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Recensione. “Breve storia di una famiglia”: una pellicola che scava nei silenzi della borghesia urbana cinese

Federico Bianchini Posted On 1 Agosto 2025
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Con “Breve storia di una famiglia“, uscito nelle sale italiane il 31 luglio 2025 distribuito da Movies Inspired, Lin Jianjie firma un debutto registico tanto controllato quanto denso di implicazioni morali, sociali ed emotive. Presentato al Sundance Film Festival 2024 e successivamente al 74° Festival Internazionale del Cinema di Berlino, il film ha conquistato il Black Panther Award 2024 al Noir in Festival, segnalandosi come uno dei titoli emergenti più interessanti del nuovo cinema cinese. Un’opera dal passo lento ma lucido, che pur indulgendo in qualche compiacimento estetico, affascina per la sua capacità di mettere in scena l’inquietudine sotto la superficie levigata della famiglia perfetta.

Il cast è guidato da Lin Muran nei panni del giovane protagonista Tu Wei, affiancato dal talentuoso Sun Xilun nel ruolo dell’enigmatico Shuo. Completano il nucleo familiare Zu Feng, nel ruolo del padre biologo, e Guo Keyu, madre elegante ed ex assistente di volo, simboli di una borghesia cinese immersa in benessere, ordine e un’apparente armonia. Ambientato in una Cina contemporanea, non più rurale o arretrata, ma pienamente immersa in una modernità high-tech fatta di skyline e interni domotici, il film si svolge all’interno di una casa tanto elegante quanto sterile, abitata da una famiglia piccolo-borghese apparentemente impeccabile. Wei è un adolescente curioso e brillante che vive con due genitori affettuosi ma distaccati, nel rispetto implicito di ruoli e regole.

Un giorno, dopo un piccolo incidente scolastico, Wei stringe un legame con Shuo, un compagno di classe silenzioso e solitario, proveniente da una realtà familiare opposta: madre assente, padre violento, un passato che trasuda ferite non rimarginate. Per rimediare all’incidente, Wei invita Shuo a casa propria per passare del tempo insieme. Quella che comincia come una semplice visita si trasforma lentamente in una convivenza informale, nella quale Shuo conquista la fiducia – e forse qualcosa di più – dei genitori di Wei.

La presenza di questo giovane esterno agisce come detonatore perché ciò che sembrava statico e rassicurante inizia a incrinarsi. I genitori, colpiti dal talento e dalla fragilità del ragazzo, iniziano a interrogarsi su ciò che manca nelle loro vite e su ciò che realmente desiderano. Al tempo stesso, Shuo si insinua con discrezione ma crescente influenza nella dinamica familiare, fino a portare alla luce tensioni irrisolte e segreti rimossi, in un crescendo emotivo che, senza scivolare nella drammatizzazione urlata, mantiene un registro freddo e quasi clinico. Jianjie costruisce un’opera sospesa tra thriller psicologico e dramma borghese, capace di far emergere l’invisibile attraverso la composizione dell’inquadratura e l’uso calibrato del silenzio. L’estetica minimale, priva di fronzoli, non è mai fine a sé stessa ma serve a suggerire le crepe nel sistema familiare, nella società e nei personaggi.

La Cina rappresentata nel film è quella post-politica del figlio unico, una società attraversata da disuguaglianze profonde e da un benessere diffuso ma incapace di offrire vere connessioni. “Breve storia di una famiglia” indaga le ambiguità del desiderio, della colpa e dell’identità, utilizzando il personaggio di Shuo come elemento di disturbo ma anche di rivelazione, in una sorta di variante intima e domestica del “corpo estraneo” che destabilizza, come accade in film come Parasite o Il talento di Mr. Ripley.

Tuttavia, dietro la sobrietà formale si avverte un’urgenza sincera: quella di comprendere cosa significhi davvero appartenere a una famiglia, e quanto siano fragili le impalcature su cui costruiamo le nostre relazioni più intime. Anche la colonna sonora di Toke, usata con estrema parsimonia, contribuisce a questo clima sospeso, fondendosi con i suoni ambientali di una città che respira sotto traccia, come i pensieri inespressi dei protagonisti.

!Breve storia di una famiglia” è un film che non si lascia amare facilmente, ma che sa conquistare chi è disposto a entrare nel suo ritmo lento e riflessivo. È un esordio maturo, ambizioso e non privo di imperfezioni, ma capace di restituire una visione personale e complessa della Cina contemporanea e del mistero familiare. Un cinema che non offre risposte, ma pone domande scomode – e proprio per questo, necessarie.

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