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Il senso della vita attraverso le parole del poeta egiziano Konstantinos Kavafis

Redazione Posted On 11 Aprile 2021
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Konstantinos Kavafis, ultimo di nove figli, nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1863 da agiati commercianti greci originari di Istanbul. Nonostante abbia vissuto a lungo in Inghilterra ed avendo imparato il greco solo da adolescente, il suo senso d’origine è vivissimo nella sua poesia, che contiene riferimenti a personaggi appartenenti alla storia della sua terra natale.

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La sua naturale capacità di comunicazione gli ha consentito di divenire uno dei maggiori autori di sicuro riferimento nella poesia internazionale del Novecento e al tempo stesso un poeta molto amato dal pubblico. L’incertezza del futuro, i piaceri sensuali, il carattere morale e la psicologia degli individui ma anche la nostalgia, sono alcuni dei suoi temi preferiti. Molto ricorrente nei suoi versi è la figura della candela, probabilmente ricondotta alla penombra del suo appartamento ad Alessandria, nel quale a fare compagnia al poeta c’erano solamente candele ed una lampada a petrolio.

Ed è qui che andremo ad inserire la poesia di oggi, intitolata appunto “Candele”, la numero 51 delle 154 facenti parte della sua opera. In realtà alle 154 poesie riconosciute si aggiungono 74 poesie nascoste, per la maggior parte inedite, che Kavafis riteneva di dover conservare “segretamente”, “testi da non pubblicare ma da conservare”, come lui stesso annotava, e 27 poesie tra le prove poetiche più antiche, che aveva poi rifiutato negli anni successivi.

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“Candele” è una poesia che offre spunti di riflessione sul senso della vita. Questo celebre componimento si apre con la descrizione di una fila di candele che stanno davanti a noi e hanno un aspetto rassicurante, sono infatti accese, dorate, calde e vivide e stanno a rappresentare giorni futuri, pieni di speranze, di sogni. Nella seconda strofa l’atmosfera cambia: il poeta ci descrive, infatti, un’altra fila di candele, stavolta, fredde, disfatte e storte, dall’aspetto tutt’altro che rassicurante, di cui alcune fumano ancora perché si sono spente da poco.

Queste candele indicano, invece, i giorni passati. Nella terza strofa c’è la presa di posizione del poeta rispetto all’inevitabile corso della vita. Kavafis, infatti, si rende conto che è sbagliato guardare indietro a quella “penosa riga di candele spente” destinata inevitabilmente ad allungarsi, è sbagliato perché la vita procede solamente in un’unica direzione: quella del futuro. 

“Candele”

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese
dorate, calde, e vivide.
Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine dànno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte.
Non le voglio vedere: m’accora il loro aspetto,
la memoria m’accora del loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.
Non mi voglio voltare, ch’io non scorga, in un brivido,
come s’allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.

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