di Mahmoud Sulaiman su Unsplash

Miami, in mille pezzi scultura di Jeff Koons del valore di oltre 40 mila euro

La scultura di colore blu brillante, faceva parte della famosa serie ‘balloon dog’ che ha forgiato la reputazione internazionale di Jeff Koons è stata ridotta in mille pezzi a Miami. Durante una mostra, l’opera in vetro del valore di circa 40 mila euro, è caduta dopo che una donna ha toccato uno dei famosi palloni.

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L’accaduto ha avuto luogo durante un’anteprima privata all’Art Wynwood di Miami: alcuni collezionisti hanno pensato inizialmente che si trattasse di un siparietto architettato, nell’ambito di una performance artistica o di una messa in scena.

Bénédicte Caluch, consulente artistico di Bel-Air Fine Art, che ha sponsorizzato l’opera di Jeff Koons, ha dichiarato al quotidiano americano Miami Herald che la collezionista non aveva intenzione di rompere l’opera e che l’assicurazione coprirà i danni.

L’artista Stephen Gamson, tra i testimoni, credeva che la donna stesse toccando l’opera d’arte, che si trovava su un piedistallo in acrilico con il nome di Jeff Koons, per “verificare se fosse realmente un gonfiabile”.
Un altro testimone ha filmato tutto, mentre i lavoratori della galleria spazzavano via le schegge di vetro: “Non posso credere che qualcuno possa averlo rovesciato”, si legge nel file.

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Marjane Satrapi a Bologna per dare il via all’anno accademico

Sarà l’artista e intellettuale iraniana Marjane Satrapi l’ospite d’onore alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2022/2023 dell’Università di Bologna, il 935esimo dalla fondazione dell’Ateneo. L’appuntamento è in programma domani – lunedì 20 febbraio alle ore 17 – nell’Aula Magna di Santa Lucia. Con questo invito, l’Alma Mater si schiera con decisione al fianco delle cittadine e dei cittadini iraniani che rivendicano diritti indiscutibili. La loro battaglia ha toccato da vicino l’Ateneo con la morte di Mehdi Zare Ashkzari, ex studente dell’Università di Bologna deceduto in seguito alla prigionia e alla tortura che gli sono state inflitte in Iran.

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La comunità studentesca iraniana dell’Alma Mater è una tra le più numerose d’Italia, con circa 1.000 iscritti fra corsi di laurea e di laurea magistrale, master e dottorati. Questo rende l’Ateneo ancora più vicino e partecipe alla causa combattuta da tante e tanti giovani iraniani.

L’apertura della cerimonia sarà affidata al discorso del rettore Giovanni Molari, a cui seguiranno gli interventi di un rappresentante del personale tecnico amministrativo di Ateneo e di un rappresentante degli studenti. Prenderà quindi la parola Marjane Satrapi, che terrà una lectio magistralis intitolata “The freedom of mind”. Al termine, il rettore Giovanni Molari le consegnerà il Sigillum Magnum di Ateneo, massima onorificenza dell’Università di Bologna.

Dopo la cerimonia, alle ore 20, Marjane Satrapi sarà al Cinema Lumière per introdurre la proiezione del suo film “Persepolis”, in dialogo con Gian Luca Farinelli, Direttore della Cineteca di Bologna.

Marjane Satrapi è nata in Iran, ha trascorso la sua adolescenza a Vienna e vive in Francia dal 1994. È autrice delle graphic novel “Persepolis”, “Taglia e cuci” e “Pollo alle prugne”, oltre che di molti libri per bambini. Dal 2005 ha avviato anche una carriera da regista: ha diretto molti film, tra cui il film di animazione “Persepolis” che è stato candidato all’Oscar, e “The Voices”. Il suo ultimo film è “Radioactive”. È inoltre attiva come pittrice.

Zelensky in video apre il Festival del Cinema di Berlino

La cultura può parlare contro il male o fare silenzio, la “Berlinale ha fatto una scelta”. “Ci sono migliaia di chilometri tra di noi, ma siamo fianco a fianco, non c’è un muro tra di noi”. Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, parlando in diretta video all’apertura della Berlinale.

“Wim Wenders abbatté il muro di Berlino prima che cadesse”, con gli angeli di “Il cielo sopra Berlino”, ha detto Zelensky, aggiungendo che “oggi la Russia vuole costruire un muro in Ucraina, tra noi e l’Europa”, tra la civiltà e tirannia, tra la libertà e la tirannia. Ma l’Ucraina resisterà e protegge la stessa Europa, ha detto Zelensky.

Il collegamento con Zelensky è stato accolto da un lungo applauso della sala, il pubblico si è alzato in piedi. Tra il pubblico c’era anche il vice-cancelliere e ministro tedesco dell’Economia, Robert Habeck, così come la ministra dell’Interno, Nancy Faeser. Zelensky è apparso dopo un’introduzione dell’attore e regista Sean Penn, la cui opera “Superpower” – fuori concorso al festival – racconta la guerra in Ucraina e l’esperienza dello stesso presidente. Zelensky ha detto che “dove prima a Berlino c’era un muro e il vuoto, ora la vita cresce”, oggi con uno “stesso muro” la Russia vuole dividere l’Ucraina “dalla sua scelta, dal suo futuro”, con un muro “tra la libertà e la schiavitù”, tra “diritto di vivere e gli attacchi missilistici, tra il progresso e le macerie che la Russia lascia dietro di sé”. Secondo il presidente ucraino, cultura e cinema non possono stare fuori dalla politica quando ci sono “crimini di massa, omicidi, terrore, il desiderio di distruggere altre culture”, come sta facendo la Russia. Zelensky ha continuato dicendo che nella “lotta dell’umanità contro il male ci sono sempre due vie: verità e propaganda” e che la seconda alla fine non può vincere.

“No Harmony” è il nuovo album della rock band marchigiana Klidas

La band rock sperimentale Klidas pubblicherà il suo album di debutto “No Harmony” venerdì 2 giugno per l’etichetta australiana Bird’s Robe Records. La formazione marchigiana festeggerà la notizia lanciando il nuovo singolo “Shores” venerdì 24 febbraio, seguito da alcuni concerti tra febbraio e marzo.

Klidas si sono formati nel 2014 nelle Marche. Oggi la loro solida line-up è costituita da chitarre, basso, batteria, sassofono, tastiere e synth, che consentono alla band di spaziare con disinvoltura dal jazz alla psichedelia, dal rock alternativo al prog. Il potere evocativo di parole, immagini e forme musicali lascia spazio al silenzio, come presupposto e colonna irrinunciabile di ogni esperienza di ascolto. Da qui il nome Klidas, parola ceca che significa “gigante di silenzio”.

Nel corso degli anni il gruppo è stato in grado di sviluppare un intenso spettacolo live, ulteriormente affinato durante le registrazioni dell’LP “No Harmony”. Ispirandosi al sound di artisti come Secret Chiefs 3, The Mars Volta, Radiohead, Pirate e Swans, la band ha tuttavia creato la propria identità basata su un’energica propulsione avanguardistica.

“No Harmony” è stato registrato da Stefano Luciani al NuFabric studio di Fermo in Italia, mixato da Alex Wilson degli sleepmakeswaves a Sydney in Australia e masterizzato da Josh Bonati (Sufjan Stevens, Mac DeMarco, Pharoah Sanders, Drab Majesty, ecc.) a New York.

TRACKLIST
Shores | Shine | Not to Dissect | Arrival | Circular | The trees are in misery

CREDITI

Emanuele Bury | Chitarra, voce 
Francesco Coacci | Basso, voce 
Lisa Luminari | Chitarra, voce 
Francesco Fratalocchi | Sassofono 
Alberto Marchegiani | Tastiera, synth 
Giorgio Staffolani | Batteria

Manami Kunitomo | Voce fine in “Arrival”

Rockin’1000 cala il tris latino: ¡Colombia, Messico e Spagna!

Al via Humans World Tour 2023: Rockin’1000, la più grande rock band al mondo, nata nel 2015 con un video virale che invitava i Foo Fighters a suonare in Italia, annuncia il tanto atteso viaggio attraverso nuovi paesi, per riempire gli stadi del mondo grazie ai concerti dove si esibiscono 1000 musicisti simultaneamente: due ore di puro rock dove sarà impossibile stare seduti. Al centro dello show, la musica come linguaggio universale che annulla confini e abbatte barriere geografiche, sociali e culturali portando sul palco – un intero campo da calcio – uno tsunami musicale generato da 1000 individui che arrivano da tutto il mondo per suonare insieme. Capace di generare un muro sonoro difficilmente misurabile, Rockin’1000 esporta nel mondo questa esperienza incredibile con un tour che coinvolge nuovi paesi, come già fatto in Brasile, Francia, Germania e Italia. Si parte da Città del Messico il 22 aprile, poi si fa tappa a Bogotà il 20 maggio e a Madrid il 3 giugno: queste le prime tre date ufficiali ma ne potrebbero arrivare altre, tra eventi speciali e concerti negli stadi.

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L’America Latina è una terra di rocker, e questo ci fa sentire come a casa, anche se veniamo da un paese distante migliaia di chilometri.” – dichiara Fabio Zaffagnini – Fondatore di Rockin’1000 e prosegue “Città del Messico e Bogotà saranno due spettacoli memorabili, abbiamo lavorato molto sulla scenografia e sulla scaletta; sarà un viaggio nella storia del Rock’n’roll, dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri. Suoneremo il nostro primo inedito, a cui abbiamo lavorato per oltre un anno, e non mancheranno sfide come Bohemian Rhapsody, uno dei brani rock più complessi di tutti i tempi. Siamo molto grati a Ocesa, che sta credendo in noi e contribuisce in modo determinante al nostro sogno di riunire tutti i musicisti del mondo.”

Durante la conferenza stampa che si è tenuta ieri in Messico Rockin’1000 ha presentato le due nuove tappe latino americane che si vanno ad aggiungere a quella già annunciata del 3 giugno a Madrid: la prima tappa del tour si svolge al Foro Sol di Città del Messico (sabato 22 aprile) e un mese dopo allo stadio El Campin di Bogotà (sabato 20 maggio) – le due date del Messico e della Colombia sono realizzate in collaborazione con Ocesa – il più grande promotore di concerti, festival musicali e eventi dal vivo in Latino America.

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Tutti gli show adotteranno la modalità 360°, la disposizione dei musicisti che consente agli spettatori una fruizione visiva e sonora completa da qualsiasi punto degli spalti. Lo show, della durata di circa due ore, coinvolge un esercito di batterie, chitarre, bassi, tastiere e voci e presenta un repertorio di 20 brani iconici che hanno fatto la Storia del Rock, grazie a band del calibro di Nirvana, Foo Fighters, Rolling Stones, Rage Against The Machine, The Who, Pixies e tanti altri!

Ma oltre ai grandi classici della musica rock internazionale, la scaletta prevede diverse novità e alcuni nuovi brani, mai eseguiti prima dai 1000:

– alcune canzoni emblematiche nella cultura rock messicana, colombiana e spagnola

– un medley speciale dedicato ai Kinks per celebrare il 60° anniversario di una delle più influenti rock band britanniche, con alcune delle loro canzoni più iconiche, tra cui You Really Got Me, già nel repertorio storico di Rockin’1000

– un brano inedito – il primo composto e arrangiato dalla Community Rockin’1000 – che verrà eseguito per la prima volta dai mille musicisti

22 aprile al Foro Sol di Città del Messico
20 maggio Stadio El Campin di Bogotà
3 giugno Estadio Cívitas Metropolitano di Madrid

Centenario di Roy Lichtenstein: Parma celebra il maestro della Pop Art con una grande mostra

Roy_Lichtenstein_(1967) Eric Koch, CC0, via Wikimedia Commons

Dall’11 febbraio al 18 giugno 2023 Parma celebra il centenario della nascita di Roy Lichtenstein, maestro della Pop Art, con una grande mostra intitolata “Roy Lichtenstein. Variazioni pop”.

Il centenario della nascita di Roy Lichtenstein

Nel centro di Parma i suggestivi spazi di Palazzo Tarasconi ospitano una grande retrospettiva su Roy Lichtenstein (1923-1997), con oltre cinquanta opere provenienti da prestigiose collezioni europee e americane.

La mostra patrocinata dal Comune di Parma e prodotta da GCR, General Service and Security, sotto la direzione artistica di WeAreBeside, ripercorre la carriera dell’artista a partire dagli anni Sessanta attraverso tecniche e stili diversi: edizioni, serigrafie, sperimentazioni su metallo, tessuti, plastica, oltre a fotografie e video.

Il percorso espositivo, pensato per celebrare i cento anni dalla nascita del maestro, intende fornire una visione completa della sua parabola artistica e dell’influenza che ancora oggi esercita sulla cultura di massa.

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Il percorso espositivo

Le ampie volte di Palazzo Tarasconi presentano altrettante sezioni cronologico-tematiche: Lichtenstein infatti era solito dedicarsi a una tecnica per volta in periodi circoscritti.

Si parte quindi dal 1948, anno che sancisce l’inizio della sua carriera: le prime opere sono realizzate con la tecnica della xilografia, per poi passare alla litografia, all’acquaforte e all’acquatinta. Negli anni Sessanta avviene la svolta verso la Pop Art e la Comic Art statunitense. L’artista decide di riprodurre alcuni iconici fumetti su grande scala, dipingendo a mano ogni singolo dettaglio: dal soggetto (principalmente donne in preda a forti emozioni), alle onomatopee, ai caratteristici Ben Day dots, vale a dire i puntini in quadricromia tipici della stampa dell’epoca.  

Successivamente l’artista americano si avvicina alla pubblicità, alle nature morte, ai paesaggi. La sua pennellata si fa gradualmente più geometrica, sino a sfiorare l’astrazione con i suoi celebri interni architettonici bidimensionali. Il percorso si conclude con gli anni Novanta, periodo fortemente caratterizzato dalla serie dei nudi femminili.

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Lichtenstein e l’arte della riproducibilità

Basata sullo studio della percezione visiva, quella di Lichtenstein è un’arte dello sguardo, è perciò comprensibile come, in una società che a partire proprio dagli anni Sessanta è stata progressivamente pervasa dal potere dell’immagine, abbia ancora una forte e perdurante influenza sui creativi della visione”, dichiara il curatore della mostra Gianni Mercurio.

Al pari di Andy Warhol, infatti, anche Lichtenstein crea immagini imperniate sugli stereotipi della cultura di massa; abbandona la visione tradizionale dell’artista come genio creativo concentrandosi sul concetto di riproducibilità dell’arte. Attraverso immagini prodotte in serie e materiali tipici della società industriale, preleva il contenuto dal contesto originario con puri fini parodistici. Il processo di ingrandimento e semplificazione della sua opera non veicola un’analisi sociologica del contenuto, ma intende evidenziare l’estetica americana degli anni Sessanta, focalizzata sul consumismo e sul culto dell’oggetto.

L’esposizione si avvale di un ricco catalogo caratterizzato dai testi del curatore, di Roy Lichtenstein stesso e della scrittrice e storica dell’arte Avis Berman. L’esposizione “Roy Lichtenstein. Variazioni pop” apre l’anno che Palazzo Tarasconi dedica agli Stati Uniti e alla Pop Art: dal prossimo settembre il tributo continuerà con una mostra su Keith Haring.

Per ulteriori informazioni è possibile collegarsi al sito web www.palazzotarasconi.it .

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Baglioni, nove maxi-eventi con ‘aTuttocuore’

Dopo il successo del tour solistico di 156 concerti nei teatri di Dodici Note Solo Bis, Claudio Baglioni ritorna ai live con ‘aTuttocuore’: 9 maxi-eventi dal vivo che si annunciano rivoluzionari, grazie a una nuova rappresentazione totale, a tre gigantesche dimensioni spaziali – orizzontalità, verticalità, profondità – nella quale si fondono musica, luce, figura, gesto, azione e le molteplici arti e modalità dello spettacolo. Saranno 3 gli appuntamenti allo Stadio centrale del Foro italico a Roma (21-22-23 settembre), 3 i concerti all’Arena di Verona (5-6-7 ottobre) e 3 quelli al Velodromo Paolo Borsellino di Palermo (12-13-14 ottobre).

Il tema centrale del progetto ‘aTuttocuore’: ruoterà attorno al cuore, suono e strumento primordiale dell’esistenza. La percussione ritmica che è musica di vita e della vita. La danza che ci muove dentro e fuori. Il ballo universale che tra coraggio e accoramento, ci mette d’accordo. “Da sempre – spiega Baglioni – il cuore è considerato il centro, il nucleo, il cuore di tutto. Della vita stessa, ovviamente. Ma anche di passioni, sentimenti, emozioni, imprese, avventure.

E, naturalmente, dell’amore: l’energia più grande che esista in natura. Nasce da queste riflessioni e suggestioni l’idea di chiamare il mio nuovo giro di rappresentazioni ‘aTuttocuore’, dove, ancora una volta, la musica sarà il cuore pulsante di un progetto di concerto totale, integrale, reso ancora più prezioso e strabiliante dall’impiego e l’ausilio di illuminotecniche, proiezioni, performance da forme e discipline artistiche, per creare suggestioni particolari e mai viste prima”.

“Il nostro cuore – aggiunge l’artista – batterà a tempo di musica, perché questi concerti sono ideati e saranno vissuti da tutti noi a tutta forza, a tutta gioia, a tutta energia! Ma anche a tutto campo e a tutto tondo, sia strutturalmente – narrazione, illustrazione e movimentazione si svilupperanno sulle direttrici di piani orizzontali e verticali, con profondità considerevoli e altezze imponenti – sia simbolicamente, in un ideale abbraccio tra artisti, musicisti, performer e spettatori, per scambiarci, da cuore a cuore, un’esperienza unica da spartire insieme aTuttocuore”

Queste le date di “aTuttocuore”prodotte e organizzate da Friends & Partners:

21/09/2023 – Stadio Centrale Foro Italico di Roma

22/09/2023 – Stadio Centrale Foro Italico

23/09/2023 – Stadio Centrale Foro Italico

05/10/2023 – Arena di Verona

06/10/2023 – Arena

07/10/2023 – Arena

12/10/2023 – Velodromo Paolo Borsellino di Palermo

13/10/2023 – Velodromo Paolo Borsellino

14/10/2023 – Velodromo Paolo Borsellino

I biglietti sono disponibili in prevendita esclusiva per gli iscritti al Fan Club, dalle ore 10 di domani, giovedì 16 febbraio. Dalle ore 11 di venerdì 17 febbraio, invece, i biglietti saranno disponibili su TicketOne.it e nei punti vendita e nelle prevendite abituali (info su www.friendsandpartners.it).

Sanremo 2023: dietro i due brani vincitori la firma di Petrella

“Primo e secondo posto a Sanremo, non so se sia mai successo prima. Sono molto felice, erano due canzoni potenti, si era capito subito”. Il napoletano Davide Petrella ha commentato così il doppio successo a Sanremo che lo ha visto co-firmare le canzoni arrivate prima e seconda. Dietro “Due vite” di Marco Mengoni c’è infatti il suo contributo come autore (insieme a Davide Simonetta e lo stesso Mengoni).

“Grazie a Marco”, si legge ancora in un post del suo profilo Instagram, “per aver portato ‘Due vite’ al Festival…È bello vedere un artista come Marco, con il suo storico, emozionarsi per una canzone e cantarla così come se ancora dovesse dimostrare. Le canzoni sono importanti”.

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Un ringraziamento anche per Simonetta “con cui ho scritto la canzone, eravamo solo io e lui nel suo studio nel nulla, dovevamo fare altro, ma alla fine m’ha chiamato sto pezzo e l’abbiamo inseguito. Abbiamo scritto l’intera canzone in due giorni magici. Una mattina, abbiamo preso un caffè in un piccolo bar del paesino, quando sono uscito un signore sulla sessantina mi si avvicina e mi chiede ‘ma tu chi sei? Devo farmi una foto con te? Perché qui da Davide vengono sempre i cantanti famosi’. Io gli ho risposto che ero solo lì per caso a prendere un caffè con un amico”.

Ma il cantautore, conosciuto anche con il nome d’arte Tropico, figura anche fra gli autori della canzone seconda classificata al festival, “Cenere” di Lazza: “Grazie a Jacopo per aver scelto Cenere – prosegue ancora il testo su Instagram – forse uno degli episodi più game changer nella storia del festival… e grazie per avere sempre quella fotta degli artisti che partono col pronostico contro, me lo ha sempre fatto sentire vicino. Jacopo s’è mangiato l’Ariston dal primo secondo”.

Petrella, 38 anni compiuti lo scorso 6 agosto, ha collaborato anche con Cesare Cremonini e ha scritto canzoni per Fedez e J-Ax (“Vorrei ma non posto”), Fabri Fibra, Gianna Nannini ed Elisa.

“Non farlo”, il nuovo romanzo di Alex Roggero

Roggero alex roggero

Il giovane scrittore Alex Roggero, milanese classe 1987, con il suo “Non farlo” pubblicato da Ortica Editrice meno di un anno fa entra di diritto tra gli scrittori emergenti da tenere sott’occhio.

Il suo libro parla di scelte. Quelle scelte che possono cambiare il proprio futuro. Ma anche quello degli altri. In uno stile duro e crudo che a tratti ricorda Bukowski. Come anche il suo personaggio protagonista del libro. Si sente un po’ bello e dannato. In continuo viaggio, tra una donna e l’altra, tra una bottiglia di vino e l’altra.

Più che di un viaggio, almeno nei primi capitoli, Roggero sembra parlare di una fuga. Un Lupin la cui arma è la seduzione (e il sonnifero). Una fuga dalla quotidianità, dalla banalità, dalla routine dell’ufficio. Un latin lover in grado di far innamorare all’istante, anche in situazioni un po’ improbabili. Ma il novello Casanova misto a Robin Hood non ruba per arricchirsi. Ma per vivere. E soprattutto per non sopravvivere e per sfuggire alla noia.

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In pratica un cinico bastardo. Uno di quelli che cerca di non scegliere. Di rimandare i momenti cruciali della vita. E lo fa celando i suoi turbamenti non creando legami duraturi.

Nelle pagine di “Non farlo” sembra di leggere la massima che Sallustio attribuisce ad Appio Claudio Cieco: “Ognuno è artefice del proprio destino/sorte”. Il potere che il protagonista si ritrova gli permette di decidere di fare (o non fare) qualcosa in grado di cambiare il destino. Una lunga corsa che si avverte con lo sfogliare delle pagine, dove la frenesia della vicenda trasuda dalle parole. Il lettore rimane con il fiato sospeso, come se corresse accanto al personaggio di Roggero.

Alla fine sono molti i punti interrogativi da sciogliere. Farlo o non farlo? Scegliere o non scegliere?

“Buoni da Morire” con Debora Caprioglio, Pino Quartullo e Gianluca Ramazzotti arriva al Teatro Talia di Tagliacozzo

Dopo l’appuntamento musicale della scorsa domenica con “André-A” – il concerto tributo al celebre cantautore italiano Fabrizio D’André – torna sul palco del Talia di Tagliacozzo, la prosa. Andrà in scena domenica 26 febbraio alle ore 18:00Buoni da Morire” la commedia di Gianni Clemente con Debora Caprioglio, Pino Quartullo, Gianluca Ramazzotti.

Lo spettacolo ci racconta le vicende di una coppia borghese, lui cardiochirurgo, lei moglie in ansia per un figlio allo sbando, che decidono di passare una vigilia di Natale diversa, unendosi a dei volontari che portano dei generi di conforto ai vari barboni sparsi sui marciapiedi o sotto i colonnati della città. Una notte piena di gratificazione, di linfa vitale per un rapporto evidentemente stanco, annoiato. E la coppia sembra riscoprire un modo nuovo di condividere le cose semplici, ma fondamentali della vita: fratellanza, compassione, solidarietà.

L’esperienza induce quindi la coppia a una riflessione più ampia sul senso stesso della vita e a provare, per la pri