Jam Republic, suoni scheggiati nel cocktail di jazz del nuovo “Drink Me”
Dalla ormai nota etichetta Brutture Moderne ecco un altro disco di nuovo jazz. E di primo acchito l’impatto non si smentisce mai, anzi torna puntuale quella sensazione difficile da spiegare ai più. Un suono massiccio, maturo, complesso, di tecnicismi e padronanza del mezzo. All’ascolto c’è da figurarsi formazioni di lungo corso, magari con ampie e doverose derive americane, nere di pelle… accade questo quando veniamo accolti dalla intro di “CosmopoliTan Sin” che apre il disco. Subito penseremmo a Miles Davis o alle fusion apolidi dei Weather Report. Eppure, i Jam Republic sono giovanissimi, sono italiani e non somigliano affatto al suono di questo disco (da prendersi come un complimento). All’anagrafe sono Marco Marchini (sax tenore), Giosuè Orselli (tromba), Michele Folli (chitarra), Vito Bassi (basso), Mattia Zoli (batteria), Marco Pierfederici (pianoforte, tastiere) e Riccardo Tramontani (sax contralto).
Eccolo “Drink Me”, disco che custodisce 8 composizione inedite titolate come i cocktail da consumare ora che l’estate è vicina e la vita va resa leggera se possibile, giocando sempre e mai perdendo di vista la riva delle cose concrete. Ed è probabilmente dentro le mille facce e progressioni della open art “CosmopoliTan Sin” che osserviamo il vero manifesto di questo “collettivo” di forze fresche. Suono suonato che accoglie il classico ma anche l’elettronica (suonata anch’essa, manco a dirlo) dal sapore comunque retrò. E poi il funk e l’America, dicevamo, con “Jam Tonic” dentro cui svettano i fiati dai contorni metropolitani (il cemento dei ghetti, quello sempre dipinto e denso di arte come la copertina di questo disco, ma anche quello consumato dalle incurie e dallo smog).
Sempre belli e sicuri i rullanti dai riverberi corti e trattati con professionalità, coerenti e mai eccessivi i fil dei passaggi. E che dire delle piroette di basso? Trovo che siano il centro e il colore di tutto questo dipinto: e si ascolti il movimento che creano con le distorsioni di chitarra (si perché ci sono anche quelle in un disco del genere) che troviamo dentro la tenebrosa “Negroni Stomp”, brano che nella sua evoluzione si concede anche sospensione noir di bassofondi, di periferia ovviamente. O il gioco decisamente hip-hop (o quasi) nell’introduzione di “High Spritz”. E ancora lungo la tracklist faremo i conti anche con l’Havana dai sapori di tromba e di romanticissime dannazioni d’amore… o anche con l’amore poetico di un pianoforte notturno dentro la morbidissima “Tea Short”… fino ad approdare nella summa di tutto questo che vive di buona salute nella chiusa (e non poteva essere altrimenti) titolata “Milly Away”.
La nuova scena del jazz che guarda oltre, che guarda altro, ma che sempre afferra quel certo rispetto per i grandi classici. Chissà che accadrebbe ai Jam Republic se in futuro, a questo collettivo di anime belle, scendesse anche l’avvento di un computer del futuro prossimo, intelligente in modo artificioso. Chissà…



