Recensione. “The Holdovers – lezioni di vita”: uno straordinario Paul Giamatti nell’importanza di sentirsi fragili

Con “The Holdovers – Lezioni di vita“, Alexander Payne confeziona un gioiellino cinematografico: prende la struttura di una commedia natalizia e ne fa un’opera malinconica, tenera e profonda. Nel 2023 il regista di “Nebraska” e “Sideways” portava sul grande schermo uno dei suoi lavori più raffinati e toccanti, dimostrando ancora una volta che il cinema può parlare sottovoce e arrivare lontano. Non servono isterie per trattare una storia e neanche ritmi sostenuti per catturare l’attenzione degli spettatori. Presentato con successo al Telluride Film Festival, il film ha riscosso consensi unanimi da parte della critica e del pubblico, conquistando nomination prestigiose e ponendosi come uno dei titoli più amati della stagione cinematografica.
Pur essendo ambientato nel 1970, “The Holdovers” sembra uscito da quel decennio per stile, tono e atmosfere. La fotografia dai colori leggeri, il montaggio dal ritmo contemplativo e la colonna sonora ricca di ballate degli anni che furono contribuiscono a evocare lo spirito del tempo che fu, eppure, la magia del film non risiede soltanto nell’estetica vintage ma anche nella sua capacità di toccare corde profonde con leggerezza e intelligenza.
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Siamo alla Barton Academy, rigido collegio del Nord-Est americano. Qui Paul Hunham, professore di lettere classiche, viene incaricato di sorvegliare gli studenti che non tornano a casa per le vacanze natalizie. Sono pochi e lui, non avendo molto di meglio da fare, accetta l’incarico affidatogli. Per una serie di coincidenze, tra gli iscritti all’Istituto resta solo Angus Tully, ragazzo brillante ma turbolento, segnato da una famiglia assente e da un costante, ma inespresso, senso d’inadeguatezza. Insieme a loro, a popolare il campus deserto, c’è Mary, la cuoca della scuola, che ha appena perso il figlio in Vietnam.
Ne deriva un racconto intimo di tre anime smarrite, costrette a convivere durante giorni sospesi dove il tempo sembra rallentare facendo emergere tutte le loro fragilità e conflitti interni. Sono costretti a guardarsi allo specchio ed a riflettere su loro stessi, a confrontarsi con la vita grigia e nebulosa di un’esistenza controversa e più malinconica di quello che sembra. Paul, Angus e Mary sono persone lasciate ai margini, i cosiddetti “holdovers”: quelli rimasti indietro, dimenticati o ignorati da un sistema che corre troppo veloce. E in quella sospensione forzata imparano a guardarsi, ad ascoltarsi e, infine, a curarsi a vicenda.
Il film, però, non si lascia andare facili sentimentalismi: ogni emozione è trattenuta, ogni apertura conquistata con fatica. Payne e lo sceneggiatore David Hemingson costruiscono una drammaturgia misurata, dove il vero colpo di scena è l’empatia che si accende tra i personaggi e il climax arriva attraverso i piccoli gesti, le parole dette a metà, i silenzi che parlano, quasi a voler sottolineare che non serve niente di eclatante per dare un senso a ciò che un senso apparentemente non ce l’ha.
Al centro di tutto c’è Paul Giamatti, semplicemente straordinario. Il suo Paul Hunham è un personaggio memorabile: scorbutico, pedante, sarcastico, segnato nel corpo e nell’anima da una vita di delusioni. Porta un occhio strabico, un odore sgradevole e una reputazione da incubo tra gli studenti. Ma dietro la scorza ruvida, Giamatti fa emergere, con progressiva intensità, una fragilità disarmante. La sua interpretazione è da manuale di recitazione: modulata, mai sopra le righe, sempre profondamente umana. Giamatti non chiede simpatia, ma finisce per ottenerla perché restituisce con verità la complessità di un uomo che ha rinunciato a essere amato, pur avendone disperatamente bisogno. Il suo lavoro è il cuore emotivo del film, e non è un caso che abbia ricevuto alcuni dei riconoscimenti più importanti della stagione.
Al suo fianco, l’esordiente Dominic Sessa stupisce per carisma e naturalezza. Angus è un ragazzo impulsivo, insolente, ma anche vulnerabile e affamato di affetto. Tra i due si sviluppa lentamente, e non senza fatica, un rapporto che supera il classico cliché maestro-allievo diventando un confronto tra due solitudini che si riconoscono e si accettano. Ottima anche Da’Vine Joy Randolph nel ruolo di Mary, figura materna dolente e ironica, capace di regalare alcuni dei momenti più intensi del film.
“The Holdovers” è un film vincente perché ha il coraggio di rallentare. Non cerca lo shock, ma la risonanza emotiva, parla di educazione, di perdita, di seconde possibilità. Ma, soprattutto, parla di dignità, quella degli “ultimi”, degli invisibili, degli “scarti” del sogno americano, e lo fa con uno stile che richiama i grandi drammi scolastici del passato, da “L’attimo fuggente” a “Vacanze in collegio” di Marcel Pagnol, ma con un’ironia pungente tutta contemporanea.
Il sottotitolo italiano “Lezioni di vita” può apparire didascalico, ma in fondo coglie il senso del racconto: in quei giorni sospesi alla Barton Academy, i protagonisti imparano davvero qualcosa. Non tanto sul mondo, quanto su se stessi. E noi, spettatori, con loro The Holdovers non ha bisogno di stupire, perché sa commuovere. È cinema sincero, che non grida, ma resta. E questo, oggi, è già un atto di coraggio.
Foto: HOLDOVERS_FP_00406_R .Dominic Sessa stars as Angus Tully and Paul Giamatti as Paul Hunham in director Alexander Payne’s THE HOLDOVERS, a Focus Features release..Credit: Courtesy of FOCUS FEATURES / © 2023 FOCUS FEATURES LLC.