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Recensione. “Il Giardiniere”: il crime di Netflix che si perde nel sottobosco dell’ovvio

Federico Falcone Posted On 24 Aprile 2025
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Certi successi, ammesso che siano tali, sono a volte inspiegabili. Come nel caso de “Il Giardiniere“, serie tv che, per un non ben precisato motivo, in questi giorni sta facendo numerosi proseliti tra gli appassionati di binge watching. C’è un angolo in classifica Netflix che di tanto in tanto ospita titoli inattesi: lavori che non solo sorprendono, ma mettono anche in discussione le logiche stesse del successo nella sua pienezza. E, questa serie spagnola diretta da Mikel Rueda e Rafa Montesinos, ne è ulteriore esemplificazione plastica.

In barba alle aspettative (comprese quelle di Netflix stessa, verrebbe da dire) si è arrampicata in vetta alla top 10 italiana ma il perché resta ancora un mistero. Non lasciatevi ingannare dal titolo bucolico, “Il Giardiniere” tenta di scavare nella psiche di un killer incapace di provare emozioni e si ritrova, invece, a zappare nel terreno arido del già visto ed a sguazzare nelle paludi del banale. La serie mescola le atmosfere del crime/thriller psicologico a quelle del drama familiare con una spruzzata di romance qua e là, ma il risultato è a dire poco un ibrido poco convincente.

Elmer (Álvaro Rico), è il protagonista solitario e apatico a causa di un trauma cerebrale avuto da piccolo che non gli consente di provare emozioni. Atarassico e glaciale, lavora come giardiniere nel vivaio di famiglia. Ha un talento notevole. A gestire l’attività, come del resto l’intera esistenza del figlio, è la madre, La China Jurado (Cecilia Suárez), personaggio magnetico e inquietante (probabilmente il più riuscito). Ma lei, approfittando dell’incapacità del figlio di provare empatia, lo manipola a suo piacimento fino a trasformarlo in un sicario su commissione. Il vivaio diventerà il cimitero dove seppellirà i corpi delle vittime.

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La donna ha un obiettivo che intende perseguire: riacquistare la casa natale in Messico. Come ogni buon thriller che si rispetti, però, la variabile inaspettata arriva con l’amore quando Elmer incontra Violeta (Catalina Sopelana), ragazza dal passato controverso legato al suicidio dell’ex fidanzato. Qualcosa nel suo cervello si riattiva (grazie a un tumore, sì, avete letto bene) e con l’amore riemergono le emozioni. Ma ciò che potrebbe essere l’inizio di un’evoluzione interiore degna di nota, si trasforma presto in un banale triangolo emotivo: Elmer diviso tra l’amore tossico della madre e il sentimento emergente per Violeta.

Niente di nuovo sotto al solo, praticamente, anche perché, purtroppo, il tutto si sviluppa con la prevedibilità di una soap pomeridiana e la profondità di una pianta grassa. Álvaro Rico, già visto in “Elite”, prova a dare una dimensione al suo Elmer ma resta intrappolato in una scrittura che non gli lascia spazio per esplorare le giuste sfumature e, in più passaggi, invece che atarassico sembra completamente spaesato. Cecilia Suárez è l’unico personaggio realmente interessante: un concentrato di controllo, gelosia e manipolazione, e riesce con abilità a portare a galla quelle tensioni che la trama non approfondisce con la giusta credibilità e incisività.

Catalina Sopelana, che interpreta Violeta, è praticamente la scheggia impazzita che serve a giustificare la direzione di una sceneggiatura miseramente piatta. I due detective (Maria Vazquez nei panni di Carrera e Francis Lorenzo in quelli di Torres) che dovrebbero rappresentare il lato investigativo della vicenda, sembrano usciti da una sit-com degli anni Novanta: goffi, inutili, e alle prese con una sottotrama romantica completamente superflua oltre che un pochino compassionevole.

Visivamente parlando cosa vogliamo dire? “Il Giardiniere” non osa. La fotografia è funzionale ma priva di guizzi, e certe sequenze sembrano rigenerate con un filtro di intelligenza artificiale, come nel caso delle immagini della nonna di La China, un dettaglio che stona con l’ambizione (giusto su carta, per l’appunto) drammatica dello show. A fare da sfondo alle vicende che si susseguono sono i bei scorci di Madrid e Toledo, set scelti per girare le riprese all’esterno. La colonna sonora cerca disperatamente di aggiungere pathos dove la sceneggiatura non arriva: si passa dal Lacrimosa di Mozart (usato con una retorica quasi tragicomica) a “I love you” di Billie Eilish in una scena di sesso che dovrebbe commuovere e invece fa alzare gli occhi al cielo. E siamo fin troppo buoni!

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La serie gioca con temi importanti come violenza domestica, manipolazione genitoriale, incapacità emotiva, ma si limita giusto a sfiorarli. Non scava, non riflette, non indaga. Sembra più interessata a “marcare il territorio” del contemporaneo con etichette sociali di tendenza che a offrire una reale prospettiva o una narrazione potente. Insomma, se voleva fare male non è riuscita nel suo intento. Il risultato è una storia che si arrotola su se stessa in sei episodi da 45 minuti che, al netto di qualche spunto sparso qua e là, diventano ben presto ripetitivi e privi di vera evoluzione. Il rapporto madre-figlio, unica dinamica degna di nota, resta irrisolto e sfuma nel finale come un’occasione persa.

“Il Giardiniere” è una di quelle serie che vorrebbero dire qualcosa di profondo ma finiscono col ripetere luoghi comuni e cavalcare, in modo ruffiano ma poco originale, i topic sociali e culturali del momento. Non è abbastanza provocatoria per essere disturbante, né sufficientemente brillante per coinvolgere davvero. Il suo successo su Netflix è forse più sintomo della curiosità del pubblico che di una reale qualità artistica. In sintesi, se cercate una narrazione serrata, personaggi complessi e un crime/thriller che scavi sotto la superficie, questo non è il giardino che fa per voi.

Al massimo, vi ritroverete a potare qualche stereotipo narrativo di una banalità disarmante. E chissà, forse nella seconda stagione – se mai ci sarà – spunterà finalmente qualcosa di più interessante. Ma per ora, l’unico vero mistero resta capire come questa serie sia finita in cima alla classifica. Se vale l’epitaffio del “non fiori ma opere di bene“, concentratevi su altro. Magari andate a cena fuori.

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