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Home » Cinema Speciali

Mishima e il topos sadomasochistico misogino dello Specchio-donna

Redazione Posted On 27 Novembre 2023
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YUKIO MISHIMA e il topos sadomasochistico dello Specchio è (anche) il concept del secondo segmento del film Mishima: A Life in Four Chapters (P. Schrader, Japan – USA 1985). Intorno al minuto 41, S. Karasuma dice «I’ll be your mirror» («sarò il tuo specchio») mentre riflette se stessa nello specchio che poggia sul viso di K. Sawada. Il viso del ragazzo si rivela così essere per metà quello della ragazza. Subito dopo, durante una danza omoerotica maschile, la voice over spiega che lo specchio è, sia per l’attore che recita la sua mascherata sia per l’omosessuale, riflesso di disfacimento del corpo. Dunque donna, uomo in mascherata, specchio, morte. Lawrence Mass dice in intervista a Schrader che si tratta, al contempo, di misoginia, omosessualità e omofobia introiettata.

E’ indubbio che la scena dello specchio qui descritta citi il film Performance (D. Cammell & N. Roeg, UK 1970), in Italia ribattezzato Sadismo, che vedeva il protagonista James Fox, femminilizzato da Anita Pallenberg, assorbirne il riflesso come contagio e rivelazione per fondersi nel mito dell’androginia platonica e freudiana (pulsione di morte) del suo Doppio ipersessualizzato Mick Jagger.

Leggi anche: Sinistra-Dio-Patria-“Padre padrone”: l’utopia di Rossellini nella bi-logica dei Taviani

Tutto questo porterà a una celebre scena del film musical Hedwig la diva con qualcosa in più (Hedwig and the Angry Inch, J. C. Mitchell, USA 2001), dove, con scambio dei ruoli, è l’androgino maschile Michael Pitt (che, 2 anni dopo, sarà l’androgino nudo concupito da L. Garrel in The Dreamers, sempre davanti allo specchio) a rivelarsi nella protagonista Hedwig che, man mano, ripudierà tutta la sua femminilità per tornare uomo (con molta omofobia introiettata e misoginia che non sono nella Judith Butler del 1993 che pur corregge se stessa sul corpo come sola mascherata). Non è un caso che Hedwig inneggi alla fine del film (e del musical) alla cantante Nico e identifichi il proprio nome con quello di Nico in un amore-specchio autodistruttivo e distruttivo, che, visivamente, viene da Warhol.

Infatti, il riquadro destro del primo episodio di The Chelsea Girls (Warhol, USA 1966) per oltre dieci minuti si diverte a riprendere, riflessa nello specchio che emette luci che offendono/minacciano la cinepresa, Nico che non solo si sta specchiando, ma regge in mano delle gigantesche forbici, strumento palese di castrazione cui la cinepresa si oppone percorrendo il corpo di Nico verticalmente, più e più volte, come a tagliarla, ad ucciderla. Ricordiamo che, all’opposto di quanto riteneva Laura Mulvey che non aveva ancora letto di prima mano Lacan, lo sguardo non è solo maschile, è originariamente femminile ed è reciproca castrazione della Medusa Perturbante, anche e soprattutto da morta, testa mozzata castrata: per questo, come ci fa capire Lacan, Le serve Papin non solo uccisero la figlia di Madame ma le cavarono un occhio. Nico era già nota ai tempi per le sue posizioni violentemente misogine, razziste, antisemite e pangermaniste, ed era stata dipinta in La dolce vita (Fellini, Italia 1960) come parodica «eschimmmmeseeee» e «puttana», accanto a Laura Betti «un mostro!», in una narrazione che finiva con Mastroianni presentato in rima visiva (i colori dell’abito, il trucco) identico al transgender Giò Stajano, inventore della personaggia nella Fontana di Trevi.

Nello stesso 1966 di The Chelsea Girls, la voce di Nico cantava I’ll be your mirror per i The Velvet Underground, cioè per una banana, cosa che facilmente era riportabile all’androginia divistica di Lou Reed (che le fagocitò totalmente la carriera) e di Warhol, che si conciava come lei (persino la frangetta è di Nico e si fotografava ripetutamente come suo speculare) in quella adorazione feticistica che è furto e (auto)disprezzo al contempo. 

La fine della carriera di Nico, che si rispecchiava nel perduto Jim Morrison, fu una caduta nella morte dopo essersi guardata allo specchio, così narra il figlio; e lo fu, nell’omofobia introiettata, anche buona parte della vita di James Fox dopo Sadismo. Quel segmento di Schrader su Mishima e lo Specchio credo cerchi di dire qualcosa di simile.

Nico castratrice in The Chelsea Girls (1966): fotogramma a 10m 39s (ritaglio)
Nico come riflesso minaccioso in The Chelsea Girls: fotogramma a 7m 4s (ritaglio)
Anita Pallenberg ritratta da M. Cooper 1967 nella posa che era stata di Nico
Anita Pallenberg come riflesso di James Fox in Performance (1970): fotogramma a 1h 22m 28s
S. Karasuma come riflesso di K. Sawada in Mishima: a Life in Four Chapters (1985): fotogramma a 41 m 58s
Michael Pitt come riflesso di J. C. Mitchell in Hedwig la diva con qualcosa in più (2001): fotogramma a 1h 1m 44s

Articolo di: Adriano Emi

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