Quando l’heavy metal piange: l’ultimo struggente show di Ozzy Osbourne. Tutto il mondo ai piedi del Madman

Birmingham, Villa Park. La casa dell’Aston Villa Football Club. Un cielo di ferro, solcato da fuochi d’artificio e cori eterni e teatrali. La città dove tutto è cominciato ha vissuto la sua ultima preghiera con il Sabba Nero, il suo addio al padre fondatore dell’heavy metal. Dei padri fondatori, al plurale, sarebbe più corretto affermare. Ieri, sabato 5 luglio 2025, Ozzy Osbourne ha salutato la sua Birmingham con un concerto che è già passato alla storia, che non è stato solo musica ma è stata un’invocazione, un coronamento, una liturgia laica e maledettamente oscura. “Back to the Beginning”, il titolo dell’evento, era più di un mero o retorico richiamo alle origini ma un ritorno simbolico, un abbraccio finale tra il Principe delle Tenebre e la sua gente. Ozzy, 76 anni, affetto dal morbo di Parkinson, è salito sul palco abbracciando il suo dolore ma spinto dall’indomita volontà feroce di chi non intende lasciare che la voce si spenga nel silenzio. Sopra di un trono, avvolto in un mantello nero, gli occhi cerchiati come nei giorni più folli, ha offerto sé stesso ai presenti e al mondo intero che guardava da dietro uno schermo. Con voce spezzata, certo, ma ancora capace di scavare dentro.
Davanti a oltre 42.000 spettatori giunti da ogni angolo del mondo, il MadMan è salito sul palco per eseguire un set di cinque brani con la sua band storica: Zakk Wylde alla chitarra, Mike Inez al basso, Adam Wakeman alle tastiere e Tommy Clufetos alla batteria. Una scaletta che ha fatto tremare il Villa Park: “I Don’t Know”, “Mr. Crowley”, “Suicide Solution”, “Crazy Train” e l’intramontabile “Mama, I’m Coming Home”. La pelle d’oca è arrivata subito, i cori si sono alzati come preghiere. Lacrime e pugni alzati e corna e urli. Poi, il momento che resterà inciso nella memoria collettiva del rock: la reunion definitiva dei Black Sabbath. Sul palco, dopo vent’anni, Ozzy ha ritrovato Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward. Insieme hanno scatenato l’apocalisse metallara: “War Pigs”, “Iron Man”, “N.I.B.” e, a chiudere, una “Paranoid” da brividi. L’ultima. Per davvero.
“È il mio regalo a Birmingham. Ora posso morire felice“, ha detto Ozzy Osbourne, visibilmente commosso, sul palco. Una dichiarazione che ha fatto trattenere il respiro a tutti. E la moglie Sharon, regista silenziosa di questo addio, ha confidato: “Questo concerto gli ha dato un motivo per alzarsi ogni mattina”. Non è mancata la poesia triste del tramonto. Ozzy, visibilmente provato, ha cantato con dolore, ma anche con una lucidità disarmante. “Sono ancora vivo. Non riesco più a camminare, ma posso ancora cantare.” Ha confessato al microfono. E il pubblico ha risposto con applausi infiniti. Nessuno voleva che finisse.
Ma “Back to the Beginning” non è stato solo l’addio di Ozzy. È stato il tributo di un’intera galassia ai suoi padri. Una lineup colossale ha riempito il Villa Park sin dal pomeriggio: Metallica, Slayer, Pantera, Tool, Gojira, Anthrax, Alice in Chains, Lamb of God, Halestorm, Mastodon. E fuori dal genere, icone come Billy Corgan, Slash, Fred Durst, Jonathan Davis, Sammy Hagar, Zakk Wylde, Steven Tyler. Sul palco, anche un supergruppo improvvisato guidato da Tom Morello, direttore musicale dell’evento, che ha definito lo show “il più grande spettacolo heavy metal della storia”.
A presentare e condurre la giornata, un ospite d’eccezione: Jason Momoa, volto di un’epica cinematografica che ben si sposava al tono mitologico della serata. Un intero giorno di musica, trasmesso anche in streaming globale grazie a Mercury Studios e Kiswe, e disponibile per la visione per 48 ore. I biglietti sono andati esauriti in venti minuti, con prezzi che oscillavano tra i 236 e i 3.000 euro. Il ricavato, completamente devoluto in beneficenza, andrà a tre organizzazioni: Cure Parkinson’s, Birmingham Children’s Hospital e Acorn Children’s Hospice.
Questo concerto non è stato un semplice commiato. È stato un funerale heavy metal riservato agli Dei, un’ode collettiva a ciò che è stato e non sarà più. Un tramonto. L’alba di un nuovo giorno. Ozzy ha chiuso un ciclo che ha attraversato sei decenni di musica e lo ha fatto nella città in cui, nel 1968, quattro ragazzi sognavano di fuggire dalla fabbrica con una chitarra e un amplificatore. La classe operaia è diventata leggenda. Oggi, quella leggenda si è seduta su un trono nero e ha cantato per l’ultima volta. E noi, sotto quel cielo piombo, l’abbiamo ascoltata.