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Recensione (con spoiler). L’Eternauta: l’attesa non ripaga le aspettative

Federico Falcone Posted On 2 Maggio 2025
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C’è più amarezza che soddisfazione, nella trasposizione televisiva Netflix del celebre fumetto argentino “L’Eternauta“. Non si può certo dire che la serie tv, che ha debuttato sulla piattaforma streaming il 30 aprile, abbia finora convinto fan di vecchia data e appassionati della serialità in tutte le sue declinazioni: dalla fantascienza distopica all’ambientazione d’isolamento, dall’avventura alla sopravvivenza.

A giudicare dai commenti che si sono riversati sui social network in queste ore, il giudizio, per quanto non ancora netto né, chiaramente, definitivo, risulta però abbastanza negativo. Insomma, l’attesa non sembrerebbe essere stata ripagata. “L’Eternauta” è un’opera importante per la cultura argentina come per tutti gli amanti delle graphic novel ma questa serie, per quanto ambiziosa, inciampa sotto il peso del suo stesso mito.

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Curati con attenzione da Bruno Stagnaro e impreziositi dalla presenza magnetica di Ricardo Darín, i sei episodi che compongono questa stagione riescono a evocare il tono malinconico e crepuscolare del fumetto, ma ne smussano le spine politiche più affilate scegliendo una strada più convenzionale, quasi “globalizzata”, che ha finito per spiazzare chi conosce a fondo l’opera di Héctor Germán Oesterheld. Il concetto stesso di Resistenza è latente e trattato con superficialità proprio perché limitato, invece, alla sopravvivenza di chi, dal niente, è suo malgrado protagonista di una lotta per restare in vita. Parliamo, però, di un prodotto più affascinante nella forma che nella sostanza, principalmente per i demeriti di una sceneggiatura poco incisiva.

Tutto ha inizio in una casa di Buenos Aires, dove un gruppo di amici – Juan Salvo, Lucas, Polsky, Alfredo e Ana – si ritrova per una serata tranquilla tra carte, musica e whisky. Un black-out improvviso e una nevicata silenziosa che, da lì a poco si scopre tossica, stravolgono le loro esistenze. La neve, che cade soffice e silenziosa, uccide all’istante chiunque ad essa sia esposto: esseri umani, animali, ogni forma di vita. L’Argentina è piombata in un’apocalisse. Juan, l’”eternauta”, è il protagonista di una lotta per la sopravvivenza in una città che ora dopo ora si desertifica e diventa un cimitero a cielo aperto. Mentre cerca disperatamente sua figlia Clara, si scontra con altre bande di sopravvissuti, affronta minacce invisibili, lotta contro le sue allucinazioni e prende coscienza di una verità più grande di lui: dietro la nevicata si nasconde un’invasione aliena orchestrata da entità superiori.

Ci piacerebbe parlare di un crescendo di azione ma, soprattutto, di pathos, e invece il primo elemento scarseggia mentre il secondo, sebbene a marce ridotte, cresce gradualmente. Non di rado, però, ci sono dei momenti morti e passaggi narrativi poco approfonditi. Il racconto si focalizza più sul clima psicologico che sull’azione frenetica, esplorando la solitudine, la paura, il collasso sociale e il senso di spaesamento. In questo paesaggio rarefatto, la ricerca di Clara diventa anche la ricerca di un senso, di un nuovo ordine in un mondo che ha smesso di funzionare.

Questo, probabilmente, è il dettaglio più interessante e immediatamente captabile: la regia non cede alla velocità, all’alzare il ritmo quando se ne ravvisano le circostanze, all’impazienza di arrivare al nocciolo della questione. Bene, invece, che venga tutto tratteggiato con lo stupore e l’incredulità dei personaggi di fronte a un mondo che, improvvisamente, si è rovesciato. Piano piano vengono snocciolati elementi che aggiungo curiosità e stupore, come l’apprendere, tramite radio, che tutto il Continente sudamericano è piombato nell’anno zero.

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Anche se l’adattamento Netflix conserva la trama principale dell’opera originale, ne modifica profondamente l’anima. Pubblicato tra il 1957 e il 1959 su Hora Cero Semanal, L’Eternauta non era solo una storia di fantascienza: era un manifesto politico, un grido di denuncia travestito da avventura. Oesterheld scrisse il fumetto in un’Argentina segnata da instabilità politica e repressione, il suo eroe non era un leader carismatico ma un uomo qualunque che diventava eroe grazie all’azione collettiva e alla solidarietà. La Resistenza, appunto, portata avanti da chi si ritrova, suo malgrado, a fronteggiare un’ombra nera. Un’opera che è andata bene oltre la volontà d’intrattenere. Aveva molto altro da dire.

La serie, invece, sposta l’ambientazione all’Argentina di oggi (quella del Presidente Milei che, con le sue tensioni sociali e il drastico piano di austerità, ha spaccato di netto l’opinione pubblica del Paese) e ne approfitta per aggiornare le tematiche al fine di renderle contemporanee. Emergono il conflitto generazionale (incarnato nel personaggio di Pablo), la lotta per le risorse e l’isolamento urbano. Controverso come la Resistenza, poi, passi attraverso il rifugio in un centro commerciale che incarna il capitalismo in tutta la sua essenza.

Ma il senso profondo di comunità resistente non è proprio convincente. Al centro della narrazione c’è Juan, trasformato in un protagonista solitario, quasi un eroe western del nuovo millennio. E la domanda, allora, inevitabilmente, sorge: perché? Era davvero necessario compiere una trasposizione di questo tipo quando l’opera originale ci aveva messo a disposizione, invece, una base di partenza pressoché perfetta?

Il messaggio si sposta da “insieme possiamo resistere” a “vai per la tua strada”. Una scelta forse inevitabile per il linguaggio seriale contemporaneo, ma che altera profondamente l’essenza dell’opera madre e che quindi, almeno per chi scrive, snatura completamente il messaggio del fumetto. Insomma, questa serie da esso prende ma da esso stesso si allontana. A evitare che i danni siano ancora maggiori di una sceneggiatura “maldestra” (in fondo in fondo siamo buoni anche noi) ci pensano la regia e la fotografia che rappresentano in maniera egregia uno scenario distopico e simil-apocalittico.

I silenzi e i primi piani aggiungono il senso di smarrimento e l’incredulità. I volti degli attori e delle attrici contribuiscono al clima di angoscia e paura. Una nevicata, sebbene intensa, non è rumorosa come una pioggia battente o un uragano e bene fa, la regia, a centellinare gli inserti musicali ed a fare leva sul silenzio dei fiocchi bianchi che si posano.

Purtroppo, però, di note positive in grado di salvare questo prodotto seriale non ce ne sono molte altre. Il ritmo è, a tratti, troppo cadenzato ed eccessivamente lento, in diversi episodi ci sono dei vuoti da colmare e dei buchi di trama cui mettere una pezza, come l’alternanza tra episodi brevi e lunghi è spiazzante per lo spettatore. Da bocciare, senza appello, la deriva individualista che “L’Eternauta” prende: non c’è più una mission collettiva ma personale, e questo ribalta il paradigma narrativo del fumetto fino a connaturare questo prodotto come qualcosa di già visto e rivisto. Peraltro, proprio in queste settimane, l’attenzione è focalizzata sulla seconda stagione di “The Last of Us” e, in questo parallelismo, “L’Eternauta” ne esce a pezzi.

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La serie Netflix non è da condannare in toto ma, certamente, rappresenta un’occasione mancata, per lo meno in questa prima stagione. Si tratta di un adattamento ispirato ma non proprio devoto, che preferisce la forma alla sostanza e l’individuo al collettivo. E’ una scelta chiara e marcata, quindi ognuno si farà la propria idea. Resta un progetto importante perché porta alla ribalta internazionale una delle opere più significative della narrativa grafica del XX secolo. Se avrà un merito, sarà quello di far scoprire a nuove generazioni la potenza originaria del fumetto di Oesterheld.

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