Raccontare Moro: il caso raccontato da cinema, letteratura e musica

Il 9 maggio 1978 è una data scolpita con crudeltà nella memoria collettiva italiana. È il giorno in cui il corpo di Aldo Moro venne ritrovato esanime nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani, a Roma, dopo 55 giorni di prigionia nelle mani delle Brigate Rosse. Un omicidio che non solo pose fine alla vita di uno degli statisti più lungimiranti della Repubblica, ma che segnò anche una svolta irreversibile nella storia politica e culturale del Paese.
Aldo Moro, uomo di mediazione e apertura, stava lavorando al “compromesso storico”, un accordo che avrebbe portato il Partito Comunista Italiano, allora guidato da Enrico Berlinguer, a sostenere il governo democristiano. Le Brigate Rosse vollero colpire al cuore dello Stato e, nel farlo, uccisero non solo un politico ma anche una visione del futuro. Quella Renault 4 parcheggiata simbolicamente a metà strada tra la sede della DC e quella del PCI diventò l’immagine plastica di una frattura insanabile.
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A distanza di quasi cinquant’anni, il trauma di quel giorno continua a risuonare nella coscienza nazionale. La memoria di Aldo Moro non è stata consegnata solo agli archivi e ai saggi storici, ma è diventata oggetto di un’elaborazione culturale profonda, che ha attraversato cinema, letteratura e musica. Le arti hanno provato a ricostruire, interpretare, spiegare o semplicemente a rendere tangibile quel dolore.
Il cinema come lente della memoria
Nel panorama cinematografico italiano e internazionale, l’omicidio Moro è stato declinato con toni, approcci e prospettive differenti. Uno dei film più significativi è “Buongiorno, notte” (2003) di Marco Bellocchio. L’opera, ispirata al romanzo “Il prigioniero” di Anna Laura Braghetti, brigatista e carceriera di Moro, adotta uno sguardo intimo, quasi claustrofobico, sulla prigionia del leader democristiano, esplorando il tormento interiore degli attentatori.
Bellocchio ritornerà sul tema nel 2022 con “Esterno Notte“, una miniserie trasformata poi in film, che amplia la prospettiva e moltiplica i punti di vista: dai familiari di Moro ai membri del governo, dal Papa fino agli stessi brigatisti.
Il film per la televisione diretto da Alessandro Casale e interpretato da Sergio Castellitto, “Il Professore – Una lezione da Aldo Moro” offre una prospettiva diversa. L’opera non si concentra sulla prigionia o sull’assassinio del politico, ma ne esplora un lato spesso trascurato: il suo ruolo di docente universitario, il rapporto con gli studenti, e la profondità del suo pensiero giuridico e morale. Il film è ambientato in parte nel presente, con una giovane studentessa che scopre le lezioni di Moro attraverso vecchi appunti e testimonianze, creando un ponte tra le generazioni: una scelta narrativa che permette di raccontare Moro non solo come vittima del terrorismo, ma come uomo delle istituzioni, intellettuale e formatore.
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Anche il cinema documentario ha affrontato la vicenda. “Piazza Fontana – La verità impossibile” (2012) di Marco Tullio Giordana, pur concentrandosi sull’attentato del 1969, traccia un filo rosso che lega gli anni della strategia della tensione fino al caso Moro.
Sono opere che non cercano solo di raccontare, ma interrogano lo spettatore, chiedendo cosa resta oggi di quei giorni.
Il dolore raccontato tra le pagine
Sul piano letterario, il caso Moro ha generato una produzione che oscilla tra la testimonianza diretta e la riflessione filosofica. Leonardo Sciascia fu tra i primi a prendere posizione con “L’affaire Moro“ (1978), pubblicato poche settimane dopo l’assassinio. Un’opera che scuote ancora oggi per la sua lucidità e per la forza con cui denuncia l’inerzia morale e politica delle istituzioni, interrogando lo Stato su ciò che avrebbe potuto – o dovuto – fare.
Nel 2007, “Il corpo del reato” di Marco Baliani affronta la vicenda attraverso la lente del teatro civile, riportando la vicenda nel contesto delle piazze e della partecipazione pubblica.
Recentemente, anche lo scrittore francese Emmanuel Carrère ha dedicato spazio a Moro nel suo “V13“, dimostrando quanto questa vicenda abbia assunto una dimensione quasi mitica nella storia europea.
Musica e memoria: da De André al rock italiano
Anche la musica ha cercato di dar voce al dolore e alla complessità di quel tempo. Fabrizio De André, pur non dedicando direttamente un brano a Moro, raccontò l’Italia degli anni di piombo con sguardo critico e poetico, dando voce a un Paese ferito da troppe contraddizioni. Pierangelo Bertoli, Francesco Guccini e Claudio Lolli furono tra gli artisti che, con più chiarezza, espressero nelle loro canzoni il senso di smarrimento e indignazione dell’epoca.
Più recentemente, band come gli Afterhours e artisti come Giorgio Canali hanno ripreso, con i toni del rock alternativo, il filo del racconto, cercando nuove parole per una ferita che ancora brucia.
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Ricordare fa necessariamente male
Commemorare il 9 maggio non è solo un esercizio di memoria, ma un atto di responsabilità. Rievocare il caso Moro significa confrontarsi con le ambiguità della nostra storia repubblicana, ma anche con la straordinaria complessità di un uomo che, come disse Norberto Bobbio,
aveva il vizio del pensiero
Attraverso cinema, libri e musica, la cultura italiana ha dimostrato di saper raccogliere l’eredità di quella tragedia, trasformandola in occasione di riflessione, elaborazione e, forse, catarsi. Perché la storia non può cambiare, ma la memoria – se coltivata con consapevolezza – può educare.