Live Report. Iron Maiden, Padova – stadio Euganeo 13/7/2025
Un appuntamento con la storia. L’ennesimo. Perché, quando si parla di un concerto degli Iron Maiden, di questo si tratta. Della storia, di come viene riscritta e rinnovata, riletta e rinverdita. E’ la storia di una band che ha letteralmente sottoscritto un patto con il Diavolo, che non vuole saperne d’invecchiare e che, ad ogni occasione utile, tiene a ribadire un concetto ormai chiaro da tempo: c’è l’universo heavy metal, e poi c’è l’universo Iron Maiden.
Due mondi vicini, eppure distanti, perché la Vergine di Ferro è un’entità a parte che, da sempre, viaggia su binari propri grazie anche e soprattutto a una fanbase tra le più fedeli e devote in circolazione. L’universo Iron Maiden, appunto, è quello composto da un’entità sola che unisce la band ed i suoi appassionati da cinque decadi. Di successi, tour planetari, vendite stratosferiche, merchandising bellissimo grazie all’iconografica identitaria e unica. Nessuno, come la band inglese, ha creato un’immagine così forte e distintiva. E ciò, infatti, ha contribuito non poco al suo successo.
Cinquant’anni, dicevamo, gli stessi che ieri, allo stadio Euganeo di Padova, gremito in ogni ordine di posto, hanno celebrato l’unica data italiana del “Run for Your Lives World Tour”. Un evento epocale che segna il percorso della leggendaria formazione britannica che mosse i suoi primi passi nei club e nei pub dell’Est London. E quello che si è visto e ascoltato non è stato un semplice concerto – come d’altronde non lo è mai al cospetto di Sua Maestà Steve Harris – ma un tripudio potente e viscerale di heavy metal di vecchia, vecchissima scuola, in cui ogni nota ha tracciato una linea indelebile nei cuori dei presenti. Emozioni a non finire tra persone attempate ed esordi: tantissimi, infatti, i giovani presenti che hanno visto gli Iron Maiden per la prima volta. Un moniker intergenerazionale capace di unire sotto al palco come pochissimi altri. Tante le famiglie con prole al seguito.
Il pubblico — ordinato, ma carico come polvere da sparo — è arrivato da ogni angolo d’Italia e anche da oltre confine, in un pellegrinaggio laico e appassionato che già dal primo pomeriggio aveva tinto la città di t-shirt con Eddie The Head ben impresso: magliette iconiche, birre al bar, code davanti al tir del merchandising. Neanche le minacce della pioggia e lo spettro di ciò che accadde a Bologna hanno fermato la passione di chi ha riempito lo stadio Euganeo. “Potrebbe piovere, chi se ne frega”, dice un ragazzo al nostro fianco. Dentro lo stadio, però, il clima è cambiato in qualcosa di mistico e ancestrale, come sempre accade in presenza della band che, più di tutte, ha sdoganato l’heavy metal in giro per il mondo. Quando alle 20.55 le casse hanno fatto esplodere – come da tradizione consolidata – “Doctor Doctor” degli UFO è esploso il boato dei circa quarantamila presenti. Pelle d’oca e occhi lucidi, abbracci, urla, tutti pronti al pogo.
“The Ides of March” ha aperto le danze, seguita da un trittico micidiale dal leggendario Killers del 1981: “Murders in the Rue Morgue”, “Wrathchild” e “Killers”, mentre sul palco la prima apparizione dell’immortale Eddie, armato d’ascia, mandava in visibilio le decine di migliaia di presenti. Ogni anno che passa Bruce Dickinson sveste sempre più i panni del cantante per indossare quelli di un profeta: 67 anni ad agosto, sì, ma ne dimostra trenta per energia, voce e presenza scenica. Per favore, clonatelo! “Ciao Italia, benvenuti al nostro party di 50 anni”, ha gridato, presentando con calore il nuovo batterista Simon Dawson. E se è vero che in alcuni passaggi Dawson è sembrato incerto, con qualche colpo fuori tempo e un’acustica non sempre impeccabile (soprattutto sui tom) tutto questo non ha intaccato la grandezza dell’intero show. L’energia era tale da coprire ogni sbavatura che, per l’onore delle cronache, è stata notata. Del tutto normale, verrebbe da dire, tanto per la band quanto per i fan che devono ancora abituarsi all’assenza di Nicko McBrain, chi a suonare al suo fianco sul palco e chi a comprenderne le difficoltà sullo stesso.
Le chitarre di Janick Gers, Dave Murray e Adrian Smith sono state semplicemente monumentali. Assoli a raffica, riff serrati, precisione chirurgica e cuore rovente. Steve Harris, al basso, è rimasto come sempre il pilastro silenzioso ma onnipresente, l’anima tecnica e compositiva della band. Ma come fanno? Come? Sono perfetti, chirurgici, di una pulizia nell’esecuzione che fa gridare al miracolo. Il momento più teatrale è arrivato con “Phantom of the Opera”: luci, cambi di scena, e un Bruce in stato di grazia, capace di modulare ogni strofa con enfasi quasi shakespeariana. Scenografie spettacolari, monumentali, curate come sempre fin nei minimi dettagli. Fiamme, luci dinamiche, fondali cangianti, giochi pirotecnici e ovunque lui, Eddie, in tutte le sue incarnazioni. È difficile distinguere dove finisca la musica e cominci la leggenda.
Ma questo è ciò che ci si aspetta da un loro show e questo è ciò che si ottiene ogni qual volta li si vede esibirsi. “You want the best, you got the best”, dicevano i Kiss, e scusate se ci appropriamo di questo claim per certificare che se dai Maiden vogliamo, esigiamo, pretendiamo il meglio, lo avremo ora e sempre. Una band che difficilmente sbaglia e che, quando lo fa, è talmente brava a mascherarlo che raramente ce se ne accorge. Un gruppo che può permettersi di suonare “Aces High” come bis, le cui tonalità sarebbero proibitive per l’80% dei cantanti in circolazione, che riesce a suonare “Rime of the Ancient Mariner“, “Seventh Son of a Seventh Son” e “Halloweed Be Thy Name” con lo stesso trasporto e coinvolgimento emotivo di quarant’anni fa. E noi, sotto al palco, a pregare tutto ciò che conosciamo e in cui crediamo e in cui non crediamo che quel concerto, quello show, quell’appuntamento con la storia non finisca mai.
Le emozioni sono state forti, fortissime, di quelle che solo gli Iron Maiden sanno dare. Cinquant’anni dopo, sono ancora qui. Non è solo musica. È pelle, è sangue, è mito. Sono gli Iron Maiden! E “Wasted Years” è qui a ricordarcelo, ancora una volta, come sempre da quel lontano 1986: “So understand / Don’t waste your time always searching for those wasted years / Face up, make your stand /
Realize you’re living in the golden years“. Nessun ringraziamento potrà mai ripagare di queste emozioni. Up the Irons!
SETLIST
- Doctor Doctor
- The Ides of March
- Murders in the Rue Morgue
- Wrathchild
- Killers
- Phantom of the Opera
- The Number of the Beast
- The Clairvoyant
- Powerslave
- 2 Minutes to Midnight
- Rime of the Ancient Mariner
- Run to the Hills
- Seventh Son of a Seventh Son
- The Trooper
- Hallowed Be Thy Name
- Iron Maiden
- Aces High
- Fear of the Dark
- Wasted Years



