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Emozioni senza tempo con gli Oliver Onions al Brancaccio: una festa per tutte le età

Federico Falcone Posted On 28 Maggio 2022
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È stata una festa, un tuffo nel passato, un’immersione nell’infanzia e nell’adolescenza che furono. Questo è stato il concerto degli Oliver Onions di giovedì 26 maggio al Teatro Brancaccio di Roma. Non un’esibizione costruita su tecnicismi e virtuosismi musicali, e neanche uno spettacolo pirotecnico o uno show – visivamente parlando – strabiliante. No, niente di tutto questo. É stato qualcosa di più, è stata un’esperienza, e come tale vissuta e assaporata fino in fondo, senza distrazioni dai pensieri del presente e da ciò che, al termine dell’evento, era lì ad attenderci per richiamarci ai nostri doveri.

Maurizio e Guido De Angelis hanno cullato i sogni di tre generazioni di italiani con le loro indimenticabili colonne sonore. Il concerto capitolino era a lungo atteso, non solo perché precedentemente rimandato a causa del Covid, ma anche e soprattutto perché quando i due fratelli salgono sul palco, e iniziano a suonare, sono capaci di risvegliare o esaltare ognuna delle nostre emozioni più intime.

Il loro nome è legato a doppio filo a quello di Bud Spencer e Terence Hill, al secolo Carlo Pedersoli e Mario Girotti, anche loro protagonisti di una pagina importante della storia del cinema italiano della seconda metà del Novecento. Sono stati a lungo gli eroi di noi tutti cresciuti col mito di Trinità e Bambino, delle dune buggy e dei cazzotti a martello e dei piattoni di fagioli, di sceriffi poco extra e molto terresti e di personaggi strabilianti come Banana Joe. Di una comicità ragionata e intelligente, mai volgari o grottesca. Entrambi, per molti bimbi italiani ora cresciuti e diventati padri o nonni, sono stati l’equivalente degli Avengers. Ma loro erano – e sono – veri, verissimi.

Leggi anche: A Berlino, in viaggio tra le sette vite di Bud Spencer

Sono bastate le prime note di “Trinity stand tall” per fermare il tempo e far tornare la memoria a quando, in compagnia dei nostri genitori, guardavamo in tv “Continuavano a chiamarlo Trinità”. In chiaro o su una vhs, acquistata originale oppure registrata (con tanto di pubblicità) dalla televisione.

Subito sono riaffiorati i ricordi e le suggestioni di quei momenti, di quando eravamo più spensierati e per stupirci non servivano effetti speciali ma una sana dose di comicità ben fatta. La stessa che ora manca dolorosamente (salvo pochi e isolati casi) in un quadro d’insieme piatto, colmo di bravi attori ma sterile di caratteristi e figure carismatiche come il duo sopra citato.

La scaletta del tour organizzato per festeggiare i sessant’anni di attività prevede che vengano suonati tutti i maggiori successi. “Dune Buggy“, da “Altrimenti ci arrabbiamo”, che scatena i primi coi, poi le hit immortali “Fantasy“, “Sheriff“, “Sandokan” e “Zorro“. A quel punto il concerto cambia pelle e diventa festa.

Leggi anche: Mezzo secolo di Trinità, scazzottate e fagioli: Bud e Terence non passano mai di moda

Gli applausi e le standing ovation si trasformano in un tributo costante e ripetuto al termine di ogni brano. E quando tutti si alzano in piedi dalla platea e dalla galleria per omaggiare i due fratelli, uno dei due, Guido, si commuove. Non riesce a ringraziare, è sopraffatto dall’emozione e dal calore che il pubblico gli ha riservato. Nessuno smette di applaudire, anzi, è tutto un crescendo. Ma è tutto come lo abbiamo lasciato, però. La musica degli Oliver Onions è una medicina contro il trascorrere del tempo, ha fatto da collante tra il passato e il presente della nostra vita, ci ha accompagnati in tutti questi anni e continuerà a farlo.

Non tutte le emozioni si possono descrivere, la maggior parte non si può neanche quantificare. Come si possono spiegare quarant’anni di emozioni racchiuse in pochi minuti di una canzone? Come si può far capire cosa vuol dire commuoversi di fronte al volto di Bud Spencer proiettato sullo schermo? Lui, che per molti di noi, è stato un padre, uno zio, un nonno aggiunto. Come si può, infine, comprendere fino in fondo cosa sia una passione capace di accompagnarti per tutta la vita, se non la si è mai vissuta?

Cala il sipario e il Brancaccio va svuotandosi. Ma non prima di un’ultima sorpresa, “L’Ultimo Valzer“, che sta a ricordarci che anche il piccolo alieno HT25 è cresciuto. Ma certe cose non cambiano, e gli Oliver Onions ci hanno insegnato, una volta di più, che l’età anagrafica altro non è che un numero. Saremo per sempre quei bambini che guardavano Trinità e Bambino al fianco dei loro genitori. Già, certe cose non cambiano proprio.

Leggi anche: Terence Hill sui luoghi di “Continuavano a chiamarlo Trinità” 50 anni dopo: con Bud intesa magica

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