Recensione. “Memorie scritte sulla pelle”, la forza parte dalle cicatrici
Quando la vita ferisce e lascia cicatrici profonde, quelle stesse ferite possono trasformarsi in vere e proprie “Memorie scritte sulla pelle”. È qui che nasce il senso più autentico del libro di Licianna Cartini, un memoir intimo e coraggioso che ripercorre, seguendo il filo delle sue cicatrici, una vita segnata dall’amore in tutte le sue forme: limpido, distorto, complesso, ma sempre profondamente umano.
Cartini racconta se stessa senza retorica né frasi fatte. Non idealizza il dolore della perdita e della malattia, lo attraversa con lucidità e rispetto, mostrandolo per quello che è: crudo, viscerale, capace di generare consapevolezza. Capitolo dopo capitolo emerge il ritratto di una donna che, da bambina a adulta, affronta il passato per dare un senso concreto al proprio futuro. Una donna che ha conosciuto la meraviglia di sentirsi figlia per scelta, e la forza invisibile di un legame che unisce madre e figlia a doppio filo.
Poi arriva la malattia, un boomerang che torna, come in un ciclo, nelle vite delle due donne. Ostacoli alla serenità della vita ma un grande segnale di resilienza, così come lo definisce l’autrice. Quella forza nata dal dolore che Cartini affronta senza eroismi, con la coscienza di chi sa che mostrarsi vulnerabili non è sinonimo di debolezza, ma la più autentica forma di coraggio.
Senza svelare troppo, un’altra tematica di grande intensità emerge con la proposta di adozione in età adulta: la figlia che chiede al marito di sua madre di diventare, anche per legge, suo padre. Una figura discreta e costante, capace di incarnare la paternità nel suo significato più profondo. Non è un gesto dettato dal bisogno, ma dalla riconoscenza: “Abbiamo solo formalizzato un amore che esisteva già”, scrive Cartini. Un atto simbolico che chiude il cerchio di una vita familiare costruita non sul legame di sangue, ma su quello della cura reciproca.




