Laika, il messaggio oltre i poster rimossi
“In poco più di 48 ore sono stati rimossi due miei poster: uno contro la mafia, l’altro a sostegno delle donne afghane. Ho sempre detto che lascio alla strada il compito di decidere la sorte delle mie opere ma questo è un vero e proprio atto deliberato di censura”. Così la street-artist Laika commenta all’agenzia Dire la notizia della cancellazione di “Zapatos rojos, save Afghan women”, che aveva realizzato lungo la via Nomentana, all’angolo con via Carlo Fea e in prossimità dell’Ambasciata afghana in solidarietà con le donne colpite da divieti e prassi oscurantiste da parte dei talebani.
“La donna afghana con le scarpe rosse – continua l’artista romana- era lì per denunciare le terribili condizioni di vita imposte alle donne dal regime dei talebani. In Afghanistan se sei donna non puoi andare a scuola, non puoi lavorare, devi mettere il burqa ogni volta che esci di casa, devi essere sempre accompagnata da un Mahram”, il tutore uomo. In Afghanistan, prosegue la street-artist, “gli arresti, le violenze, le sparizioni forzate e le torture nei confronti delle donne aumentano sempre di più… ora mi chiedo, era proprio necessario censurare un poster che denunciava tutto questo?”.
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Il murale sulla mafia a cui fa riferimento Laika era invece quello dal titolo “Mafia sucks” (la mafia fa schifo”, a pochi metri dal carcere in località Costarelle di Preturo (L’Aquila) dove è rinchiuso Matteo Messina Denaro, il boss arrestato dopo trent’anni di latitanza. L’opera ritraeva il piccolo Giuseppe Di Matteo sul suo cavallo che sembrava festeggiare la cattura del boss, accusato di aver ordinato la sua morte. Il bambino era figlio del collaboratore di giustizia Santino, e venne ucciso nel 1996 e sciolto nell’acido.
Riproduzioni in stampa dello stesso disegno sono state distribuite all’Aquila, in solidarietà all’artista, in occasione della presentazione del libro di Claudia Conte sulla criminalità organizzata dal titolo “La legge del cuore. Storia di assassini, vigliacchi ed eroi”.
Nel 2020 invece, a soli tre giorni dalla sua comparsa, venne cancellato ancora a Roma il murale di denuncia accanto all’Ambasciata dell’Egitto in cui figurava il ricercatore egiziano dell’università di Bologna Patrick Zaki, stretto nell’abbraccio di Giulio Regeni, altro ricercatore invece ucciso nel 2016 presumibilmente dall’intelligence egiziana. A Zaki, che era stato arrestato solo pochi giorni prima, Regeni diceva: “Andrà tutto bene”.