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Senjutsu è un capolavoro: gli Iron Maiden non deludono i sei anni di attesa

Marta Scamozzi Posted On 3 Settembre 2021
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Non è possibile.

Non è possibile  che una band di sessantenni con quarant’anni di esperienza musicale alle spalle scriva un album come Senjutsu, dopo sei anni di silenzio. Gli Iron Maiden erano riusciti ad ingannare i fan più attenti, scegliendo come primo singolo un filler come “The Writing On The Wall”. Tutto considerato, l’alone che circondava l’album era intriso di scetticismo. 

Invece, non ci si riesce a liberare dalla sensazione di trovarsi davanti ad un capolavoro. Questo è, di per sé,  sorprendente: il declino creativo, dopo una certa età, è naturale. La fantasia si esaurisce. Si finisce col diventare la brutta copia di se stessi o, nel caso migliore, con l’avventurarsi in territori poco conosciuti, per cui si è poco preparati. 

Con The Final Frontier e The Book Of Soul, d’altra parte, era quasi successo: gli Iron Maiden si erano progressivamente allontanati dalla loro anima heavy metal sperimentando sonorità che vertevano verso il prog. La scelta funzionava, ma la mancanza dell’impronta epica e decisa degli anni ottanta si sentiva. 

Senjutsu  prende le sonorità prog degli anni precedenti e le mescola sapientemente con le melodie morbide degli anni novanta, condendo il tutto con le cavalcate di Powerslave. Tutto ciò, senza risultare troppo ruffiano. 

L’ultima fatica in studio della Vergine di Ferro  è un concept sulla guerra in tutte le sue sfaccettature: ci si trova nella confusione di una battaglia nella titletrack in apertura, si vive la tristezza di un impero caduto in “The Writing On The Wall”, ci si scontra con l’amarezza della guerra santa in “Days Of Future Past”, si vive il dramma dei padri che perdono i figli in “The Darkest Hour” e si respira la lotta per la libertá in “Death Of The Celts”. 

La guerra viene descritta minuziosamente, sia con la musica che con le parole: trapelano rabbia, nostalgia, speranza, perdita, ambizione e solitudine. I testi vengono sottolineati da linee melodiche poco coprenti, dove le chitarre passano spesso in secondo piano e accompagnano il racconto con discrezione. L’atmosfera é intensa, anche grazie alla diffusione di elementi sinfonici in sottofondo. 

Senjutsu cattura l’ascoltatore giá dalla titletrack; un pezzo cupo, alla “Chemical Wedding”, aperto dal battito deciso di Niko Mc Brain  che avanza  in un crescendo continuo, esplodendo sul ritornello. La titletrack non è altro che   la prima di numerose perle: si va da “Lost In A Lost World´”, un pezzo dalle sonorità un po’ troppo prog che però vanta un’introduzione in acustico magnifica, all’incredibile “The Time Machine”, forse il melting pot di generi musicali più azzeccato nella storia degli Iron Maiden. Tra i pezzi migliori dell’album vi è “Death Of The Celts”, che teletrasporta l’ascoltatore nel mezzo delle Highlands con le sue sonorità folk. La canzone é un misto tra The Clasman, i Tool, e una boiler room di Nicholas Jaar: un  mix talmente assurdo da risultare perfetto. 

Senjutsu é molto di piú di un album ben riuscito: è lo strabilante riepilogo della lunga carriera gloriosa della band britannica, e funziona sorprendentemente bene. Dopo quarantacinque anni, gli Iron Maiden riescono ancora ad evitare di invecchiare, scegliendo sempre di rinnovarsi e maturare. 

Si tratta sicuramente di un lavoro che merita più ascolti. Non perché ha bisogno di essere assimilato per essere compreso, ma perché è difficile non esserne ossessionati dopo il primo. 

Sarebbe stato interessate, per una volta,  scrivere la recensione di un album degli Iron Maiden di bassa qualità. E invece, non è questo il giorno.

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