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Lorde, la rinascita dopo la crisi: “Virgin” segna il ritorno della popstar neozelandese

Federico Falcone Posted On 26 Giugno 2025
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“Virgin” è il nuovo album della popstar neozelandese Lorde. Un disco che, per contenuti e contesto storico personale, segna la fine di un periodo buio e l’inizio di una nuova era musicale, libera e fortemente identitaria. Dopo il controverso “Solar Power”, Ella Yelich-O’Connor torna allo stile e alle sonorità che l’hanno resa icona generazionale fin dai suoi esordi, quando non era ancora maggiorenne. C’è stato un tempo in cui sembrava che Lorde avesse perso la sua voce: non quella potente e inconfondibile che l’ha fatta esplodere con “Royals” a soli 16 anni, ma la voce interiore, quella che dà senso alla creazione artistica. L’ispirazione e le idee sembravano appartenere al passato, non più al contemporaneo. Lorde è stata in balia del momento, ha provato a restare a galla ed ora, dopo aver superato la tempesta, è tornata alla luce. O, almeno, è ciò che ci auguriamo.

Dopo il divisivo “Solar Power” del 2021 – un’opera introspettiva ma anche disorientante per molti fan – si è ritrovata in un limbo esistenziale e creativo. Una crisi silenziosa, combattuta lontano dai riflettori, in cui ha affrontato ansia, dubbi, e una disconnessione sempre più profonda dal proprio corpo e dalla propria arte. “Virgin”, il suo quarto album in studio, punta a ribaltare questo paradigma. Il titolo, che potrebbe far pensare a temi sessuali, è in realtà un’allegoria della rinascita: un nuovo inizio, più istintivo, fisico e diretto. “Cercavo una parola che raccontasse la sensazione di essere nuova, pulita, viva”, ha dichiarato la cantautrice neozelandese, parlando di un disco che rappresenta un vero e proprio rito di passaggio.

Con “Virgin”, Lorde recupera l’energia sfrontata e adolescenziale dei suoi primi lavori, quelli che mescolavano elettronica, hip hop, pop alternativo e testi taglienti sulla fragilità della giovinezza. Se dieci anni fa raccontava le feste e il materialismo come antidoto all’ansia per il futuro, oggi lo fa con lo sguardo di chi ha attraversato il buio e ne è uscita trasformata. A segnare il nuovo corso è anche una scelta coraggiosa: per la prima volta dopo otto anni, Lorde ha lasciato fuori dalla cabina di regia Jack Antonoff, l’architetto sonoro dei suoi ultimi due album. Al suo posto, James Harmon Stack – in arte Jim-E Stack – già al lavoro con Haim e Caroline Polachek, ha portato una produzione più scarna, diretta, e con una pulsazione più notturna. Accanto a lui, altri nomi di peso come Dev Hynes, Dan Nigro e Buddy Ross, mentre il mix è affidato alle mani esperte di Spike Stent, leggenda del sound pop-rock mondiale.

Il singolo “What Was That” ha spianato la strada all’uscita del full-lenght, lasciando intuire il tono dell’album: elettronico ma non algido, emotivo senza diventare patetico. “È la mia rinascita»”, ha confidato l’artista, sottolineando come la canzone sia tra le più significative che abbia mai scritto. Poi è arrivata “Man of the Year”, seguita da “Hammer”, uscita negli ultimi giorni, accompagnata da un videoclip diretto da Renell Medrano. Il brano ha catturato l’attenzione anche per i suoi versi più personali e fluidi: “Alcuni giorni mi sento una donna, altri un uomo“. Un’affermazione che, lungi dall’essere provocazione, affonda le radici in un percorso di riscoperta corporea che Lorde ha intrapreso negli ultimi anni, per liberarsi dalla paura del palcoscenico e da una tensione che nessuna terapia razionale riusciva a scalfire.

Il ritorno discografico sarà seguito da un tour mondiale che partirà il 17 settembre da Austin, in Texas, e che porterà Lorde anche in Italia, con un’unica data il 29 novembre all’Unipol Arena di Bologna: sarà il primo concerto nel nostro Paese dopo tre anni di assenza. Le prime reazioni dei fan ai brani finora pubblicati sono state positive, segno che l’artista ha ancora molto da dire e un pubblico disposto ad ascoltarla – anche dopo un lungo silenzio.

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