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“Terni 2023, tredicesimo lockdown”: il video ironico contro la mortificazione della cultura

Fabio Iuliano Posted On 21 Marzo 2021
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Lo scenario è quello di Trainspotting e ti sembra di sentire la voce fuori campo di Marc Renton che dice: “Ci saremmo sparati anche l’AstraZeneca se l’avessero dichiarata illegale”. Ma qui non c’è nessuna sostanza chimica da spacciare, solo libri e performance: i ragazzi lasciati senza cultura, cinema e teatro cercano disperatamente di riemergere dal vuoto in cui sono precipitati.

L’idea arriva dalla Francia, ma le scene sono state riadattate e, tra una battuta e l’altra, fa breccia anche un po’ di dialetto umbro, con tanto di sottotitoli. Il cortometraggio è rimbalzato sui social nel giro di pochi giorni.

“L’idea che vogliamo trasmettere è l’importanza della cultura nelle nostre vite, che si tratti di musica, teatri, biblioteche o altro, insomma dell’arte in generale” hanno spiegato i protagonisti Edoardo Fucile, Alessandro Barzetta ed Elisa Gabrielli a Umbria On. 

Tematiche che la nostra testata ha portato avanti anche attraverso il libro “Black out, dietro le quinte del lockdown”

Pasolini si era trovato ad accostare droga e cultura: “La droga – aveva scritto – è sempre un surrogato. E precisamente un surrogato della cultura. Detta così la cosa è certo troppo lineare, semplice e anche generica. Ma le complicazioni realizzanti vengono quando si esaminano le cose da vicino. A un livello medio – riguardante “tanti” – la droga viene a riempire un vuoto causato appunto dal desiderio di morte e che è dunque un vuoto di cultura. Per amare la cultura occorre una forte vitalità. Perchè la cultura – in senso specifico o, meglio, classista – è un possesso: e niente necessita di una più accanita e matta energia che il desiderio di possesso. Chi non ha neanche in minima dose questa energia, rinuncia”.

“E poiché in genere, a causa dei suoi traumi e della sua sensibilità si tratta di un individuo destinato alla cultura specifica, dell’élite, ecco che si apre intorno a lui quel vuoto culturale da lui del resto disperatamente voluto (per poter morire): vuoto che egli riempie col surrogato della droga. L’effetto della droga, poi, mima il sapere razionale attraverso un’esperienza, per così dire, aberrante ma, in qualche modo, omologa ad esso. Anche a un livello più alto si verifica qualcosa di simile: ci sono dei letterati e degli artisti che si drogano. Perchè lo fanno? Anch’essi, credo, per riempire un vuoto: ma stavolta si tratta non semplicemente di un vuoto di cultura, bensì di un vuoto di necessità e di immaginazione. La droga in tal caso serve a sostituire la grazia con la disperazione, lo stile con la maniera”.

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