Paul Auster, un anno dopo: l’eco immortale di New York nella sua narrativa

E’ passato un anno anno dalla morte di Paul Auster, il mondo della letteratura internazionale continua a interrogarsi sul significato della sua opera. New York, la sua città, quella che non dorme mai, non ha fatto solo da sfondo ai suoi scritta ma è stata altresì protagonista vivo, pulsante, spesso insondabile dei suoi lavori. Auster è stato scrittore, sceneggiatore, poeta e saggista, ha attraversato le pagine della letteratura contemporanea con uno stile che ha saputo coniugare l’introspezione filosofica alla tensione narrativa del noir, la malinconia esistenziale all’ironia del caso. Non a caso ha conquistato un pubblico traversale e, non a caso, le sue pagine hanno influenzato anche il mondo del cinema.
New York, per Auster, è stata molto più di una metropoli, qualcosa di più vicino a un labirinto esistenziale dove il destino si scontra con il libero arbitrio e dove ogni vicolo rappresenta un crocevia di rivelazioni o perdizioni. Nei suoi romanzi, la città non è soltanto un ambiente ma è una coprotagonista che accompagna e asseconda l’avvicendarsi degli eventi che si susseguono. Oscura e magnetica in “Trilogia di New York” (1985-1986), alienante ma gravida di possibilità in “Moon Palace” (1989), teatrale e profondamente umana in “Sunset Park” (2010).
Auster non ha mai ceduto a una visione da cartolina di Manhattan, troppo stereotipata nelle narrazioni da lui intercettate tra l’opinione pubblica, ma ha invece scavato nei suoi interstizi, raccontando una New York degli spazi vuoti, dei silenzi urbani, delle vite marginali. I suoi personaggi — scrittori falliti, investigatori smarriti, artisti vagabondi — vagano in una metropoli che è metafora dell’identità frammentata e della memoria instabile. Il suo Bronx non è il Bronx dell’urlo sociale, ma quello del pensiero che si riflette, si perde e si ritrova nei passi. Non c’è una visione patinata di colore pastello della Grande Mela, bensì grigia e opaca, spesso smorta e spenta. La sua New York è come il lato oscuro della Luna.
Auster ha saputo far convivere elementi postmoderni con una tensione narrativa classica, quasi dickensiana. I suoi libri sono labirinti letterari, ma mai gratuiti: ogni pagina è un invito a interrogarsi sul significato dell’identità, della narrazione, della possibilità stessa di raccontare il mondo. La scomparsa di Paul Auster ha lasciato un vuoto enorme nel panorama della letteratura mondiale. Autore tradotto in oltre 40 lingue, è stato per decenni un punto di riferimento per chi cerca nella letteratura non tanto risposte quanto domande ben formulate. Ha influenzato generazioni di scrittori, da Jonathan Lethem a Nicole Krauss, ed è stato amatissimo in Europa, in particolare in Francia, dove è stato consacrato come figura centrale del romanzo contemporaneo.
Il suo impatto non si misura solo nelle vendite o nei premi ricevuti, ma nella capacità di trasformare la lettura in un’esperienza filosofica, quasi iniziatica. A un anno dalla sua morte, il nome di Paul Auster non è confinato nei manuali o nelle biblioteche. È ancora vivo nei lettori che si perdono, come i suoi protagonisti, nelle strade ambigue di New York, alla ricerca di qualcosa che forse non troveranno. Proprio per questo vale la pena ancora cercare.