• Musica
  • Cinema
  • Entertainment
  • Teatro
  • Speciali
  • Interviste
  • Libri
  • Attualità
  • News
  • A spasso nel tempo
  • Musica
  • Cinema
  • Entertainment
  • Teatro
  • Speciali
  • Interviste
  • Libri
  • Attualità
  • News
  • A spasso nel tempo
Home » Interviste Libri

L’intervista. Giuliano Di Tanna presenta il libro “sotto Saturno”: quando malinconia e felicità s’incontrano

Federico Falcone Posted On 2 Novembre 2025
0


0
Shares
  • Share On Facebook
  • Tweet It

È da poco uscito “sotto Saturno“, libro di Giuliano Di Tanna, giornalista e firma storica de Il Centro. “sotto Saturno”, dicevamo, “dove Saturno non è il pianeta con i cerchi intorno ma l’ambiguo dio greco, simbolo della malinconia. ‘Saturno il dio infelice’, lo definisce Graziella Atzori. ‘Ma all’origine non era così. La primitiva età dell’oro, la felicità sulla terra senza odio, leggi e inimicizie nasce proprio nel regno di Saturno. Le feste romane dei Saturnali, vicine per significato al nostro carnevale, celebrano questo stato paradisiaco. Che deve necessariamente aver termine, come termina la felicità indiscussa del feto galleggiante nel liquido amniotico’. Dunque: malinconia e felicità per quanto breve, caduca”.

“La prima sezione porta lo stesso titolo del libro. Sono, in alcuni casi rivisti, in altri no, i testi di una piccola rubrica quotidiana comparsa sulla prima pagina del quotidiano “il Centro” fra il 2017 e il 2020. Scritti di varia umanità, spesso nati da una riflessione su fatti di cronaca dimenticati o da personaggi fuori dall’ordinario”, spiega l’autore.

“La seconda parte, ‘Infanzia americana’, è tutta autobiografica e comprende annotazioni affidate ai social: piccoli oblò affacciati sui miei primi anni di vita nell’America degli anni Sessanta, una raccolta di epifanie in una città, Rochester nello Stato di New York, che è un personale universo sentimentale ricordato alla maniera della Winesburg, Ohio di Sherwood Anderson o della Our town, di Thornton Wilder”.

“La terza sezione ‘Foffo e Zoe’ è un intermezzo comico che nasce dalla mia passione per i film di due rulli della vecchia Hollywood del cinema muto, con i due protagonisti del titolo che sono una coppia di entusiastici sopravvissuti del Sessantotto e degli anni Settanta impegnati in molto irrilevanti imprese in cui sono aiutati da una rete fittissima di amici e compagni, giunta fino a noi senza essere mai stata scalfita dal sospetto della stupidità”.

“C’è poi una lunga sezione di frammenti. Sono idee appena abbozzate, spezzoni di vita vissuta o solo immaginata, tenuti insieme da un motivo di fondo: il fascino che esercita su di me la stupidità, l’idiozia celebrata da Flaubert nel suo Bouvard e Pécuchet. Il libro termina con un post scriptum che è anche l’incipit di un racconto ancora tutto da scrivere, una novella gotica ambientata in America con protagonisti un piccolo gruppo di amici, tutti adolescenti spersi nel mondo indecifrabile degli adulti”.

Perché, proprio ora, questo libro? Come si è arrivati alla pubblicazione di “sotto Saturno”?

Avevo del tempo libero, anche troppo, da quando sto in pensione. Ogni tanto capitava di incontrare persone che mi chiedevano il perché non avessi mai pensato a scrivere un libro, che in Italia sembra essere quasi diventato un obbligo, visti i tempi che corrono. Rispondevo loro: ‘Io lo faccio, ma su Facebook, che uso da più di dieci anni come fosse una sorta di block notes’. Poi, nell’ultima parte della mia carriera, è subentrata la famosa rubrica quotidiana sul Centro, quella di costume, che partiva da fatti di cronaca con una piccola riflessione sulla quotidianità. Una sorta di collezione di chiacchiere da bar. C’era questa parte già scritta che ho recuperato, ho fatto una cernita e l’ho inserita nel libro.

Il titolo evoca l’immagine di un Dio malinconico ma anche dei bei tempi che furono. In che modo questo duplice simbolismo, cioè felicità e decadenza, attraversa le sezioni del libro?

Ci sono persone che sono malinconiche ma non tristi, che hanno semplicemente questo lato del carattere. In quella rubrica guardavo al mondo attraverso un velo di malinconia, che non vuol dire che il mondo faccia schifo. Ho selezionato e raccolto questi appunti. La parte sull’infanzia è anche una sorta di incipit di una novella che vorrei scrivere e sulla quale sto ragionando. Sicuramente il richiamo va a “L’infanzia berlinese” di Walter Benjamin, probabilmente il suo libro più comprensibile. Il pensiero mi rimanda a quest’opera.

La prima parte raccoglie i testi della rubrica pubblicata sul Centro. Cosa significa, per lei, far convivere la scrittura giornalistica con quella letteraria?

Sono una selezione. Anche ora, rileggendole a distanza di tempo, non le cambierei, sono come insetti racchiusi in un’ambra. Non vanno toccati né migliorati, hanno un loro senso. Per me non è stato uno sforzo, però, perché sono sempre stato dell’idea che si debba scrivere in maniera semplice. Nelle rubriche uso il plurale noi, che non è plurale maiestatis, è una cosa di cui il lettore non si avvede, ma sto li a dire che sono nella stessa condizione del lettore e non su un piano diverso. Io che scrivo e voi che leggete siamo sulla stessa barca della vita. Lucia Visca, il mio primo caporedattore, bontà sua, diceva che mi facevo capire dal macellaio, dal contadino, dal notaio e dal professore. E poi non bisogna prendersi sul serio, perché scrivere in maniera semplice non è una diminutio ma un vantaggio. Scrivere semplice non vuol dire scrivere male, ma obbliga alla cosa più difficile, che è quella di farsi comprendere.

Nei “fatti di cronaca dimenticati” e nei “personaggi fuori dall’ordinario” che popolano la sezione iniziale, si avverte una tensione tra memoria e oblio. Che valore ha, oggi, riportare alla luce ciò che il presente tende a dimenticare?

Penso che sia la persistenza della condizione umana, detta in maniera pomposa. Per queste microstorie, con questi personaggi al loro interno, ho preso spunto da Rodolfo Wilcock, poeta argentino che ha scritto e vissuto in Italia, un grande amico di Flaiano. Lui aveva il gusto per il personaggio dimenticato, quello passato sotto traccia nelle cronache dei quotidiani. Questi racconti non fanno rumore ma hanno a che fare con l’idea melanconica della vita che io ho. In tutte c’è un dato comune, quello rappresentato dalla condizione umana, a prescindere dalle ideologie e dalla estrazione sociale. Io personalmente sono un ascoltatore, che non guasta in un mondo dove tutti si parlano addosso. Mi piace ascoltare le persone che hanno qualcosa da dire, anche se non stanno sul proscenio.

“Infanzia americana” sembra un piccolo romanzo di formazione. cosa resta, nella memoria e nello stile, di quell’America degli anni Sessanta, e che cosa invece è diventato pura mitologia personale?

In effetti, sebbene in parte, è la mia mitologia personale. Quell’America dell’inizio degli anni Sessanta è la stata la migliore della sua storia. La gente si comportava bene, mangiava allo stesso tavolo e alla stessa ora, c’erano le sitcom e gli oggetti della cultura americana erano più belli che mai. Sono tornato negli USA dopo sessant’anni, per il mio viaggio di nozze. Quando sono sceso a New York ero isterico perché non vedevo le macchine della mia infanzia, le stesse che invece vedevo a Pescara. Mi sono fatto otto ore di viaggio per vedermi in un sobborgo di Pescara o Milano, praticamente. Era tutto uguale, ai miei occhi. Nel Queens, sul patio di una casa, ho visto una bandiera ed ho pensato che lì, in quell’immagine, ci fosse ancora qualcosa. Il mio rapporto con la memoria dell’infanzia di quel Paese è di nostalgia, consapevole che fondo la specificità di essere vissuto lì da bambino con l’immagine di ora, che non è quella legata alla mia memoria che. E’ la nostalgia di un’America che non c’è più. Era quella degli Eisenhower e di Kennedy, ad esempio. Dico sempre che in quell’America c’era il socialismo del benessere, i bambini vestivano tutti gli stessi abiti a prescindere dall’estrazione sociale. Che fossero il figlio di Rockfeller o di un benzinaio del Midwest, erano tutti uguali. Ora no, è evidente che non sia più così.

I personaggi di “Foffo e Zoe” portano con sé una leggerezza ironica. È un modo per esorcizzare Saturno, o per mostrarne un’altra faccia?

Si, è assolutamente così. Ti dico, con mia moglie eravamo in vacanza in Basilicata quando un giorno ho iniziato a scrivere una cosa che mi ha fatto ridere. Ridevo da solo ma, dopo averle fatto vedere cosa stavo facendo, si è messa a ridere anche lei. Sono personaggi reali, della mia generazione, attivisti di sinistra, che sono così anche ora a distanza di tutti questi anni. E’ un’umanità di strada che esiste ancora, sono divertenti, vedere che fanno lo yoga e poi ruzzolano giù per la collina e fanno cere vegetali, pomate al naturale, elementi tipici di una new age italiana che non vogliono mollare. E poi la gente è fissata con Foffo e Zoe, quindi va bene così.

Viviamo un’epoca di malinconie globali e felicità effimere, dove anche la memoria si consuma in rete. Cosa significa, oggi, scrivere “otto Saturno”? È ancora possibile una letteratura che trasformi la malinconia in conoscenza?

A cosa serve scrivere cose di questo tipo? Non lo so, però, per quello che mi riguarda, serve a comunicare una cosa terra terra, e cioè che la vita è bella e complicata, che dobbiamo accettare il destino. Che avere dei difetti non è una condanna morale a prescindere, e fino a che c’è possibilità di ridere per qualche cosa vale la pena raccontarlo. Come direbbe e farebbe Woody Allen. Sì, in tanti suoi film ha fatto questi riferimenti. Uno su tutti? Il finale di Annie Hall. Se non lo ricordate, allora dategli un’occhiata…

Henry Winkler compie 80 anni. Per tutti resta Fonzie, il ribelle gentile che fece sognare l’America (e non solo)

Correlati

0
Shares
  • Share On Facebook
  • Tweet It




"Dead Music!": la lettera d'amore al cinema horror vintage de Il Nido
Read Next

"Dead Music!": la lettera d'amore al cinema horror vintage de Il Nido

  • Popular Posts

    • 1
      Melania Giglio sul palco del Teatro dei Marsi con "Sogno di una notte di mezza estate"
    • 2
      "Depravazione (A proposito della neve bagnata)": nuovo appuntamento col Teatro Off di Avezzano
    • 3
      "La vostra presenza è un pericolo per le vostre vite": ventisette voci palestinesi nel libro di Samar Yazbek

  • Seguici sui Social


  • Home
  • Chi siamo
  • Contatti
  • Home
  • La redazione
  • Privacy Policy
© Copyright 2024 - Associazione Culturale EREBOR - Tutti i diritti riservati
Press enter/return to begin your search