“The Mistery of Marilyn Monroe: the unheard tapes”: una delusione
Norma Jeane Mortenson Baker, in arte Marilyn Monroe, nasce il 1giugno 1926 a Los Angeles da padre ignoto e madre mentalmente instabile che decide sapientemente di darla in affidamento in cambio di denaro. Ed è da qui che l’inferno della diva di tutti i tempi, l’icona inimitabile di Hollywood, ha inizio.
La piccola Norma Jean viene spedita come un pacchetto postale in più di dieci famiglie affidatarie nelle quali vive di angoscia, segreti, violenze sessuali e speranza nel futuro. Un futuro che si concretizza nella fama a cui tanto ambiva da bambina quando sedeva nei cinema osservando sognante il suo idolo, Jean Harlow. La realtà della Hollywood anni ‘50 è scabrosa e sessista, si parla anche di libri neri che riportano i nomi delle aspirati attrici che tanto piacciono ai produttori. Su quelle righe c’è anche il nome di Marilyn.
Che la bionda di “Quando la moglie va in vacanza” sia un’icona ancora oggi è risaputo, tanto che la stessa Kim Kardashian nei giorni scorsi ha cercato di omaggiarla sul Red Carpet del Met Gala indossando l’abito con cui la attrice triste cantò Happy Birthday a J.F Kennedy il 29 maggio 1962.
La biografia della Monroe è ormai pasto quotidiano, fonte di opinioni scialbe circa la sua depressione, la sua fragilità psichica e i suoi amanti. Molti la emulano, molti la criticano, ma nessuno si impegna a scavare sotto le macerie emotive di una star così controversa e speciale. Si sperava di poter incontrare nell’ultima uscita Netflix “The Mistery of Marilyn Monroe: the unheard tapes” una valida soluzione a quanto affermato precedentemente.
A quanto pare la documentarista Emma Cooper, esperta in True Crime non è una grande fan della Monroe persona ma neanche del mito biondo platino. Il canovaccio del documentario è il libro del 1985 “Goddess: The secret Lives of Marilyn Monroe” del giornalista Anthony Summers. Un’opera straordinaria che ripercorre la vita della diva attraverso centinaia di nastri di interviste, racconti, aneddoti, anche sulle ultime ore della sua esistenza. Un prodotto che non ha riscosso la risonanza che meritava.
Tornando a Netflix, è più che necessario rendere giustizia al montaggio ricco di fotografie dell’epoca, registrazioni e video originali e un buon lip-sync. Purtroppo, quando si lavora in un campo come quello documentaristico l’empatia nei confronti di chi si sta raccontando suggerisce l’esito del prodotto finito. La freddezza delle sequenze temporali, degli avvenimenti biografici di Marilyn è trapelata con netta evidenza. Lo scopo del documentario è quello di scoprire la verità circa la morte della Monroe, archiviata come suicidio e poi ripresa negli anni ’80 quando la puzza di marcio dei cantastorie cominciava a riaffiorare.
Il complotto è il fulcro su cui ruota la sinossi dell’opera guidata dalla ragionevole voce di Summers, l’unico che riesce a parlare con cognizione di causa. Molti i filoni di pensiero che cercano di spiegare la morte prematura dell’attrice e che non credono ad un suicidio lampo: la mafia, i servizi segreti, le relazioni con i fratelli Kennedy, tanto che si dice che sia stata trovata esanime con la cornetta alzata in linea con Bobby. Molte le versioni discontinue, poco credibili e insabbiate. Un mistero che ancora oggi alimenta il mercato editoriale.
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Certo è che il pubblico si aspettava una svolta, una porta aperta alla fine del vicolo cieco in cui è intrappolata la morte di Marilyn da sessant’anni. È un documentario che non aggiunge nulla, di inedito c’è solo il titolo o forse qualche intervista che, però, non contribuisce alla formazione di un’opinione pubblica rinnovata. La dolce Norma Jeane, vittima di una società opprimente, di un destino che lei non aveva scelto, di stereotipi ai quali attenersi per non ricadere nella fame più nera, di uomini padroni, relazioni tossiche dalle quali scappava ricorrendo a quelle sostanze che ne hanno causato la morte. Una donna che non avrebbe esitato un secondo nell’ abbandonare la fama pur di diventare madre. Qui non si tratta di un cliché ma di scelte personali, la Monroe sognava un riscatto emotivo tanto da definirsi una trovatella. Desiderava ardentemente una famiglia, un’appartenenza. Radici che il cinema non poteva darle.
L’esistenza di Marilyn è stata tormentata dalla mancanza di risposte, la sindrome dell’abbandono le ha pregiudicato tutte le scelte di vita. Un segreto svelato dal regista e produttore Francois Pomès nel documentario “Marilyn, her final secret”. Charles Stanley Gifford è senza dubbio papà Monroe.
Il regista, avvalendosi del DNA dei nipoti Gifford ne ha avuto la conferma. Se solo Marilyn potesse vedere quanto le persone l’abbiano compresa e quanto, in questa società non avrebbe dovuto vergognarsi di essere sé stessa. In barba all’imminente messa in onda francese, nelle scorse ore sono spuntate testimonianze interne alla famiglia; Francine Gifford Deir, nipote di Charles, ha sostenuto:
“Alla fine della sua vita, mio nonno aveva raccontato tutto a un ministro presbiteriano, poi aveva scritto a mio padre per dirgli di incontrare questo reverendo. Purtroppo non è mai successo. Mio nonno è morto d’infarto nel 1965. Mio padre ha sempre affermato che la mancanza di una sua confessione sul letto di morte era la prova della falsità delle voci. Ma il dubbio è rimasto. Lui aveva confidato a mio Bryan: dopo la mia morte se vuoi saperlo prendimi i capelli”.
Inoltre, dalle parole della Gifford si scopre che Marilyn fu rifiutata da Charles Stanley Gifford quando cercò di incontrarlo (testimonianza tratta da Il Giorno).
Forse, se le avesse aperto la porta, sarebbe ancora viva. Forse non avrebbe sabotato perennemente sé stessa nel tentativo di punirsi per colpe che non aveva. Forse avrebbe evitato di scegliere uomini uguali al padre che la rinnegò e che poi morì con i rimorsi. I “se” ed i “ma” non permettono di riavvolgere il nastro Monroe ma le restituiscono verità, giustizia e conoscenza.
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Una conoscenza che Norma Jeane merita e che nessun loop di true crime svolto in un modo così cronologicamente sterile potrà mai restituire. Marilyn, cuor di leone e anima di cristallo, forte fenice che tutti raccontano attraverso canzoni e Red Carpet, non è più orfana di attenzioni. Vive nel mito della struggente bellezza fragile e possente. Intramontabile stella biondo platino che ora ride e splende riflettendo le infinite lacrime versate in una società che non l’ha mai capita.