Tra storia e ballata: Molly Malone, il volto popolare di Dublino
C’è un momento, passeggiando per Dublino nelle prime ore del mattino, in cui la nebbia sembra trattenere i passi e le voci. Le vetrine di Grafton Street sono ancora coperte di condensa, e in quell’aria lattiginosa si potrebbe giurare di udire un richiamo lontano: “Cockles and mussels, alive, alive, oh!” — vongole e cozze vive, vive, oh!. È allora che la leggenda prende corpo. È allora che, tra le pieghe del mito e del ricordo, ritorna la figura di Molly Malone, la ragazza più amata e, forse, più fraintesa della storia d’Irlanda.
L’Irlanda è una terra dove il mito non è mai del tutto tramontato. I suoi racconti popolari pullulano di fate benevole e spiriti vendicativi, di guerrieri e di donne immortali che piangono nelle notti di tempesta. Ogni valle, ogni collina, ogni casa abbandonata sembra custodire una presenza invisibile. Ma Dublino, la città moderna per eccellenza, ha un fantasma tutto suo. Non un re e neanche una santa, bensì una pescivendola di strada. Una ragazza del popolo che il destino e la fantasia collettiva hanno trasformato in simbolo eterno.
La leggenda narra che Molly Malone vivesse nel XVII secolo. Di giorno, vendeva molluschi lungo le strade affollate della capitale, spingendo un carretto tra le vie lastricate, mentre di notte, si dice, offrisse i propri servigi a chi poteva permetterseli. Era povera, bella, e come molte donne del suo tempo, sola. Morì giovane, forse di febbre tifoide, forse di malaria, e la sua storia si spense con la stessa rapidità con cui era cominciata.
Ma a Dublino, dove i morti non se ne vanno mai davvero, le voci diventano canzoni, e le canzoni diventano memoria. Nel 1884, un compositore scozzese di nome James Yorkston pubblicò una canzone destinata a entrare nel mito: “Sweet Molly Malone“. La melodia era semplice, malinconica, irresistibilmente popolare. Parlava di una giovane pescivendola che camminava per Dublino gridando “Cockles and mussels, alive, alive, oh!”, finché la morte non la portava via.
Non era un lamento, bensì un omaggio. Già, la celebrazione di una donna umile e del suo lavoro, di un popolo intero che faticava e sperava. La canzone divenne presto l’inno non ufficiale della capitale, tramandata di generazione in generazione, reinterpretata da gruppi come i Dubliners e cantanti come Sinead O’Connor e Joni Mitchell. Cantare Molly Malone significava, e significa tutt’ora, cantare Dublino stessa con la sua allegria struggente, la sua ironia e la sua capacità di trasformare la miseria in poesia.
Gli storici hanno provato a inseguire il fantasma di Molly nei documenti d’epoca. E ciò che hanno trovato è stato, come spesso accade, un labirinto di nomi. Nel XVII secolo, “Mary” e “Molly” erano tra i nomi più diffusi in Irlanda, e “Malone” era un cognome comune nelle parrocchie di Dublino. In quei registri consumati dal tempo, appare una Mary Malone morta il 13 giugno 1699: un nome, una data, e nient’altro.
È su questa traccia evanescente che la città ha scelto di costruire la propria leggenda. Il 13 giugno è diventato il giorno dedicato alla sua memoria, e la mancanza di certezze storiche, anziché indebolire la storia, l’ha resa più potente. Perché in Irlanda, le leggende non si necessitano di una base storica, si tramandano oralmente. E va bene così.
Durante il millenario di Dublino, nel 1988, il Comune decise di dare un volto a quella voce. La scultrice Jeanne Rynhart realizzò una statua in bronzo raffigurante una giovane donna dal busto generoso e dallo sguardo malinconico, accanto al suo carretto di legno. Fu collocata in Grafton Street, poi spostata in Suffolk Street, davanti alla chiesa di St. Andrew, dove, secondo alcuni, la vera Molly era stata battezzata.
I dublinesi, con la loro consueta ironia, le diedero un soprannome: “The tart with the cart”, la “sgualdrina con la carriola”. Ma quella ironia nasconde affetto. Perché Dublino ha sempre amato le sue figure contraddittorie, gli spiriti ribelli e gli eroi imperfetti. Col tempo, la statua divenne una tappa obbligata per i turisti, ma anche il centro di un rito bizzarro: toccare il seno di bronzo di Molly come portafortuna.
Un gesto che ha finito per consumare il metallo e accendere un acceso dibattito sulla dignità dell’opera. In Italia, di statue femminili e polemiche ne sappiamo qualcosa…Nel 2025, il Comune ha deciso di proteggere la statua con degli steward. Un modo, se vogliamo, per difendere la memoria di una donna che, in vita, nessuno aveva protetto davvero.
Molly Malone è diventata, nel corso del tempo, molto più di un personaggio, è infatti un simbolo di resistenza e identità. Rappresenta le donne del popolo, le lavoratrici dei mercati, le madri e le figlie che hanno tenuto in piedi la città mentre gli uomini emigravano o combattevano guerre lontane. È la voce collettiva di chi non aveva voce. In questo senso, Molly è sorella di altre figure del folclore irlandese: la banshee, che piange le anime dei morti; Deirdre of the Sorrows, l’eroina tragica della mitologia celtica; o Gráinne, la donna che sfidò la legge per amore. Tutte incarnano, in modi diversi, la malinconia e la forza delle donne irlandesi, sospese tra il sacrificio e la libertà.
Per comprendere appieno la forza del mito di Molly Malone, bisogna entrare nel mondo delle ballate popolari irlandesi. In un Paese dove la lingua gaelica ha convissuto per secoli con l’inglese imposto, e dove la povertà cancellava spesso la scrittura, la tradizione orale è stata la vera cronaca del popolo.
Le ballate, tramandate da menestrelli, pescatori, e venditori ambulanti, raccontavano tutto: amori, naufragi, rivolte, carestie, morti improvvise In questo contesto, Molly Malone è un perfetto esempio di mitopoiesi popolare: un personaggio nato dal popolo e restituito al popolo in forma di canzone. Non importa se Molly sia esistita davvero. La sua storia è vera perché racconta la verità di molti: la vita breve e dura dei poveri, la lotta per sopravvivere, la dignità che resiste persino nella miseria.
E così, quella melodia che attraversa i secoli — “Alive, alive, oh!” — è diventata un inno alla vitalità stessa dell’Irlanda, alla sua capacità di restare viva anche dopo la morte, come le voci che si alzano nei pub al tramonto, o come il fantasma che spinge ancora un carretto tra le vie di Dublino. C’è una malinconia dolce, quasi poetica, nel pensare che la figura più iconica della capitale irlandese non sia una regina, né un santo, né un eroe, ma una ragazza del popolo morta di febbre. In questo risiede il fascino segreto di Molly Malone: l’eternità concessa a chi, in vita, non ha avuto nulla.
Ogni volta che la canzone risuona, Dublino si ferma per un istante. E in quell’istante, tra il fruscio del vento e il rumore dei passi sulla pietra, sembra davvero di sentire la sua voce che ritorna dal tempo:
“Cockles and mussels, alive, alive, oh!”. Un grido di mercato che è diventato un inno, un fantasma che è di diventato leggenda, una donna che, nella sua fragilità, è riuscita a conquistare l’immortalità.



