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Recensione. “Lovin’ You”: il ritorno di Richard Ashcroft

Redazione Posted On 21 Ottobre 2025
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Richard Ashcroft torna in pista con un album che, al netto della qualità espressa al suo interno, suona più come una dichiarazione d’intenti: “Lovin’ You” si può infatti considerare il lavoro di un uomo e di un artista che non ha più bisogno di dimostrare nulla, e che proprio per questo riesce — per la prima volta da anni — a suonare davvero libero e, verrebbe da dire, quasi leggero. Dopo un’estate in cui è tornato sotto i riflettori grazie al reunion tour degli Oasis, Ashcroft cavalca quell’onda di rinnovato entusiasmo e la trasforma in un disco che mescola serenità domestica e inquietudine artistica, malinconia britpop e calore soul.

A sette anni da “Natural Rebel” e quattro dalla parentesi di “Acoustic Hymns Vol.1“, Ashcroft riprende in mano il filo del suo percorso solista con una nuova consapevolezza. “Lovin’ You” è un disco più luminoso che nostalgico, dove la maturità non pesa ma scalda il cuore dell’ascoltatore. Fin dai primi brani si percepisce la voglia di costruire qualcosa che abbia una propria anima e un proprio stile, senza cadere nella facile autocelebrazione.

L’apertura, “Lover”, poggia su un campionamento di “Love and Affection” di Joan Armatrading: un omaggio esplicito e un gesto simbolico. Ashcroft rielabora il DNA della musica che lo ha formato — soul, pop e psichedelia — e ne fa un manifesto d’amore. La produzione di Emre Ramazanoglu le dà un respiro contemporaneo tra falsetti e groove quasi dance, ma l’anima rimane tutta sua: romantica, sfacciatamente vintage, fragile e determinata insieme.

Accanto a lui lavorano tre produttori: Mirwais, che lo spinge verso scenari electro (“I’m A Rebel”, “Lovin’ You”), Chris Potter, che ricrea l’alchimia dei giorni dei Verve nei momenti più intimi (“Out of These Blues”, “Find Another Reason”, “Fly to the Sun”) e Ramazanoglu, che dona al tutto una coesione moderna. Il risultato è un disco bifronte, sospeso tra introspezione e apertura, tra l’abbandono melodico e il desiderio di muoversi, fisicamente e spiritualmente.

Se i brani più uptempo flirtano con un pop raffinato e accessibile, è nelle ballad che Ashcroft si ritrova pienamente. “Out of These Blues” sembra un’elegia sospesa, un incontro tra Wild Horses e The Drugs Don’t Work; “Live With Hope” richiama l’intensità di Urban Hymns senza scadere nel déjà-vu. In “Fly to the Sun” l’autore si spoglia del lirismo mistico per tornare all’essenza: una voce, una chitarra, una confessione. Non mancano gli inciampi — qualche eccesso zuccheroso (“I’m A Rebel”) e un paio di momenti che sembrano voler piacere più che emozionare — ma “Lovin’ You” resta un lavoro onesto e ben calibrato.

È un disco che parla di rinascita senza ostentarla, di fede nell’amore come ultima forma di resistenza al cinismo e alla stanchezza. Ashcroft, oggi, è un uomo in pace ma non domato. È ancora il predicatore rock che mescola rabbia e spiritualità, ma lo fa con la calma di chi ha attraversato tempeste e ha imparato a non averne più paura.

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