Recensione. “40 secondi”: una storia cruda per gridare “Sto dalla parte di Willy”
Tra i film in concorso alla Festa del Cinema di Roma, spicca “40 secondi“, il film di Vincenzo Alfieri – tratto dal romanzo omonimo di Federica Angeli – che ripercorre le 24 ore che precedono l’uccisione del giovane Willy Monteiro Duarte a Colleferro nel 2020.
Alle 3.15 del 6 settembre di cinque anni fa, un litigio per un semplice equivoco si trasformò in un pestaggio di una violenza inaudita per mano dei fratelli Gabriele e Marco Bianchi, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia.
“40 secondi“, al cinema dal 19 novembre, ripercorre il giorno precedente, intrecciando incontri casuali, rivalità e tensioni latenti per indagare la natura umana e i suoi condizionamenti.
Leggi anche: Recensione “Cinque secondi”: il ritorno di Paolo Virzì tra solitudine, colpa e rinascita
“Quando mi è stato proposto il film ero titubante perché questa è una storia che era già stata tanto raccontata sui giornali e c’era stata una grande sovraesposizione mediatica”, spiega il regista in conferenza stampa alla Festa del Cinema di Roma. “Una cosa che mi ha colpito è che nelle prime pagine del suo libro d’inchiesta, Federica si interroga su cosa avesse potuto fare Willy la mattina appena sveglio o i fratelli Bianchi. Io e Giuseppe Stasi, il mio co-sceneggiatore, ci siamo detti che forse era proprio questo che dovevamo raccontare. Non una storia in senso classico, ma una fotografia dei personaggi in una giornata tipica di un’estate torbida del 2020 post Covid. Un momento storico in cui venivamo da un grande sentimento di rabbia per quello che stava capitando. Ma c’era anche la necessità di andare oltre“.
Il cast
Il cast di “40 secondi” comprende molti non-attori scelti attraverso lo street casting (tra cui lo stesso Justin De Vivo, interprete di Willy, che racconta di essere stato selezionato in discoteca), ma anche apprezzati volti del cinema italiano come Francesco Gheghi, Enrico Borello, Francesco Di Leva e Sergio Rubini.
“Ci sono dei film che non vanno scelti per interpretare un personaggio, ma perché finalmente ti viene data la possibilità di poter dire da che parte stare”, ha spiegato Di Leva. “E visto la mia natura di essere umano, di cittadino – anche rispetto a tutte le cose che provo a fare insieme a dei colleghi nel mio quartiere a San Giovanni a Teduccio – per me era impensabile non stare in un progetto in cui potevo gridare da cittadino e da attore: ‘Sto dalla parte di Willy’“.
(l’articolo continua sotto la foto)

L’importanza dei dettagli
“40 secondi” non è un documentario ma presenta un notevole taglio documentaristico: la macchina da presa si sofferma sui più piccoli dettagli – dal sugo che bolle all’aspirina nel bicchiere, passando per inquadrature molto zoomate. Ma non solo sugli oggetti: Alfieri sta attaccato ai personaggi, li segue ovunque e li riprende da tutte le prospettive. Spesso si sofferma sui piedi, sulle bocche, sui capelli, sulle mani, sui tatuaggi, sugli occhi. Si pone una particolare attenzione alle microespressioni e ai piccoli movimenti di ogni singolo personaggio. Un lavoro semplice secondo il regista che afferma “tutti loro sono facilmente inquadrabili così da vicino, perché nascondono un mondo dentro e hanno uno sguardo che contiene molta verità“.
Leggi anche: Recensione. “Breve storia d’amore”: Fogliati e Giannini tra ossessione, amore e vendetta
Il realismo
Il film cambia i nomi di alcuni dei protagonisti di questa triste vicenda (in primis quello dei gemelli Gabriele e Marco Bianchi, qui Lorenzo e Federico) e scende nel particolare delle loro singole vite e relazioni, con un certo realismo.
Racconta Alfieri: “Ho vissuto in paesi dove la noia la fa da padrona, dove situazioni spiacevoli si vengono a creare molto spesso. Nei dialoghi e nel modo di accettare la vita c’è molto di me e dei miei amici dell’epoca. Ho cercato di essere fedele agli adolescenti intervistandoli, seguendoli e capendo come parlano, vestono o pensano. Perché quando andavo al liceo e mi venivano proposti i cosiddetti ‘film generazionali’, venivano sempre fatti da registi e sceneggiatori che poco parlavano veramente agli adolescenti”.
“40 secondi” o la banalità del male
Il film di Alfieri è un racconto ad episodi: in 115 minuti si analizza la stessa giornata, fino a mezz’ora prima dell’uccisione ai danni di Willy, per ben quattro volte. Vediamo la versione dell’impacciato Maurizio (Francesco Gheghi) che aspira ad entrare nelle grazie dei temuti gemelli, quella dell'”oggetto di contestazione” Michelle (una convincente Beatrice Puccilli, il cui viso ricorda la nota Sidney Sweeney), quella dei gemelli e solo infine quella di Willy.
Già, la vittima di questa tragica storia appare in realtà solo dopo un’ora e mezza di film. Perché “40 secondi” è un racconto corale di una tragedia che non ha un solo colpevole e di una violenza che non nasce dal nulla. Uno spietato e realistico racconto sulla banalità del male, molto più vicino ai giovani e giovanissimi (nei temi, nelle immagini e nei dialoghi) di quanto si potesse immaginare.
Leggi anche: Recensione. “Per te”: Edoardo Leo emoziona in una storia (vera) di cura e memoria
La presenza del personaggio di Willy solo nell’ultima parte, in realtà, avvalora ancora di più la cruda verità su cui si concentra questo film: un ragazzo è morto in mezzo ad una rissa violenta e assurda, in cui lui non si inserisce per picchiare, bensì per calmare un amico e tentare di risolvere un semplice equivoco con il confronto. E il film di Alfieri ce lo sbatte violentemente in faccia, già a partire dalla scelta del titolo: “40 secondi” è stato il tempo necessario ai fratelli Bianchi per scendere dall’auto, colpire a morte Willy Monteiro Duarte e risalire sul mezzo per fuggire.
In questo film Willy non è dipinto come un santo, ma come un normale bravo ragazzo che si affaccia al mondo del lavoro e si diverte con gli amici – come tanti dopo tutto. Ma è proprio inserendo dettagli sul suo carattere e sulla famiglia, sugli amici e sui suoi sogni che “40 secondi” aggiunge un nuovo elemento al racconto di questa tragedia già nota e molto mediatizzata. Un elemento che sembriamo dimenticare quando ascoltiamo l’ennesima storia di violenza e che, forse, potrebbe salvare il prossimo Willy: l’umanità.



