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Danny Trejo: tra galera e cinema, la star di Machete pubblica la sua autobiografia

Malaika Sanguanini Posted On 10 Luglio 2021
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“Trejo: My Life of Crime, Redemption, and Hollywood“. Questo è il titolo del libro scritto dall’attore messicano Danny Trejo, uscito lo scorso 6 luglio 2021.

Leggendario protagonista del cinema action hollywoodiano, da “A prova di proiettile” (1988) a “Machete” (2010), all’alba dei 76 anni, l’attore decide di raccontarsi attraverso quello che è, a tutti gli effetti, un libro di memorie.

Una vita non facile quella di Danny Trejo, segnata da droga, crimini e galera. Fino alla disintossicazione iniziate mentre era un detenuto della prigione di San Quentin (California) e all’inserimento nel mondo della box, di cui fu campione all’interno della prigione. E poi… il cinema.

Leggi anche: ““9/11: Inside the President’s War Room”, l’attentato dal punto di vista del Presidente”

Notato dal regista Andrej Končalovskij che gli diede la parte di un pugile nel film “A 30 secondi dalla fine” (1985), l’attore, da quel momento, imboccò una strada diversa, nuova e si lasciò alle spalle la vecchia vita per iniziarne una nuova. Una redenzione avvenuta grazie al cinema.

A 76 anni, questa autobiografia è l’opportunità per me di essere intrepidamente onesto per la prima volta sulla terrificante brutalità delle mie esperienze nelle più dure carceri del mondo. I segreti di famiglia che hanno distrutto vite. La volta che toccai il fondo in isolamento a Soledad con davanti una possibile condanna a morte. Il ruolo che Dio ebbe nel cambiarmi la vita. La mia carriera da attore che iniziò alla vigilia dei 40 anni, semplicemente presentandomi su un set per aiutare un altro tossicodipendente che aveva bisogno di aiuto. E come tutto ciò ha dato forma alla persona che sono.

L’INCONTRO CON CHARLES MANSON

In “Trejo: My Life of Crime, Redemption, and Hollywood“, Danny Trejo racconta esperienze, vissuti e incontri avvenuti nelle varie carceri in cui ha risieduto. Nel 1961, nella prigione di Los Angeles, l’attore si trovò a condividere la stanza con Charles Manson, la famosa rockstar mancata e mandante dell’omicidio di Cielo Drive avvenuto nel 1969, in cui persa la vita Sharon Tate, quasi prossima al parto e moglie del regista polacco Roman Polanski.

L’attore, nel suo libro, racconta di essere rimasto incredulo e senza parole quando scoprì che quell’uomo, con il quale aveva condiviso la cella qualche anno prima, era il responsabile di uno degli omicidi più brutali che Hollywood abbia mai visto.

Mentre aspettavo di essere spedito a Tracy, c’era un ragazzo bianco unto, sporco e magro. Era così povero che non aveva neanche una cintura e usava un pezzo di spago per tenere su i pantaloni. Mi dispiaceva per lui. Era chiaro che l’unica doccia che avrebbe mai fatto era quella fatta in prigione.

Eravamo in tre nella nostra cella , Johnny Ronnie, Tacho e io, così gli abbiamo detto che poteva pulire per noi e lo avremmo tenuto d’occhio. Non poteva dormire nella nostra cella, ma l’abbiamo lasciato dormire appena fuori così la gente sapeva che lo tenevamo d’occhio. Racconta Danny Trejo, che continua:

Era un metro e ottanta, piccolo imbranato, ma furbo. Non era un prepotente. Non era un delinquente. Ma conosceva il gergo della prigione. Pensava di essere furbo. Quando ho sentito degli omicidi, ho pensato :”Apetta un minuto, quel ragazzo? Stai scherzando?“

L’attore racconta che Manson sosteneva di avere poteri ipnotici. D’altronde, quanto quest’ultimo fosse bravo a convincere e a manipolare persone fragili, sole e facilmente influenzabili è ben noto.

Tutto il resto è storia…

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