Live Report. Zucchero incendia il Circo Massimo: blues, poesia e peccato

Il Circo Massimo ha questa strana magia: anche se è tra le più grandi location per live in tutta Europa, nelle giuste condizioni e con le giuste atmosfere diventa un luogo realmente intimo, come una sorta di salotto sotto le stelle del cielo della Città Eterna. E se poi, sul palco, c’è un artista che ha fatto del peccato, della poesia e della libidine il suo marchio di fabbrica, la magia è altresì assicurata. Come nel caso di Zucchero che, nei due concerti romani dell’”Overdose d’Amore World Tour“, ha incantato il pubblico presente con delle setlist celebrative dei suoi settant’anni e dell’attitudine blues che da sempre contraddistingue la sua proposta musicale. Per due serate, in quelle che lui stesso ha definito “notti magiche”, si è capito ancora una volta perché Adelmo Fornaciari a distanza di tutti questi anni resti ancora tra le punte di diamante della musica tricolore.
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Lo spettacolo si apre in silenzio, con le parole di Pessoa battute a macchina sul maxischermo:
Il poeta è un fingitore. Finge così completamente che arriva a fingere che è dolore il dolore che davvero sente.
Un’introduzione che vale come manifesto: il blues di Zucchero non è solo estetica, ma anima distillata, vecchia e nuova insieme, come il “vecchio blues di un altro mondo” che echeggia dalle prime note.
La setlist proposta è un viaggio trasversale e completo attraverso il suo repertorio e si passa così dalla sensualità sfrontata di “Baila (Sexy Thing)” al groove travolgente di “Vedo nero“, passando per il romanticismo nostalgico e senza tempo di “Diamante“, dedicata alla nonna e cantata da tutto il pubblico in un unico abbraccio corale. Non mancano i momenti di energia pura con “Diavolo in me” e “Partigiano Reggiano“, che resistono agli anni come inni generazionali. In “La canzone che se ne va“, la voce si fa carezza, sospesa tra soul e magia, mentre “Così celeste” riporta il Circo Massimo in una dimensione quasi mistica amplificata dal coro gospel. E poi, ancora, da “Soul Mama” a “Menta e Rosmarino“, passando per “Blu”e “Overdose (d’amore)“: ogni canzone è un pezzo di vita, di Zucchero e di chi l’ascolta.
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Per gran parte del concerto Zucchero non parla, lasciando che sia la musica a raccontarlo. Poi, quando finalmente prende la parola, lo fa con un’irruenza lucida, affilata e senza freni: “Io parlo poco, preferisco ascoltare, perché ultimamente ci sono tante di quelle cagate in giro […], non posso però fare finta di niente. Voglio solo dire una cosa: chi ammazza i bambini è una vera testa di caz*o”. Un fendente che colpisce dritto perché senza retorica.
Roma – “terra di strimpellatori“, come la chiama il cantante – lo accoglie come un figlio. Mentre Zucchero canticchia “Trilussa“, inneggia a un ritorno nei borghi e fa sventolare idealmente il grido proiettato sullo schermo: “Fuck le système” e poi “Free Palestine”. È un artista che ancora brucia e che in due serate ha incendiato tutto. “The night is on fire”, cantava e davvero lo era: tra gospel, soul, rock e quel blues che – come lui stesso urla nel finale – “non morirà mai”.
Il concerto di Zucchero è anche anche un’esplorazione globale della musica internazionale: la sua band riunisce talenti da tutto il mondo, da Cuba al Cameroon, dalla Jamaica al Regno Unito, passando per gli Usa. Tra innumerevoli strumenti spicca il portento vocale della corista Oma Jali, che con una voce divina e un’energia esplosiva conquista e stupisce il pubblico omaggiando Tina Turner e i Rolling Stones.
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Il momento più potente arriva quando un coro gospel entra dalla platea per “Overdose d’amore”, in una liturgia corale che unisce ineguagliabilmente sacro e profano. Non mancano gli ospiti: a Roma torna Massimo Decimo, alias Russell Crowe, omaggiato tra gli applausi, per cantare la loro “Just Breathe“. Zucchero duetta poi con il ricordo di Luciano Pavarotti sulle note di “Miserere“: la standing ovation è istintiva, quasi inevitabile.
Nel bis, con voce roca e occhi lucidi, ringrazia il pubblico e si lascia andare alle emozioni cantando “Chocabeck” e raccontando come quell’espressione lo riporti all’infanzia e ai suoni indimenticati dell’Emilia. Dopo tre lunghe ore di concerto, la voce di Zucchero saluta così:
Il blues non morirà mai. A buon rendere