Pale Blue Dot: “(h)eart(h)” è l’album di debutto tra psichedelia, shoegaze e new wave. La band presenta il disco

(h)eart(h) è l’album d’esordio della band emiliana Pale Blue Dot. Anticipato nelle scorse settimane dal singolo For the Beauty of Miranda, viene pubblicato come autoproduzione in CD e digitale. (h)eart(h) è un lavoro stratificato e visionario, che unisce atmosfere psichedeliche, suggestioni shoegaze, echi new wave e una profonda riflessione sull’appartenenza, il ricordo e la connessione con ciò che ci circonda. I sette brani si muovono in un territorio sonoro che abbraccia tanto il sogno quanto il dubbio, creando un’esperienza d’ascolto sospesa, densa, vibrante.
Il titolo – (h)eart(h) – racchiude tre parole chiave: heart – il cuore, luogo delle emozioni più intime; Earth – la Terra, il nostro pianeta fragile e condiviso; hearth – il focolare, simbolo di rifugio e calore. Un intreccio che rispecchia la doppia prospettiva dell’album: personale e cosmica, umana e universale. Il nome stesso della band, Pale Blue Dot, richiama questa visione, ispirata all’iconica fotografia della Terra scattata dalla Voyager 1 nel 1990 e all’omonima definizione dell’astronomo Carl Sagan.
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La copertina del disco è una reinterpretazione grafica della radiazione cosmica di fondo: una mappa visiva dell’origine dell’universo che diventa anche un’eco sonora, accompagnando l’ascoltatore in un viaggio dentro e fuori di sé. Interamente autoprodotto, l’album è stato realizzato con la collaborazione di Gianluca Lo Presti (Nevica) al LotoStudio di Ravenna, che ne ha curato registrazione, mix e master.
Consigliato agli amanti di Ride, The Church, Swervedriver, Cocteau Twins, Echo & the Bunnymen, Siouxsie and the Banshees e Wooden Shjips.
1. For the Beauty of Miranda | Ispirata al film del 1975 ‘Picnic ad Hanging Rock’, questa canzone si presenta come il lato più pop dell’album, celando però inquietudini e angosce sotterranee. Mentre si ammira la grazia eterea di Miranda che danza nel sole, una crepa si spalanca nel reale, e la montagna diventa un primordiale grembo di pietra in cui smarrirsi.
2. Destruction or Resurrection | Un grido, un brivido, un monito: cosa ne vogliamo fare del nostro pianeta? Di ciò che ci circonda, di noi stessi? Come recita la citazione finale dell’astronomo Carl Sagan, “Considera ancora quel puntino: è qui, è casa, siamo noi”.
3. (h)eart(h) | Brano che dà il titolo all’album, (h)eart(h) è l’immersione in un cosmo interiore, alla ricerca di ciò che più ci appartiene. Il ricordo di un passato terrestre in cui trovare un rifugio dal buio dello spazio e del tempo presente.
4. Green Fairy Tale | La “fata verde” del titolo è l’assenzio, che dà vita a una piccola fiaba praghese, in cui lo sregolamento di tutti i sensi diventa una via d’accesso a una nuova lucidità, attraversando un caos necessario per rinascere. Un viaggio psichedelico tra alienazione e illuminazione.
5. Rollercoaster | Una canzone dedicata alla perenne assenza/presenza del proprio padre, generatore di autentiche memorie e ispirazioni sonore. Una corsa sulle montagne russe del ricordo e dell’attesa, per tornare a far musica insieme, un giorno.
6. Alone | Il brano dalle atmosfere più sospese, un invito a provare e a cercare il piacere (necessario) dello stare da soli, di trovare e provare quel momento che ti porta “fuori dal tempo”.
7. Star Cloud | Un omaggio, un dono, un gesto d’amore verso i compagni di viaggio, verso chi crea musica e nel farlo cerca di smuovere emozioni. Star Cloud chiude l’album con le sue stratificazioni shoegaze, evocando echi dello spazio profondo da inseguire e da cui farsi inseguire.