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Recensione. La riscossa degli anti-eroi Marvel: ecco perché Thunderbolts funziona

Taddeus Harris Posted On 4 Maggio 2025
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Diciamolo subito, senza girarci troppo attorno: “Thunderbolts” è il miglior film Marvel degli ultimi anni. Possiamo anche essere cattivelli e maliziosi nell’affermare che, in fi dei conti, non è che ci volesse molto, visti taluni episodi in colore più o meno recenti, per non dire veri e propri passi falsi. Il film, uscito da pochi giorni al cinema, non reinventa il genere ma riscopre ciò che lo ha reso il così amato da un pubblico trasversale: personaggi tormentati, azione dosata e un cuore grande così. Insomma, quegli elementi che fanno sempre presa sullo spettatore. Il film diretto da Jake Schreier (Beef) e scritto da Joanna Calo (The Bear) e Eric Pearson (Black Widow, Thor: Ragnarok) è una piacevole sorpresa che segna un momento di ripresa per il Marvel Cinematic Universe, sempre più bisognoso di nuove direzioni dopo le recenti fatiche del Multiverso.

Siamo in un’epoca post-Avengers e il mondo ha bisogno di nuovi protettori, un nuovo gruppo di supereroi su cui poter contare. Ma i Thunderbolts non sono eroi nel senso classico: sono pezzi rotti, scarti, ex villain e soldati falliti reclutati da Valentina Allegra de Fontaine (una spietata e brillante Julia Louis-Dreyfus) per operazioni sporche sotto il radar. E già questo spiegherebbe l’umana fragilità di molti di loro, fattore che consente di vederli molto più vicini di tanti altri eroi senza macchia e senza paura. Insomma, l’empatia gioca comunque un ruolo chiave. Il gruppo è capitanato dalla Vedova Nera 2.0, Yelena Belova, interpretata da una sempre più magnetica Florence Pugh (non che servisse questa performance per certificarla come una tra le attrici migliori della sua generazione), che riesce a dare profondità e umanità a un personaggio segnato dal dolore e dal lutto.

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A lei si aggiungono Red Guardian (David Harbour), padre putativo scorbutico e malinconico, Bucky Barnes (Sebastian Stan), l’ex Soldato d’Inverno ora stanco, disilluso e, suo malgrado, perfino leader, John Walker / U.S. Agent (Wyatt Russell), lo Steve Rogers mancato, ancora alle prese con il peso del fallimento, Ava Starr / Ghost (Hannah John-Kamen), un’esperimento vivente che oscilla tra realtà e invisibilità, Taskmaster (Olga Kurylenko), guerriera silenziosa, e Mel, assistente di Valentina e new entry interpretata da Geraldine Viswanathan. A completare l’elenco troviamo Sentry (Lewis Pullman), un’arma vivente con il potere di mille soli esplodenti… ma anche con un’anima instabile e terrificante.

Nella prima parte del film vengono esplorate, più o meno approfonditamente, le singole storie, ma anche gli scontri e le frizioni tra le parti. Nella parte centrale della pellicola ci addentriamo nelle loro vicissitudini mentre il finale ha un qualcosa di sorprendente: non punta sullo scontro epico ma su una resa dei conti personale. Il vero nemico sono le emozioni negative: il lutto, la colpa, l’isolamento, la paura. Un approccio più psicologico che pirotecnico, che potrebbe spiazzare chi si aspetta solo botte e CGI spinta all’estremo, ma che regala uno spessore raro nel genere. “Finalmente un’uscita Marvel che sa di film e non di videogame”, come ha detto un ragazzo uscendo dalla sala. Un’osservazione condivisibile. Il film, infatti, la frenesia narrativa degli ultimi cinecomic Marvel, scegliendo un ritmo più cadenzato. Non manca l’azione ma non è il fulcro di questa pellicola. “Thunderbolts” è più interessato a cosa succede tra un pugno e l’altro: negli sguardi, nei silenzi, nei dialoghi carichi di rancore e speranza.

“Yelena è ferita, ma non spezzata. In lei ho messo il mio stesso dolore, la mia stessa voglia di capire chi siamo dopo aver perso tutto”, ha dichiarato Florence Pugh in un’intervista a Entertainment Weekly. La sua interpretazione è semplicemente straordinaria: ironica, struggente, viva. Una performance che trascina tutto il film e che ci ricorda quanto sia importante avere attrici di questa caratura nei cinecomic, troppo spesso appiattiti su ruoli usa-e-getta. Peraltro, come accennato in precedenza, l’attrice nata a Oxford dimostra, una volta di più, di essere tra le attrici più versatili e talentuose della sua generazione.

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“Thunderbolts” funziona anche e soprattutto perché si rivolge a chi è cresciuto con questi personaggi e ora vuole qualcosa di più. Vuole un mondo connesso, sì, ma anche coerente. Vuole una riflessione sul potere e le sue derive, sul fallimento e la possibilità di rimediare. Vuole riconoscersi in eroi che non si sentono tali, in un gruppo di disadattati che scopre di valere qualcosa proprio perché messi insieme. Ed in questo la lezione dei Guardiani della Galassia è più viva che mai. Il film è disseminato di riferimenti, omaggi e citazioni per i fan più attenti. È una pellicola che guarda al passato del MCU con affetto, e al futuro con un filo di speranza e sì, la scena post-credit è una delle migliori degli ultimi anni: un vero pugno allo stomaco, ma anche una promessa.

Questo vuol dire che “Thunderbolts” sia un film perfetto? No, assolutamente no, però è una delle proposte più sincere, compatte e umane del Marvel degli ultimi tempi. È il cinecomic che non ti aspettavi, che non ti urla addosso ma ti accompagna, ti ascolta, ti fa ridere e poi ti lascia anche con il groppone in gola. In un MCU che sembrava perso nel Multiverso, questo è già un mezzo miracolo.

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