“The Boxer”: la ballata del dolore e del coraggio, il canto dei vinti che non si arrendono nel capolavoro di Simon & Garfunkel
“The Boxer“, scritta da Paul Simon nel 1968 e incisa insieme a Art Garfunkel, è una di quelle ballate che continuano a risuonare come un’eco di dignità e solitudine. Pubblicata nel 1970 all’interno di “Bridge Over Troubled Water“, rappresenta non solo une delle vette più alte della carriera del duo, ma anche della musica folk rock a stelle e strisce. Un frammento di introspezione universale, all’interno del quale la fragilità dell’uomo diventa un canto epico.
L’incipit di “The Boxer” è quasi cinematografico: un ragazzo abbandona la propria casa, spinto da sogni di riscatto e promesse ingannevoli. Si ritrova nei vicoli di una New York cruda e indifferente, dove la speranza si sgretola tra le sue mani. La voce narrante recita in prima persona, con la semplicità e l’intensità di chi ha conosciuto la fame, la miseria, l’umiliazione.
“Tutte bugie e prese in giro, e ancora un uomo sente solo quello che vuole sentire e se ne frega del resto”.
In questa frase si concentra l’essenza del brano, cioè la testarda illusione di credere nel sogno americano, anche quando la realtà si ostina a smentirlo. È un’America spoglia, dove l’unico conforto si trova tra le braccia delle prostitute della Settima Strada. La città diventa una gabbia, un luogo ostile dove il protagonista si muove come un sopravvissuto in lotta contro il gelo e contro se stesso.
Con il passare degli anni, il ragazzo di un tempo si scopre più vecchio, più stanco, eppure ancora in cerca di qualcosa che non sa nominare. Capisce che i cambiamenti della vita non l’hanno trasformato come avrebbe voluto.
“Non è strano che dopo cambiamenti su cambiamenti siamo più o meno gli stessi?”.
È il momento della resa, o forse solo dell’accettazione. Tornare a casa non è solo un gesto fisico, ma un’ammissione dolorosa, è quel riconoscimento che i sogni infranti lasciano cicatrici invisibili, più profonde di qualsiasi ferita del corpo.
E poi arriva lui, il pugile, figura simbolica, epica e dolente, che nel testo appare come un riflesso del protagonista. Non è un combattente di ring ma un uomo ferito dalla vita, piegato ma non vinto.
“Me ne vado, me ne vado, ma il combattente ancora rimane”.
Paul Simon non ha mai avuto a che fare con la boxe, ma conosceva bene l’amarezza dei colpi presi. Dietro quella metafora si nasconde la sua stessa biografia, quella frustrazione per una critica ostile, la crisi con Garfunkel, la difficoltà di trovare la propria voce in un’industria che cercava eroi del folk “impegnato” e non poeti dell’intimità. “The Boxer” è, in fondo, la confessione di un artista che ha dovuto difendersi dalle parole come da ganci al volto, senza mai smettere di cantare.
La nascita di “The Boxer” fu tutt’altro che immediata. Più di cento ore di registrazione, tra Nashville, la Cappella di Saint Paul e i Columbia Studios. Paul Simon e il produttore Roy Halee inseguivano un suono che fosse insieme terreno e mistico, intimo e monumentale. Il risultato è una costruzione sonora praticamente perfetta: l’arpeggio di chitarra acustica in fingerpicking, l’armonica su toni bassissimi quasi distorti, l’orchestrazione di archi che cresce come un’onda emotiva. Ma il colpo più geniale è quello del rullante con la sua esplosione secca e riverberata, registrata da Hal Blaine di fronte alla tromba di un ascensore per amplificarne l’impatto.
Ogni colpo di tamburo è come un pugno che attraversa il silenzio. Il canto alternato tra Simon e Garfunkel è, invece, pura magi. La voce calda e terrena dell’uno si intreccia al falsetto etereo dell’altro, creando un equilibrio che è insieme umano e spirituale.
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Il celebre ritornello senza parole – “lie la lie” – nacque quasi per caso. Simon lo utilizzava come riempitivo in attesa di trovare il testo definitivo. Poi si rese conto che nessuna parola poteva esprimere meglio quel sentimento di vuoto e di ostinazione. Qualcuno interpretò quel “lie” come “bugia”, legandolo al tema dell’inganno e dell’autoconvincimento. Ma Simon smentì, non c’era nessun calcolo semantico, solo il flusso naturale di una melodia che si rifiutava di essere spiegata.
Nel corso degli anni, “The Boxer” è stata reinterpretata da decine di artisti: da Bob Dylan a Neil Diamond, da Emmylou Harris a Francesco De Gregori. Ognuno ne ha colto un riflesso diverso, ma nessuno è riuscito a cancellare la forza originaria di quella voce che canta la dignità del perdente. Perché “The Boxer” non è solo la storia di un uomo caduto, ma la storia di tutti coloro che, feriti e disillusi, trovano ancora la forza di rialzarsi. È il suono di un cuore che resiste, anche quando tace.
E in quell’ultimo verso – “the fighter still remains” – c’è tutto: la rabbia, la grazia, la resistenza. Come un pugile che non smette di stringere i guantoni, anche Paul Simon ci lascia un messaggio che non invecchia: si può essere sconfitti senza mai essere vinti.



