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Speciale “Grand Budapest Hotel”: la perfezione formale di Wes Anderson, tra eleganza ed comicità surreale

Sara Paneccasio Posted On 11 Dicembre 2024
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Sono passati dieci anni da quando “Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson debuttava sul grande schermo, affermandosi immediatamente come uno dei film più iconici del ventunesimo secolo.

Una sinfonia di colori, simmetrie, nostalgia e umorismo nero, un’opera che intreccia il passato e il presente con una maestria unica: ecco cosa fa di “Grand Budapest Hotel” un vero e proprio gioiellino cinematografico.

Ispirandosi alle opere di Stefan Zweig, in particolare al “Mondo di ieri” e ad altri suoi racconti, il film reinterpreta in chiave visiva e narrativa il tema della perdita di un’epoca, evocando una MittelEuropa immaginaria e romantica. Anderson non adatta fedelmente un’opera specifica di Zweig, ma cattura la sua essenza: il senso di decadenza, il rimpianto per un mondo che non esiste più e l’eleganza malinconica di tempi ormai andati.

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La trama di “Grand Budapest Hotel” è una raffinata miscela di mistero, commedia e dramma. Ambientato nella fittizia Repubblica di Zubrowka, segue le avventure di Monsieur Gustave H., impeccabile concierge dell’albergo che dà il nome al film, interpretato con straordinaria eleganza da Ralph Fiennes. Gustave è un uomo dalle maniere squisite, devoto al servizio dei suoi ospiti, soprattutto delle signore anziane, ricche e sole, con le quali non nasconde di avere relazioni intime. Questa sincerità, talvolta talmente disarmante da risultare inopportuna, aggiunge ulteriore complessità e comicità al personaggio. Come afferma lui stesso,

“Sono conosciuto per trattare le mie clienti con il massimo rispetto e una devozione che, mi si permetta di dire, è rara nei nostri tempi.”

Quando una delle sue clienti abituali, Madame D. (Tilda Swinton, trasformata in modo irriconoscibile dal trucco), muore in circostanze misteriose, lasciandogli in eredità un prezioso quadro, Gustave e il suo giovane protetto Zero (Tony Revolori) si trovano invischiati in un vortice di intrighi, inseguimenti e fughe rocambolesche.

“Sei iniziato come un garzone insignificante e ora sei un garzone insignificante con qualche merito!”

Le scene sono scandite da dialoghi arguti e battute pungenti che mescolano eleganza e comicità surreale, come quando Gustave rimprovera Zero con un tono tanto severo quanto esilarante per i suoi errori, o quando affronta situazioni di pericolo con un’insolita e irresistibile nonchalance.

La narrazione si svolge su tre livelli temporali ben distinti. Nel tempo presente, una giovane donna visita una statua commemorativa dedicata all’autore di un libro intitolato “Grand Budapest Hotel“; nel passato recente, l’autore (interpretato da Jude Law) intervista il proprietario dell’hotel, Mr. Zero Moustafa (F. Murray Abraham), il quale racconta la storia principale ambientata negli anni ’30, il periodo di massimo splendore dell’hotel. Questo approccio stratificato amplifica la dimensione nostalgica e letteraria del racconto, creando un affascinante gioco di prospettive. Perché, come ricorda il vecchio Zero,

“Il Grand Budapest non è mai stato solo un albergo, ma un luogo dove il tempo si fermava”

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Il cast di “Grand Budapest Hotel” è un vero e proprio pantheon di star, molte delle quali collaboratori abituali di Anderson. Accanto a Fiennes e Revolori, troviamo attori del calibro di Adrien Brody, Willem Dafoe, Jeff Goldblum, Saoirse Ronan, Edward Norton, Jude Law, Harvey Keitel e Bill Murray. Ogni personaggio, anche il più marginale, è tratteggiato con cura meticolosa, e ciascun attore contribuisce con la propria presenza scenica a creare un mosaico vibrante e indimenticabile.

Lo stile visivo di Wes Anderson in questo film raggiunge vette vertiginose: le inquadrature simmetriche, i colori pastello, i dettagli minuziosi delle scenografie e i costumi, progettati con una precisione maniacale, sono diventati un marchio di fabbrica del regista. Inoltre, il film si sviluppa attraverso formati cinematografici diversi per distinguere i vari periodi temporali, un tocco tecnico che sottolinea ulteriormente la stratificazione narrativa. Ma è nella costruzione del mondo immaginario di Zubrowka, sospeso tra realtà e fiaba, che Anderson dimostra tutta la sua maestria: ogni scena è un’opera d’arte che potrebbe essere incorniciata e appesa in un museo.

“Grand Budapest Hotel” è stato accolto con entusiasmo dalla critica e dal pubblico, vincendo quattro Oscar (Miglior Colonna Sonora, Miglior Scenografia, Miglior Trucco e Migliori Costumi) su nove nomination, oltre a innumerevoli altri premi internazionali. La colonna sonora, firmata da Alexandre Desplat, è un altro elemento imprescindibile del film, capace di catturare l’atmosfera nostalgica e surreale della storia. Come osserva Desplat,

“La musica è il cuore pulsante di questo mondo immaginario, un eco di melodie perdute che richiamano un’epoca lontana.”

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Il successo del film è dunque dovuto a molteplici fattori: la brillante sceneggiatura, che combina umorismo raffinato e un tocco di tragedia; le interpretazioni indimenticabili del cast; la profondità emotiva nascosta dietro la leggerezza apparente; e, naturalmente, lo stile inconfondibile di Anderson, che non smette mai di stupire e affascinare. Tuttavia, non tutti hanno amato il film: alcuni critici hanno trovato il suo approccio estetico troppo freddo, un esercizio di stile che sacrifica l’emozione autentica per lasciare il posto alla perfezione formale. Ma per molti altri, questa combinazione di forma e sostanza è proprio ciò che rende “Grand Budapest Hotel” un capolavoro senza tempo.

Wes Anderson, all’epoca già noto per film come “I Tenenbaum” (2001), “Le avventure acquatiche di Steve Zissou” (2004) e “Fantastic Mr. Fox” (2009), ha continuato a evolversi dopo “Grand Budapest Hotel” con opere altrettanto amate, come “Isle of Dogs” (2018) e “The French Dispatch” (2021). Ogni film del regista è un viaggio in un universo unico, caratterizzato da una combinazione inconfondibile di eccentricità, poesia e profondità. “Grand Budapest Hotel” rimane, però, una delle sue opere più amate e rappresentative, un film che, a dieci anni dalla sua uscita, continua a incantare, emozionare e far riflettere.

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