“Metastasi a cervello e polmoni, mi restano mesi di vita”: Michela Murgia parla del suo tumore

La scrittrice, opinionista e blogger Michela Murgia, cinquantuno anni il prossimo 3 giugno, ha un carcinoma renale al quarto stadio: lo ha annunciato in un intervista al Corriere della Sera in occasione dell’uscita del suo nuovo libro.

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Tre ciotole è un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva. “Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita” – scrive la Murgia -: a volte a stravolgerla è un lutto, una ferita, un licenziamento, una malattia, la perdita di una certezza o di un amore, ma è sempre un mutamento d’orizzonte delle tue speranze che non lascia scampo.

Il primo dei racconti si apre con la diagnosi di un male incurabile e parlandone ai microfoni del quotidiano nazionale spiega “È il racconto di quello che mi sta succedendo. Diagnosi compresa». Michela Murgia rivela di avere un carcinoma renale al quarto stadio con metastasi alle ossa, ai polmoni e al cervello.

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La scrittrice racconta di aver rimandato diversi controlli nel lungo periodo della pandemia e con una serenità quasi sconvolgente spiega come ormai sia tardi: niente chemio o operazioni che a questo punto sarebbero inutili, ma un’immunoterapia a base di biofarmaci che non attacca la malattia, bensì stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo, spiega la Murgia, non è quello utopistico di sradicare una malattia che ha preso il controllo sul, anzi nel suo corpo, ma quello di guadagnare tempo. Un tempo ormai misurabile solo in mesi.

Come il personaggio del suo libro, si rifiuta di parlare della sua malattia con un registro bellico (e dunque parole come lotta, battaglia, guerra). Come riportato dal Corriere della Sera e dalla stampa nazionale tutta, n una serenità quasi spiazzante Michela Murgia dice: “Il cancro è una malattia molto gentile. Può crescere per anni senza farsene accorgere. In particolare sul rene, un organo che ha tanto spazio attorno“.

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Aggiunge: “Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Me l’ha spiegato bene il medico che mi segue, un genio. Gli organismi monocellulari non hanno neoplasie; ma non scrivono romanzi, non imparano le lingue, non studiano il coreano. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno».

Con quest’ultima parola, Michela Murgia fa dichiaratamente riferimento al modo in cui Oriana Fallaci parlava del suo tumore dopo averlo visto. “Ognuno reagisce alla sua maniera e io rispetto tutti.” dice spiegando come parlare di mostro, di alieno, insomma di qualcosa di paurosamente estraneo al nostro corpo che vi si insinui e ne prenda possesso, “sarebbe come sentirsi posseduta da un demone. E allora non servirebbe una cura, ma un esorcismo. Meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me.

Tornando all’approccio bellico, la Murgia afferma: “La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente. La guerra vera è quella in Ucraina. Non posso avere Putin e Zelensky dentro di me. Non avrei mai trovato le energie per scrivere questo libro in tre mesi“.

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Classe 2001 e studentessa di “Letteratura Musica Spettacolo” in Sapienza. Alla continua ricerca di meraviglia, di entusiasmo e di un significato in ogni cosa. Le piace lasciarsi attraversare dalle emozioni davanti ad un film, a una poesia o ad un’opera d’arte, riempire i polmoni di bellezza fino a sentire il bisogno di sospirare. Ama l’arte ai suoi antipodi: sempre con la musica in sottofondo, da Vivaldi a Lady Gaga passando per Queen, Jovanotti, Achille Lauro o Ultimo; perde il fiato davanti alle sculture di Canova, agli stencil di Banksy o alle tele di Perez. Con il cuore diviso tra Abruzzo e nord della Francia, ama viaggiare in treno o in aereo, ma mai senza auricolari o un libro di poesie e una matita tra le mani.