Arthur Miller, l’eleganza della drammaturgia americana

Foto di Adilson Casarotti su Unsplash

Arthur Miller: inconfondibili occhiali dalla montatura spessa, sorriso sornione, impeccabile eleganza.

La sua figura è impressa nell’immaginario collettivo soprattutto per il breve e travagliato matrimonio con Marilyn Monroe, tuttavia il suo genio artistico ha rivoluzionato teatro e cinema, influenzando ancora oggi la drammaturgia mondiale del XX secolo.

Da umile garzone a drammaturgo di successo

Arthur Asher Miller nasce a New York il 17 ottobre 1915 da una famiglia ebrea benestante, secondo di tre figli. Il padre Isidore confeziona abiti da donna, mentre la madre Augusta è casalinga.

La Grande Depressione del 1929 costringe la famiglia a trasferirsi a Brooklyn e a vivere in ristrettezze economiche. Il giovane Arthur offre immediatamente il suo contributo attraverso lavori umili, come quello di consegnare il pane ogni mattina prima di andare a scuola.  

Ottiene il diploma nel 1932 alla Abraham Lincoln High School, ma impiega quasi due anni ad accedere all’Università del Michigan a causa del crescente clima antisemita. Inizialmente iscritto al corso di laurea in giornalismo, si orienta poi verso studi storici ed economici che lo avvicinano ai socialisti, e alle idee anticapitaliste.

L’ambiente universitario e l’impiego da sceneggiatore radiofonico per la CBS, gli consentono di approfondire la tecnica drammaturgica e di acquisire fama a livello locale.

Nel 1944, debutta a Broadway con The Man Who Had All the Luck (L’uomo che aveva tutte le fortune), tuttavia il vero successo giunge nel 1946 con All My Sons (Erano tutti miei figli), pièce teatrale ambientata nella drammatica atmosfera della seconda guerra mondiale che gli garantisce ben 328 repliche consecutive dal momento dell’uscita.

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Morte di un commesso viaggiatore

Considerato il capolavoro assoluto di Miller, Death of a Salesman (Morte di un commesso viaggiatore) opera teatrale del 1949, propone le vicende di Willy Loman, un commesso viaggiatore tormentato dal suo passato.

Privato a poco a poco della stima della famiglia che non crede più nelle sue capacità, l’uomo si allontana da casa deciso a compiere un gesto estremo; spera in tal modo di riscattare almeno i soldi dell’assicurazione e di garantire ai figli l’esistenza che desiderano.

Una tragedia che tocca temi profondi della società statunitense del dopoguerra quali il conflitto familiare, la responsabilità individuale, il sogno americano.

Poco dopo l’uscita, Death of a Salesman vince il Premio Pulitzer, il Drama Critics Circle Award e il Tony Award, rendendo Arthur Miller il primo drammaturgo meritevole di tutti e tre i prestigiosi riconoscimenti per un’unica opera teatrale.

Tale famosa tragedia viene considerata, infatti, una vera e propria pietra miliare del teatro americano contemporaneo, fonte di varie trasposizioni cinematografiche.

Si pensi all’omonima pellicola interpretata da Fredric March nel 1951, alla magistrale interpretazione di Dustin Hoffman nel 1985 e al più recente lungometraggio Il cliente, ispirato al personaggio di Willy Loman, che ha ottenuto il Premio Oscar come miglior film straniero nel 2017.

Altre opere teatrali e cinematografiche

Nel 1953 Miller porta in scena un altro piccolo gioiello della drammaturgia, The crucible (Il crogiolo), la cui trama si focalizza sui processi per stregoneria tenutisi alla fine del Seicento a Salem, nel Massachusetts, e che si pone come malcelata allegoria della “caccia alle streghe” dell’America maccartista.

Il matrimonio con la star di Hollywood, Marilyn Monroe lo spinge a cimentarsi con il mondo del cinema e per la celebre moglie sceneggia i film ‘Facciamo l’amore’ (1960) e ‘The Misfits’ (Gli spostati, 1961).

Dopo circa quattro anni tuttavia i due divorziano e Miller torna alla sua passione più grande: il teatro.  Tra le pièce più recenti troviamo The Ride Down Mount Morgan (La discesa da Mount Morgan, 1991) e Mr. Peter’s Connections (Il mondo di Mr. Peters, 1998).

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Il grande artista passa a miglior vita il 10 Febbraio 2005 nel suo ranch di Roxbury in Connecticut, ma lascia ai posteri numerosi racconti e anche un’autobiografia, tracce inconfondibili del suo talento e del suo impegno sociale nel sottolineare fragilità e contraddizioni della società contemporanea.

Una dedizione questa, certamente non risolutiva ma fondamentale ancora oggi per spingere la collettività alla riflessione e all’autoanalisi.

Del resto, con quel pizzico di ironia e sereno cinismo che lo caratterizzava, soleva dire: “Forse tutto ciò che uno può fare è sperare di arrivare alla fine con i giusti rimpianti”.

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Nata a L’Aquila nel 1985, Francesca Massaro consegue la laurea magistrale in Storia dell’Arte nel 2011. Nel 2016 scrive il catalogo della mostra Babele e inizia rapporti di consulenza e critica artistica per artisti aquilani e abruzzesi. Nel 2020 vince il premio letterario Fëdor Dostoevskij- sezione narrativa. Attualmente redige articoli per riviste e siti web del settore e coltiva la sua passione per la scrittura creativa.