• Musica
  • Cinema
  • Entertainment
  • Teatro
  • Speciali
  • Interviste
  • Libri
  • Attualità
  • News
  • A spasso nel tempo
  • Musica
  • Cinema
  • Entertainment
  • Teatro
  • Speciali
  • Interviste
  • Libri
  • Attualità
  • News
  • A spasso nel tempo
Home » Cinema Featured

Recensione. “Gli occhi degli altri”: il delitto Casati Stampa ispira un thriller tra eros, potere e solitudine

Sara Paneccasio Posted On 19 Ottobre 2025
0


0
Shares
  • Share On Facebook
  • Tweet It

Uscirà al cinema solo a marzo, ma dopo la presentazione tra i film in concorso alla Festa del Cinema di Roma, ha già scatenato curiosità e perplessità. Con “Gli occhi degli altri“, Andrea De Sica – dopo “I figli della notte” e “Non mi uccidere” – torna a indagare il potere e la fragilità dell’animo umano, mettendo in scena un’alta società anni Sessanta cupa, kitch, teatrale nella sua ricchezza eppure profondamente malata. Un mondo che si crede libero ma è solo prigioniero del proprio lusso e del proprio desiderio di dominio.

Liberamente ispirato al delitto Casati Stampa del 30 agosto 1970, il film trasfigura un fatto di cronaca (di cui cambia i nomi e le date, spostando l’omicidio alla notte di Capodanno) in un racconto più universale e inquietante: il potere del maschile che si traveste da libertà, l’eros che si fa controllo, e la solitudine che si cela dietro ogni illusione di onnipotenza.

Sinossi

Anni ’60. Lelio (Filippo Timi) è un onnipotente marchese che possiede un’intera isola privata, dove intrattiene un’annoiata relazione con sua moglie, incute timore nella servitù. Ogni weekend organizza partecipatissimi party di lusso, lasciando che i suoi ospiti alloggino nell’immensa ed elegante casa, a cui si accede salendo scale scavate nella roccia a strapiombo sul mare. Incontra Elena (Jasmine Trinca) proprio durante una di queste feste e resta completamente affascinato della sua audacia, nonostante sia la moglie di un suo “caro” amico.

Tra una battuta di caccia e una serie di sfrontate e sarcastiche chiacchiere tra gli invitati, i due promessi amanti trovano il modo di incontrarsi ed iniziare una relazione all’interno del faro. L’anno dopo sono sposati, l’andazzo prosegue e i due vivono una relazioni di inesauribile passione erotica, consumata e alimentata da una particolare passione di lui: offrire il corpo di sua moglie a chiunque incontrino (e che lui reputi adeguati), filmando l’amplesso molto da vicino. Lelio usa la sua cinepresa come un’arma – si nomi come in inglese to shoot significa sia sparare che riprendere – , tanto che la tiene nella stanza del faro con la teca dei fucili e gli uccelli imbalsamati, in un cassetto appena sotto di essi.

All’inizio Elena sembra godere di questo scabroso gioco ma, quando l’umore di lei comincia a cambiare, ad annerirsi, la vera natura di Lelio comincia a manifestarsi con modi sempre più controllanti e inquietanti.

L’estetica della decadenza

Andrea De Sica costruisce “Gli occhi degli altri” come un grande affresco della decadenza borghese, mostrando il clima cupo e artificiale dell’alta società degli anni Sessanta. Gli ambienti – sontuosi, carichi, quasi teatrali – riflettono l’ipocrisia di una classe sociale che confonde il lusso con la libertà. Le feste mondane sull’isola, tra maschere, battute di caccia e rivelazioni imbarazzanti, diventano una parodia del progresso: dietro lo scintillio si nasconde un abisso morale – quello di un’alta società kitsch, corrotta e compiaciuta del proprio vuoto.

Lo sguardo di De Sica, raffinato ma impietoso, ricorda Pasolini e Bertolucci, ma anche Hitchcock e Godard (“Il disprezzo” è evocato dalla scalinata e dal rapporto triangolare). “Gli occhi degli altri” fonde erotismo e orrore, sensualità e violenza, fino a rivelare la falsità del mito libertino: dietro la “modernità” si cela la mascolinità tossica, la volontà di possedere l’altro come oggetto, di dominarlo fino a svuotarlo.

Leggi anche: Recensione. “Fuori la verità”: si può sacrificare la famiglia per un milione di euro?

La fotografia – firmata da Gogò Bianchi – amplifica il contrasto tra lo sfarzoso buio degli interni e l’immensità del mare, tra la luce che avvolge (inizialmente) Elena e l’ombra che inghiotte Lelio. Ogni dissolvenza in nero è un salto temporale, un varco nell’abisso.

Consenso, controllo e solitudine

Al centro del film c’è il tema del consenso, continuamente messo in discussione. All’inizio il rapporto tra Lelio ed Elena sembra basato sulla complicità e sul gioco condiviso, ma presto emerge il vero motore: il desiderio di controllo di un uomo tremendamente solo. Lelio crea il vuoto intorno a sé e intorno alla donna che ama, trasformando il loro amore in una gabbia dorata.

La scena del revenge porn ne è l’apice: attraverso lo sguardo in camera di Jasmine Trinca, si ribalta la prospettiva, rivelando quanto il libertinismo del marchese fosse solo uno strumento di potere e di possesso. È lì che il consenso si spezza e la libertà si dissolve.

“Gli occhi degli altri” parla dunque di mascolinità tossica travestita da modernità, di una libertà illusoria che non è emancipazione ma solitudine profonda. Secondo il racconto di De Sica, Lelio non è un rivoluzionario né un mostro: è un uomo pateticamente solo, un individuo che crede di poter possedere tutto – il corpo, l’amore, la natura – e che finisce invece per essere divorato dal suo stesso isolamento.

La spiegazione di Andrea De Sica

“L’idea dietro al film era quella di prendere un’immagine chiara e nitida degli anni ’60 con la loro spensieratezza e cercare invece di distorcerla per raccontare qualcosa che si è sempre celato dietro a quella immagine. Un’immagine che secondo me traghetta questo film dal passato fino al presente e al contemporaneo, a un mondo che io mi domando se sia davvero così diverso da quello – ha spiegato Andrea De Sica, introducendo l’argomento, prima di passare a raccontare l’origine dell’ispirazione. – Mi sono avvicinato a questa storia esplorando i luoghi dove è avvenuta, quando un’estate mi sono ritrovato nella villa abbandonata di Zannone, dove i marchesi Casati Stampa andavano a cacciare. Un posto molto privato, nel quale non sapremo mai veramente cosa sia successo: una villa nella quale la suggestione sinistra e fascinosa è stata talmente forte che mi sono reso conto che poteva diventare il palcoscenico di una tragedia, di un incubo consumato sotto la luce del sole. Partendo da quella vicenda, della quale si hanno notizie abbastanza pruriginose ma molto scarne e non provate, abbiamo cercato di fare uno sforzo di trasfigurazione, evitando il cronachistico e il giallo – anche perché già si sa chi sia l’assassino – per entrare in modo avventuroso e rischioso dentro la complessità di un rapporto che mescola in modo molto complesso l’amore e la violenza.“

Corpi, sguardi e silenzi

La regia riduce i dialoghi al minimo, affidando tutto ai corpi e agli sguardi: la tensione nasce dai silenzi, dalle pause, dalle inquadrature che sembrano scrutare più che raccontare.
In questo film dal linguaggio quasi esclusivamente visivo, Jasmine Trinca e Filippo Timi si muovono con una precisione straordinaria. Trinca offre un’interpretazione controllata ma intensissima, costruita su piccole incrinature, sguardi e movimenti impercettibili; Timi è il riflesso del potere e della fragilità, un uomo che dietro l’eleganza cela la miseria emotiva.

Il marchese, infatti, non appare mai come un mostro, ma come un uomo profondamente solo, incapace di vivere se non attraverso la dominazione dell’altro. La sua è una mascolinità distruttiva, che finge libertà ma in realtà rivela solo un disperato bisogno di possesso.

Leggi anche: Recensione. “Breve storia d’amore”: Fogliati e Giannini tra ossessione, amore e vendetta

Spiega Jasmine Trinca durante la conferenza stampa alla Festa del Cinema di Roma: “Nel film è forte la questione della contemporaneità e della modernità, perché Andrea ha formato un film storicizzato, che si richiama a un caso di cronaca e che parla degli anni Sessanta raccontando una classe sociale nei suoi aspetti più oscuri. Non si tratta di persone non alfabetizzate emotivamente, ma gente ricca, acculturata, che però ha una visione molto netta del possesso amoroso – che trascende la loro classe sociale. Oggi, quando ci domandiamo come avvenga un femminicidio o in che contesto, è importante sottolineare che non si tratta di in un contesto di miseria umana, ma anzi può essere un contesto di benessere. Perché il duro schifo pseudo-culturale su cui si basa quella cosa lì è proprio il potere. Un potere maschile che pensa di poter disporre di tutto, come in questo caso: della natura, di un’isola, degli altri invitati. Loro [Elena e Lelio, ndr] non hanno niente di moderno. Nonostante certe pratiche pruriginose per cui tutti noi diciamo “Ullalà, che modernità, che sconvolgimento, che scandalo”, sono due figure antiche, appartenenti a un retaggio culturale prevaricante che però continua a duplicarsi, cosa che vediamo anche nell’attualità. Ed è un altro merito del film, secondo me, oltre ai tanti meriti artistici che ha.“

Una struttura frammentata

In realtà, la narrazione de “Gli occhi degli altri” risulta eccessivamente frammentata: tra un salto e dialoghi poco profondi, si ha la sensazione che non si dia abbastanza spazio alle dinamiche emotive – per mostrare cosa e perché è andato storto fino a condurre al tragico epilogo. Le ellissi temporali creano un forte distacco e la sensazione, nello spettatore, di aver perso troppo. Ogni dissolvenza sembra cancellare un pezzo di storia, di relazione, di umanità. Non sappiamo davvero le ragioni dietro la svolta tragica: né cosa spinga Elena a smarrirsi, né cosa faccia precipitare Lelio nel suo delirio di onnipotenza.

Ciò che lascia maggiormente spaesato lo spettatore è la repentina conversione della storia dei due amanti in una questione di abuso e prevaricazione, nonostante inizialmente descriva con accuratezza, la complicità e l’assenso dei due.

Probabilmente qualche minuto in più (rispetto ai 90 del film) sarebbe bastato ad approfondire la psicologia dei personaggi e sostenere fino in fondo l’amarezza che “Gli occhi degli altri” vorrebbe evocare.

Leggi anche: Recensione. “40 secondi”: una storia cruda per gridare “Sto dalla parte di Willy”

La falsa libertà del potere

Alla fine, la vita dei marchesi non appare affatto spregiudicata o moderna: il loro non è un esperimento libertino, ma la parabola patetica di un uomo convinto di poter comprare tutto e tutti – anche l’amore – e di poter controllare ogni cosa.

“Gli occhi degli altri” è un film elegante e disturbante, con una fotografia ottima, interpretazioni intense e uno spiccato senso di tragedia, ma eccessivamente veloce. Andrea De Sica firma un’opera ambiziosa, visivamente impeccabile e concettualmente densa, che tenta di far dialogare passato e presente, svelando come il potere e il possesso – allora come oggi – restino le più feroci forme di violenza.

Correlati

0
Shares
  • Share On Facebook
  • Tweet It




You may also like
Marco Bellocchio alla Festa del Cinema: da “I pugni in tasca” ai nuovi progetti
24 Ottobre 2025
“Il cinema non può essere arrestato”: la masterclass di Jafar Panahi alla Festa del Cinema
23 Ottobre 2025
Recensione. “Io sono Rosa Ricci”: l’educazione criminale della protagonista di “Mare Fuori”
23 Ottobre 2025
Recensione. “Allevi – Back to Life”: il mieloma trasformato in musica
Read Next

Recensione. “Allevi – Back to Life”: il mieloma trasformato in musica

  • Popular Posts

    • 1
      Melania Giglio sul palco del Teatro dei Marsi con "Sogno di una notte di mezza estate"
    • 2
      "Depravazione (A proposito della neve bagnata)": nuovo appuntamento col Teatro Off di Avezzano
    • 3
      "La vostra presenza è un pericolo per le vostre vite": ventisette voci palestinesi nel libro di Samar Yazbek

  • Seguici sui Social


  • Home
  • Chi siamo
  • Contatti
  • Home
  • La redazione
  • Privacy Policy
© Copyright 2024 - Associazione Culturale EREBOR - Tutti i diritti riservati
Press enter/return to begin your search