Recensione. “La vita va così” di Riccardo Milani: radici, risate e scelte difficili
Il film di apertura della ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma è “La vita va così” di Riccardo Milani, interpretato da Virginia Raffaele, Diego Abatantuono, Aldo Baglio, Giuseppe Ignazio Loi e Geppi Cucciari.
La nuova opera di Riccardo Milani si presenta come una commedia sociale che, pur partendo da una trama apparentemente scontata e attraversata da qualche cliché, riesce a sorprenderci superandoli con sensibilità e intelligenza. Dopo il successo di “Un mondo a parte“, il regista torna a raccontare con ironia e commozione l’Italia dei piccoli luoghi, le sue contraddizioni e la sua umanità.
“La vita va così” sarà al cinema dal 23 ottobre.
Un paradiso sconosciuto
Milani ci porta in Sardegna, sulla candida spiaggia di Bellesamanna, un angolo di paradiso con sabbia bianca, mare cristallino e un silenzio sempre più raro da trovare in una società che corre così veloce. Eppure su questa perfetta spiaggia non ci sono turisti: sulla sabbia pascolano le mucche del pastore Elisio, che ogni giorno le conduce fino al mare per poi tornare nella sua furriadroxu – il tipico casolare dei pastori sardi, in cui nome significa letteralmente “ritornare a casa”.
Elisio vive lì con il suo cagnolino, lontano dal centro del paese, tra le conserve di pomodori secchi e la pace che ha scelto di difendere. Una scelta che da anni lo mette in contrasto con la moglie e i figli, desiderosi di vederlo trasferirsi in paese, vicino alla bottega, al bar, alla farmacia e alla chiesa: i quattro luoghi che, insieme, costituiscono il cuore di quella piccola comunità apparentemente ferma nel tempo. Lo conferma la coprotagonista Francesca (figlia di Elisio, interpretata da Virginia Raffaele) che, all’inizio del film, afferma
“Se Kubrick fosse stato qua, l’Odissea nello spazio l’avrebbe ambientata nel 3001“
Due mondi agli antipodi
È il 31 dicembre 1999: un Capodanno caratterizzato dalla febbricitante curiosità per l’inizio del nuovo millennio. All’interno del suo vecchio casolare, Elisio festeggia intimamente con Francesca e la famiglia di Gianni, suo figlio tornato dall’Inghilterra per le feste.
Dall’altra parte dell’Italia, nell’hotel di lusso sul Lago Maggiore, un imprenditore milanese (Diego Abatantuono) festeggia con la moglie e la figlia adolescente, tra sfarzo, calici, musica e almeno un centinaio di altri ospiti.
Cosa unisce due realtà così lontane? Un sogno che presto si trasformerà in un incubo: l’imprenditore vuole costruire un resort di lusso a 5 stelle sulla spiaggia di Bellesamanna, ma il progetto del resort trova come unico ostacolo la casa di Elisio. Nonostante le offerte sempre più generose – persino grottesche –, Elisio rifiuta categoricamente di vendere la casa dei suoi avi in cui ha il diritto di invecchiare in pace. La sua risposta rimane la stessa per più di dieci anni: un secco “no”.
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Un racconto che attraversa il tempo
Milani sceglie di raccontare questa storia attraverso il passare dei primi anni Duemila, trasformando lo sfondo in un vero e proprio racconto dell’Italia non più così recente: si torna a 25 anni fa, quando i carabinieri guidavano vecchie Fiat Punto, le partite si guardavano al bar, i telefonini si chiudevano su se stessi. Quando gli anni passano, i televisori trasmettono il Tg5 che annuncia l’arrivo dell’euro, i giornali riportano le dimissioni di Papa Ratzinger, il paese intero si ferma per i rigori dell’Italia ai Mondiali del 2006… e la figlia dell’imprenditore cresce, si diploma, si laurea.
Tutto scorre, tranne Elisio, che resta fedele alla sua terra, come un punto fermo in un mondo che cambia.
I protagonisti
Giuseppe Ignazio Loi, pastore sardo ottantaquattrenne alla sua prima esperienza cinematografica, interpreta Elisio con autenticità e dignità straordinarie. Già noto sui social dopo aver sfilato alla Milano Fashion Week (per lo stilista algherese Antonio Marras), Loi ha conquistato la stampa e il pubblico della Festa del Cinema di Roma con una naturalezza disarmante.
Accanto a lui Virginia Raffaele è molto convincente nei panni di Francesca, la figlia, una donna divisa tra l’amore per il padre e il senso di giustizia. La Raffaele arriva dritta al cuore grazie con un’interpretazione profonda: passa continuamente dal comico al drammatico, dall’italiano al sardo (imparato ad hoc per il film).
Nel ruolo di Mariano, il capocantiere palermitano inviato dall’impresa milanese per convincere Elisio e coordinare i lavori, Aldo Baglio offre una delle sue prove migliori. Inizialmente buffo e impacciato – le scene in macchina ricordano i suoi cavalli di battaglia nel trio formato insieme a Giovanni Storti e Giacomo Poretti-, il suo personaggio si trasforma in un uomo empatico e vulnerabile. Basti pensare che una sua scena, a metà film, ha scatenato un applauso spontaneo in sala.

Le ruspe come antagoniste
Tra i “personaggi” di “La vita va così” spiccano anche le ruspe, che Milani trasforma in antagoniste silenziose ma spaventose. Appaiono come mostri apocalittici, strumenti del progresso che si fanno distruzione.
In una delle sequenze più forti, Francesca assiste al disboscamento dei mirti e degli olivastri davanti la casa di suo padre, trasmettendo tutto il suo dolore e chiedendo pietà per la terra: un momento di grande impatto emotivo che riassume il senso dell’intera storia.
Quando il lavoro diventa ricatto
La scelta di Elisio ha, però, drastiche conseguenze sull’intera comunità di Bellesamanna, che vede nella costruzione del resort una promessa di 2.500 posti di lavoro e una via d’uscita dalla miseria. Il pastore e sua figlia si ritrovano così, loro malgrado, al centro di un conflitto che li oppone non solo agli interessi dell’impresa, ma anche ai propri compaesani, spinti dalla necessità di un lavoro e un piano di sopravvivenza per il futuro.
Nel piccolo paese sardo, infatti, la promessa di un impiego diventa la leva con cui convincere, corrompere, dividere. L’intera comunità – istituzioni comprese – si mobilita ogni giorno per raggiungere la furriadroxu di Elisio: in alcune delle sequenze più potenti, la popolazione appare come una moderna versione del “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo: una folla di uomini e donne comuni (interpretati in gran parte da non attori) che avanza spinta non dalla rabbia, ma dalla “fame di lavoro“.
Milani racconta con precisione una Sardegna “che non riesce più a trattenere i suoi figli“, simbolo di molte più zone dell’Italia in cui la povertà e la mancanza di prospettive si intrecciano alla salvaguardia del territorio e alla retorica del progresso in una spirale senza uscita.
“La vita va così” riflette quindi sul valore della casa e delle radici, sulla difesa del territorio e del patrimonio culturale, ma anche sulla fragilità di una comunità che rischia di perdere se stessa nel nome del lavoro. Un racconto amaro, che ci ricorda quanto sia sottile il confine tra il bisogno e la resa.
Il cinema di Riccardo Milani
Dopo il successo di “Un mondo a parte” (girato in Abruzzo nel 2024), Milani torna a firmare un racconto di grande umanità. Il suo cinema è un viaggio antropologico dentro l’Italia reale, alla scoperta di luoghi dimenticati e nei conflitti quotidiani di chi li abita.
“È in storie come questa” afferma il regista “che cerco l’umanità che è rimasta nascosta in ognuno di noi, cercando sempre un punto di incontro possibile tra fronti opposti anche quando l’ostilità, fomentata, sembra prevalere. Forse per ricordarci ogni tanto quello che siamo tutti: esseri umani, con valori universali, dall’onestà al coraggio, dalla dignità alla coerenza, valori che attraversano le mode, il tempo e la Storia. Tutto questo cercando di far ridere e raggiungere il pubblico più largo possibile, con un punto di vista magari diverso e lontano dal mio“
Tra poesia e realismo, “La vita va così” è una storia di appartenenza, coraggio e libertà. Tra emozioni, risate e un finale forse leggermente incoerente, è capace di lasciare un segno profondo e un retrogusto dolceamaro.
P.S. Restate seduti durante i titoli di coda: c’è una sorpresa che vi farà sorridere, mentre i vostri occhi saranno ancora lucidi.



