Il nome di Mia Farrow è legato a doppio filo a quello di Woody Allen. Da una parte perché i momenti più esaltanti della sua carriera li ha avuti proprio con l’ex marito e regista nei film da lui diretti, dall’altro perché da quell’amore tanto fantasticato quanto ben presto rilevatosi irreale è nata una tra le dispute hollywoodiane più discusse degli ultimi cinquanta anni. L’idillio, tra i due, vi fu prima del matrimonio, per ammissione di entrambi. Il grande sì all’altare, invece, cambiò totalmente il loro rapporto e la percezioni che entrambi avevano della coppia.
L’attrice, che oggi compie 76 anni, ha recitato in tredici pellicole del regista newyorkese, tutte tra il 1982 e il 1992. “Una commedia sexy in una notte di mezza estate” (1982), “Zelig” (1983), “Broadway Danny Rose” (1984), “La rosa purpurea del Cairo” (1985), “Hannah e le sue sorelle” (1986), “Radio Days” (1987), “Settembre” (1987), “New York Stories“, (1989), “Crimini e misfatti” (1989), “Alice” (1990), “Ombra e nebbia” (1991), “Mariti e mogli” (1992).
Prima del sodalizio artistico una lunga gavetta e diversi film che, comunque, le hanno permesso di mettersi in luce mediante alcune sceneggiature drammatiche, indubbiamente più adatte alla sua espressività cinematografica e perfettamente aderenti con un lato umano turbolento, a tratti instabile ed estremamente fragile.
I due iniziarono a frequentarsi nel 1980, anche se continuarono a vivere in appartamenti separati per molto tempo, entrambi a Central Park. Quando si conobbero la Farrow aveva alle spalle già due matrimoni andati a male, uno con Frank Sinatra (di 30 anni più grande) che durò poco meno di tre anni, e uno con il direttore d’orchestra André Previn (di sedici anni più grande) che durò invece quasi un decennio e che le diede tre figli. Oltre a loro, anche quattro figli adottivi. Tra loro Soon Yi (che portava il cognome Previn) e Moses (dal cognome Farrow). Cinque anni dopo l’inizio della relazione con Allen, Mia Farrow adottò un altro bimbo, Dylan. Nel 1987, dalla relazione tra i due, nacque Ronan, che venti anni dopo, in qualità di giornalista del New Yorker, ebbe un ruolo cruciale nello svelare lo scandalo delle molestie sessuali a Hollywood perpetrate dal produttore cinematografico Harvey Weinstein. Nel 1991 Allen adottò sia Moses Farrow che Dylan.
Ma non tutto andò liscio come l’olio. Anzi. La miscela chimica si rivelò essere esplosiva e quando all’inizio del 1992 la Farrow suppose di aver scoperto il marito in una relazione clandestina e incestuosa con sua figlia Soon Yi (all’epoca presunta ventenne, anche se non è mai stata resa nota la data di nascita ufficiale) la bomba scoppiò in tutta la sua potenza. La presunta relazione si rivelò tale e Allen venne messo con le spalle al muro, soprattutto dalla stampa che riversò accuse infinite e spesso infondate sul regista. Infondate perché, all’epoca dei fatti, il clamore prevalse sulla fondamentale attività d’inchiesta (se così vogliamo chiamarla) nel ricercare la verità. Fu detto di tutto. Da quel momento nacque una disputa violentissima tra i due che proseguì tra reciproci attacchi con al centro, purtroppo, proprio i figli.
Woody Allen e Soon Yi Previn si sposarono nel 1997, benché lui avesse trentacinque anni di meno. Ora hanno due figlie adottive, sono felici, e lei ha chiuso con il suo passato, con Mia Farrow e André Previn. Ma lo scontro tra gli ex coniugi non si chiuse così. La disputa legale per l’affido di Dyan, Moses e Ronan Farrow proseguì. Nel 1992, proprio durante il periodo precedente al matrimonio tra Woody e Soon Yi, il pediatra dei bambini denunciò alla polizia presunti abusi che l’autore di Zelig e La rosa purpurea del Cairo avrebbe fatto su Dylan. Lo raccontò la stessa bambina al medico che decise quindi di agire. Questo è uno stralcio della testimonianza che Dylan, riportata in una lettera pubblica del 2014.
“Qual è il vostro film preferito di Woody Allen? Prima di rispondere dovreste sapere che quando avevo sette anni, Woody Allen mi prese per mano e mi portò in una piccola soffitta al primo piano di casa nostra, mi disse di stendermi e di giocare con il trenino di mio fratello. Quindi abusò sessualmente di me, e mi parlò mentre lo faceva, sussurrandomi che ero una brava bambina, che questo sarebbe stato il nostro segreto, e mi promise che saremmo andati insieme a Parigi e io sarei stata una grande attrice nei suoi film. Ricordo che fissai quel trenino girare in tondo lì in soffitta, e ancora oggi mi viene difficile guardare i trenini”.
“Da quando ho memoria mio padre fece sempre con me cose che non mi piacevano. Non mi piaceva che mi portasse spesso via da mia madre, dai miei fratelli e amici per stare solo con me. Non mi piaceva quando mi metteva il suo pollice in bocca. Non mi piaceva quando dovevo andare a letto con lui sotto le coperte quando indossava solo le mutande. Non mi piaceva quando metteva la sua testa sulla mia pancia e ci respirava contro. Mi sarebbe piaciuto nascondermi sotto i letti o chiudermi in bagno per evitare questi contatti, ma lui mi trovava sempre. Queste cose succedevano così spesso, così normalmente, in modo così abilmente nascosto da una madre che mi avrebbe protetta se avesse saputo, che pensavo che fosse normale. Pensavo che fosse quello il modo in cui i padri si comportavano con le proprie figlie. Ma quello che mi fece in soffitta fu diverso. Non potevo più tenere il segreto”.
Sulla vicenda indagarono la Clinica per gli abusi sessuali sui minori dell’Ospedale di Yale-New Haven e i servizi sociali infantili dello Stato di New York. Emerse che le molestie non erano mai avvenute e che le dichiarazioni della bambina furono indotte o circuite dalla madre. “Emotivamente vulnerabile”, si legge nel rapporto in merito allo stesso psicologico di Dylan. Viene di fatto ritratta come in balia delle emozioni e della volontà della madre che, mediante essa, voleva rifarsi su Allen. Il regista, dal canto suo, ha sempre negato ogni forma di molestia, rimbalzando la tesi secondo la quale Dylan era stata influenzata al tal punto dalla Farrow da esserne soggiogata alla sua volontà. In suo sostegno venne Moses Farrow che dopo la lettera pubblica da Dylan, prese le difese dell’ex padre adottivo.
“È ovvio che Woody non ha molestato mia sorella. Lei gli voleva bene e non vedeva l’ora di vederlo, quando lui veniva a trovarla. Non si è mai nascosta da lui finché nostra madre non è riuscita a creargli attorno un’atmosfera di paura e odio. Il giorno di cui parla Dylan, in casa eravamo in sei o sette. Eravamo tutti in camere aperte e nessuno, né mio padre né mia sorella, era chiuso in una stanza. Mia madre era uscita a fare shopping. Io non so se mia sorella davvero creda di esser stata molestata o se stia cercando di compiacere mia madre. Avere nostra madre dalla propria parte era una motivazione molto potente, dato che averla contro era terribile“.
Lo scorso anno è uscito “A proposito di niente“, autobiografia di Woody Allen. All’interno della stessa sono riportati numerosi stralci di queste vicende, in maniera molto dettagliata. Nel gennaio del 2020, a causa del clamore che il libro ha suscitato, perché in molti volevano che non uscisse, movimenti femminili in primis, l’autore dichiarò quanto segue.
“Quando questa accusa fu fatta per la prima volta più di 25 anni fa fu investigata minuziosamente sia dalla Clinica per gli abusi sessuali sui minori dell’Ospedale di Yale-New Haven sia dai servizi sociali infantili dello Stato di New York. Entrambe le istituzioni ci lavorarono per mesi e indipendentemente l’una dall’altra conclusero che non c’era stata nessuna molestia. Al contrario, ritennero probabile che una bambina vulnerabile fosse stata istruita a raccontare una storia da sua madre, arrabbiata per una difficile separazione“.
“Il fratello maggiore di Dylan, Moses, ha detto di aver assistito proprio a questa cosa: a momenti in cui sua madre istruiva costantemente Dylan cercando di passarle l’idea che suo padre fosse un pericoloso predatore sessuale. Sembra che abbia funzionato e, tristemente, sono sicuro che Dylan creda davvero in quello che dice. Ma nonostante la famiglia Farrow stia usando cinicamente l’opportunità presentatale dal movimento Time’s Up per rinnovare questa accusa screditata, essa non è più vera che in passato. Non ho mai molestato mia figlia, come tutte le indagini conclusero un quarto di secolo fa“.
Non è finita qui. In realtà, nonostante le accuse fossero state tutte respinte al mittente e nonostante fossero state archiviate, l’uscita dell’autobiografia (pubblicata in Italia dalla Nave di Teseo) ha rinverdito le polemiche e dato nuovi appigli alla Farrow per portare avanti la sua personale battaglia contro l’ex marito.
Il prossimo 21 febbraio su Hbo uscirà “Allen vs Farrow“, docuserie di quattro puntate che, guarda un po’, avrà ad oggetto le presunte molestie del regista nei confronti di Dylan Farrow. La miniserie contiene elementi inediti di una battaglia legale e di immagine durata decenni. Al centro della sceneggiatura audio e filmini mai apparsi prima che inchioderebbero Allen alle sue responsabilità. Dietro la cabina di regia ci saranno Kirby Dick e Amy Ziering che ha pubblicamente dichiarato: “La storia completa non è mai stata raccontata. E’ un caso di cui si è parlato tanto, ma andando avanti abbiamo scoperto molto di più”. Inutile specificare che Woody e Soon Yi non hanno voluto partecipare.
Fondatore e direttore responsabile del magazine The Walk Of Fame. Nato e cresciuto in Abruzzo, è diventato giornalista pubblicista dopo aver completato gli studi in Giurisprudenza. Appassionato di musica, cinema e teatro, avrebbe sempre voluto essere il Will Smith di Indipendence Day o, tutt'al più, Aragorn de "Il Signore degli Anelli". Vola basso.
Nella giornata di ieri, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences ha diramato la lista dei film che entreranno nel quintetto finale, per aggiudicarsi la statuetta del Miglior Film agli Oscar del 2021.
Mai come quest’anno la lista dei titoli eleggibili è stata così corposa. Se nella passata edizione la lista iniziale contava 344 candidati, sono ben 366 i film che quest’anno si daranno battaglia per accedere alla 93esima edizione degli Academy Awards.
Los Angeles, 1999. La città californiana è nel caos. Strange Days si svolge, dunque, in un’ambientazione molto simile a quella di un altro film cult: Fuga da Los Angeles, di John Carpenter con Kurt Russel nei panni di Jena Plissken.
Il 30 dicembre, alla vigilia del nuovo millennio, in tutto il mondo si evidenzia un’ escalation” di tensione. Le strade brulicano di manifestanti, mentre la gente si è ribellata alla polizia dopo che un rapper molto popolare è stato giustiziato da un paio di poliziotti corrotti. La città è sempre più violenta e caotica e la più recente ed illecita forma di divertimento si basa sulla possibilità di rivivere l’esperienza altrui acquistando dei “clips” contenenti, registrati con tecnica digitale, frammenti di particolari momenti di vita.
Lenny Nero (Ralph Fiennes), ex poliziotto e ricettatore di “sogni” rubati, come spacciatore vende questi “clips” divenuti, ormai, la più richiesta droga capace com’è di penetrare nei meandri della natura umana (sesso, emozioni e violenza). Quando un anonimo fa pervenire a Nero la registrazione della morte di Iris (una giovane adibita ad un lavoro di collegamento per Lenny registrando “clips”) questi ne diviene, suo malgrado, emotivamente complice.
Soggetto e sceneggiatura del film furono di James Cameron con l’ausilio di Jay Cocks, la regia, invece, di Kathryn Bigelow. A comporre il cast, oltre Fiennes, anche Angela Bassett, Juliette Lewis, Michael Wincott, Vincent D’Onofrio.
Il film uscì nel 1995 (in Italia il 23 febbraio del 1996) ma, nonostante le grandi aspettative generatesi attorno a esso, non riuscì a soddisfare le attese. Parlare di flop è probabilmente ingeneroso o, comunque, eccessivo. Il pubblico a cavallo della metà degli anni Novanta guardava alla fantascienza con una rinnovata curiosità, arricchito da nozioni scientifiche e tecnologiche in grado di sviluppare una maggiore conoscenza del genere grazie a una maggiore esposizione mediatica. Certo è che non venne accolto con i clamori che la produzione auspicava. Il film, però, si rivelò essere cupo, inquieto, forse anche eccessivamente violento.
Costò circa 42 milioni di dollari. Ne incassò sei volte di meno. Le “colpe” dell’insuccesso, se così vogliamo chiamarle, ricaddero sulla Bigelow, accusata di aver tradito gli accordi preliminari circa la realizzazione della sceneggiatura. Fu per lei, di fatto, una sonora stroncatura che minò definitivamente il suo percorso con la 20th Century Fox. Mancavano pochi anni agli anni Duemila. Tutti che avevano in mente il famigerato Millennium Bug, la paura dell’interruzione delle macchine e dei servizi digitali e il futuro spaventava poiché il cambio di millennio era, più che altro, un’incognita. Insomma, nessuno poteva raccontarlo.
Logico pensare a una fantascienza distopica, quindi, tipica di un certo tipo di letteratura come quella di Dick o Asimov, fonti d’indiscutibile ispirazione. Il Duemila avrebbe azzerato la società umana per portarla verso una direzione più estrema? Non potevamo saperlo, ma la Bigelow voleva immaginarlo. Il film, benché sottovalutato e, commercialmente parlando, un disastro, è stata una fondamentale fonte d’ispirazione per le pellicole venute dopo.
Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, il 27 marzo sarebbe la data indicata dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini per la riapertura di cinema e teatri. La proposta presentata al Comitato tecnico scientifico ha ottenuto l’appoggio della titolare degli Affari Regionali Mariastella Gelmini. Perché proprio quel giorno?
Perché il 27 marzo è la festa del teatro, per il governo potrebbe diventare una data simbolica specie se la morsa dei contagi consentirà un allentamento. I protocolli saranno molto stringenti e si prevede l’obbligo in sala delle mascherine FFP2 per tutta la durata dello spettacolo.