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Home Attualità Chiara Francini a Sanremo: penso di essere una “donna di merda” –...

Chiara Francini a Sanremo: penso di essere una “donna di merda” – testo integrale

Di
Sara Paneccasio
-
11 Febbraio 2023

Nella quarta serata di Sanremo, al fianco di Amadeus e Gianni Morandi arriva Chiara Francini con la sua eleganza sdrammatizzata dalla sua fragorosa risata e genuina comicità.

Per ben due volte l’orchestra suona a vuoto aspettando la discesa della scalinata della Francini che resta seduta in platea e commenta: “Signor Ama mi godo il festival da qui perché siete bravi e io sono una ragazza di provincia: io all’umiltà non ci rinuncio, no” Dopo l’annuncio fondamentale “Mamma puoi iniziare a registrare da ora“, Chiara Francini si dice pronta a posare il cappottino ma non la borsetta, seguendo i consigli di Nonna Orlanda Furiosa. Dopo un ingresso da gran diva sempre sdrammatizzando, racconta in canzone la convocazione del Signor Ama a cui continua a dare del Lei per rispetto delle gerarchie. “Mi hai strappato dalla comodità del mio divano per realizzare il mio più grande sogno” commenta la Francini.

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In tardissima serata (alle due meno venti) finalmente alla co-conduttrice viene lasciato lo spazio per l’ormai tradizionale monologo. Un discorso così sincero da far venire i brividi: Chiara Francini porta sul palco del Teatro Ariston tutti i dilemmi della maternità mancata (finora).

Il testo integrale:

“Arriva un momento della vita in cui è chiaro che sei diventato grande: quando hai un figlio. Ora, io un figlio non ce l’ho però credo che sia una di quelle cose dopo la quale è chiaro che non potrai essere più giovane come quando avevi sedici anni, con il liceo, la discoteca e il motorino.

E c’è un momento in cui tutti intorno a te cominciano a figliare: una valanga. Ma inizia sempre da una che lo sapevi che sarebbe diventata mamma prima di tutte. Nel mio caso, la Lucia. C’è stato un giorno, dopo qualche anno dalla fine del liceo, che la Lucia mi aveva chiesto di vederci: era pomeriggio, eravamo al bar della piscina e lei mi guardava tutta emozionata – io anche un po’ perplessa di tutto questo entusiasmo. Stava lì e non diceva nulla. E poi ad un certo punto con una faccia che non le avevo mai visto mi fa Oddio finalmente te lo posso dire sono incinta!

Incinta. Quando qualcuno ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, non sai mai che faccia fare. Quando qualcuno ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, c’è qualcosa che ti esplode dentro: una specie di buco in mezzo agli organi vitali. E mentre accade tutto questo, tu devi festeggiare. Perché la gente incinta è violenta e vuole soltanto essere festeggiata. E non c’è spazio per la tua paura, per la tua solitudine. Tu devi festeggiare.

Come l’albero di Natale che tengo nel mio salotto: un albero di Natale sempre acceso, un albero di Natale assolutamente insensato che continua ad accendere le sue lucine anche a luglio, fuori tempo massimo. Una festa continua senza nessuna natività. E io ho festeggiato: Ma dai Lucia ma è stupendo! E poi non sapevo più che cosa dire. E quello era soltanto l’inizio perché di lì a poco mi pareva che tutti intorno a me avessero avuto, stessero avendo o avrebbero avuto un figlio. Passeggini. Passeggini ovunque. Un esercito di donne con i capelli corti e di maschi stempiati con la panza che spingono passeggini con dentro neonati mostruosi e pieni d’amore.

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E io? E io che continuavo a fare le mie cose sempre meglio, con sempre più persone che mi guardavano e mi amavano. E poi.. E poi io ad un certo punto mi sono accorta che, se non mi sbrigavo, io forse un figlio non ce l’avrei mai avuto. E che, anche se mi sbrigavo, poi non era mica detto perché, anche quando ti decidi, poi magari il corpo ti fa il dito medio. E allora tu pensi di aver aspettato troppo, di essere una fallita.

La parte più difficile di fare un figlio è immaginarselo, immaginarsi come sarà. E se poi fa delle cose che io non condivido? E se poi viene troppo diverso da me? Beh, nel mio caso di sicuro verrà diverso da me. Ma io vorrei sapere come faccio con te, bambino? Ancora non sei nato, ancora non so neanche se riesco a farti nascere e già non ci capiamo? Io te lo dico eh: avere una mamma come me ti creerà soltanto un sacco di problemi.

Io so e quasi spero che se sarai maschio sarai gay. E io t’amerò senza una fine. Però forse preferirei che non lo fossi perché per te sarà più difficile e io vorrei che per te fosse facile. Ti prego vienimi su brillante, con la battuta pronta. Odia, odia, odia ciò che deve odiare. Odia l’ingiusto, odia il male è soltanto con quell’odio lì che si fanno le cose. Non è vero che si fanno con l’amore. Sì, con l’amore si fanno certe cose, ma il vero osso si fa con quell’odio lì. Profondo, viscerale, instancabile.

Ti prego non essere una di quelle creature troppo buone perché se no dovrei passare tutta la tua vita a difenderti e c’è il caso che tu venga una creatura meno capace di guardare, meno capace di camminare. Io vorrei fare come la mia mamma che non mi ha mai preso nel suo lettone: piangerai nel tuo letto. Devo essere abbastanza forte da lasciarti piangere. Non devo essere debole.

Ma lo vedi come parlo? Come se tutto dipendesse da me. Come se tu non esistessi ancor prima di esistere. Io da qualche parte penso di essere una donna di merda. Perché non so cucinare. Perché non mi sono mai sposata. E perché non ho avuto figli. Io lo so che razionalmente non è così però c’è questa voce. Esiste. E io alla fine penso che abbia ragione lei, che io sia sbagliata.

E io già lo so, bambino, tu mi porterai via tutta la creatività, tutta la luce. Ci sarai soltanto tu al centro della scena e io sarò una semplice comparsa. E poi diventerò grande. E poi diventerò vecchia. E non potrò più far finta che il tempo non stia passando perché ci sarai tu a ricordarmi in ogni momento a ricordarmi che la mia gioventù è finita. E io penso che mi farai così felice che poi non mi farai così felice. Perché è così che vanno le cose della vita: non sono mai come te le eri aspettate. E io t’aspetto e ti desidero così tanto che sarai per forza una delusione.

Ma come parlo? Ma che mamma sono? No, ancora non sono una mamma. Ma quanto m’è costato diventare come sono? E quanto costerà a te? E in mezzo a tutto questo bisogno di arrivare, in mezzo a questo amore, a questa vita, io forse non so più dove metterti. O forse penso che sei tu che non vuoi venire da me perché pensi che io mi sia dimenticata di te, che io mi sia dimenticata della vita. Ma io volevo soltanto essere brava. Io volevo soltanto essere preparata. Io volevo soltanto che tu fossi fiero di me. Anche se ancora non ci sei.

Forse perché ci sei sempre stato.”

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    Sara Paneccasio
    Classe 2001 e studentessa di “Letteratura Musica Spettacolo” in Sapienza. Alla continua ricerca di meraviglia, di entusiasmo e di un significato in ogni cosa. Le piace lasciarsi attraversare dalle emozioni davanti ad un film, a una poesia o ad un’opera d’arte, riempire i polmoni di bellezza fino a sentire il bisogno di sospirare. Ama l’arte ai suoi antipodi: sempre con la musica in sottofondo, da Vivaldi a Lady Gaga passando per Queen, Jovanotti, Achille Lauro o Ultimo; perde il fiato davanti alle sculture di Canova, agli stencil di Banksy o alle tele di Perez. Con il cuore diviso tra Abruzzo e nord della Francia, ama viaggiare in treno o in aereo, ma mai senza auricolari o un libro di poesie e una matita tra le mani.

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