Eduardo De Filippo e il teatro che “porta alla vita e la vita porta al teatro”
Drammaturgo, regista, attore e poeta napoletano, nato il 24 maggio 1900, Eduardo De Filippo è stato uno dei massimi esponenti della cultura italiana del Novecento. Si distingue per la sua umiltà e per il coraggio nel portare in scena disagio e dolore, elementi in cui, come lui stesso dichiara, si trova la verità della vita.
Fu autore di numerose opere teatrali messe in scena e interpretate da lui stesso e, in seguito da altri, tradotte e rappresentate anche all’estero. Le sue opere, sia quelle in lingua napoletana che quelle in italiano, sono da annoverare tra i “classici” della letteratura e del teatro. Data molto importante nella storia di Eduardo De Filippo è il 1904. Questa data segna la prima apparizione in palcoscenico del piccolo Eduardo, che interpretò un bambino giapponese nell’operetta “La Gheisha”.
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Successivamente, nel 1920 scrisse la sua prima commedia vera e propria “Farmacia di turno”, atto unico dal finale amaro. Nella drammaturgia di Eduardo si è data la maggiore immagine contemporanea di quell’intreccio tra attore, autore e regista. Questo intreccio ha fatto di lui un vero e proprio “personaggio”, che da un lato vedeva nel teatro solidarietà e giustizia e dall’altro la realtà di un mondo dominato dall’egoismo, dall’aggressività, dalla violenza.
Eduardo, dall’animo inquieto, riusciva a trovare nel teatro quella serenità e “serietà” che tanto cercava nel quotidiano. Ha sempre visto nella finzione teatrale una maggiore verità più di quanto riusciva a vedere nella vita, dove spesso gli uomini portano maschere.
Secondo Eduardo De Filippo, gli uomini vengono etichettati in ruoli ben definiti e non portano sul palcoscenico della vita tutte le parti più autentiche del sé. Citava: «I fantasmi non esistono. I fantasmi siamo noi, ridotti così dalla società che ci vuole ambigui, ci vuole lacerati, insieme bugiardi e sinceri, generosi e vili». L’essenza e la profondità di questo meraviglioso uomo di teatro, nonché maestro di vita, è racchiusa nel suo ultimo discorso pubblico del 1984 tenuto al Teatro Antico di Taormina, in cui asseriva: «[…] è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa teatro. Così ho fatto! Ma il cuore ha tremato sempre tutte le sere! E l’ho pagato, anche stasera mi batte il cuore e continuerà a battere anche quando si sarà fermato».
In tutto il teatro di Eduardo De Filippo c’è un profondo amore per Napoli. Una Napoli carica di umanità, impegnata in una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Nelle sue opere osserva e descrive dettagliatamente la società italiana del secondo dopoguerra, dal punto di vista storico e quotidiano e in particolare di Napoli.
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In “Natale in casa Cupiello” vediamo che l’atmosfera e i temi, quali la solitudine, la volontà dell’individuo di reagire all’indifferenza e al male, la sconfitta dell’uomo buono, indicano la vocazione umoristica di Eduardo e anticipano l’amara riflessione sulla vita delle sue opere successive. In “Napoli milionaria” c’è una raffigurazione della povertà materiale e morale della Napoli del dopoguerra, atto di accusa contro la guerra e contro le ricchezze conquistate con il cinico sfruttamento del prossimo.
Famosa la battuta finale «Ha da passa’ a nuttata», un augurio che dopo un periodo buio possa ricominciare per tutta l’umanità una nuova vita basata sulla comprensione reciproca e sull’onestà.
di Teresa Uomo