J.K. Rowling compie 60 anni tra miti antichi, simbolismo macabro e segreti dell’occulto
Sessant’anni di Joanne Rowling, per tutti, semplicemente J.K. Rowling. Una data non casuale, se si pensa che anche il suo personaggio più famoso, Harry Potter, è nato lo stesso giorno. Come se le loro vite, fin dalla prima parola scritta, fossero destinate a intrecciarsi. E in fondo è proprio così perché Harry è molto più di un personaggio, è un frammento dell’anima della sua creatrice, un simbolo di sopravvivenza, di resilienza e di fede nella luce anche quando tutto sembra perduto.
Rowling ha sempre avuto una relazione profonda con il simbolismo, non solo nella costruzione narrativa dei suoi romanzi, ma anche nella maniera in cui ha vissuto e raccontato la propria storia. L’idea di Harry Potter le è apparsa quasi come un’epifania, durante un viaggio in treno interrotto da un lungo ritardo. Era il 1990. Quel treno bloccato tra due città divenne un limbo creativo. La mente di Joanne iniziò a riempirsi di incantesimi, castelli, creature e ferite. Una delle prime immagini che vide fu proprio quella del ragazzo con la cicatrice a forma di saetta. Una cicatrice, non un potere, non una gloria, ma un segno di dolore sopravvissuto.
Nel corso degli anni, Rowling ha più volte spiegato che il tema centrale dell’intera saga è la morte. Non il male, non la magia, non l’eroismo ma la morte. È un’affermazione che sorprende chi si aspetta dalla saga solo leggerezza e avventura. Ma i libri di Harry Potter sono attraversati da simboli funebri, da assenze, da fantasmi reali e interiori. La Foresta Proibita, ad esempio, diventa una sorta di soglia iniziatica, dove si attraversa la paura e si incontra la verità. Il Mantello dell’Invisibilità, ereditato da generazioni, non è solo un oggetto magico ma una metafora del silenzio, della protezione, della possibilità di osservare il mondo senza essere visti, come lo scrittore che lavora nascosto nelle ombre.
Anche le case di Hogwarts sono costruite come simboli archetipici: Corvonero rappresenta l’intelligenza, Tassorosso la lealtà e la dedizione, Serpeverde l’ambizione e il potere, Grifondoro il coraggio e il fuoco dell’azione. Quattro modi di vivere la propria identità, ma anche quattro forze in tensione continua, come dentro ciascuno di noi.
Poi ci sono i nomi. Nulla è casuale nei nomi scelti da Rowling. “Sirius Black”, ad esempio, evoca la stella canina più luminosa del cielo e un passato oscuro ma ardente. “Albus Dumbledore” unisce il candore (Albus) alla leggerezza musicale del “dumbledore”, il calabrone in antico inglese. Persino “Tom Riddle”, il vero nome di Voldemort, è un anagramma rivelatore: I am Lord Voldemort, ma anche l’eco di un enigma, di un enigma irrisolto sull’identità e sulla paura di essere solo.
Ed è proprio questo uno degli elementi più affascinanti dell’opera di J.K. Rowling, cioè la sua stratificazione simbolica. Dietro le trame di amicizia, battaglie e incantesimi si nasconde una fitta rete di riferimenti alla mitologia classica, alla tradizione cristiana e persino a simboli dell’occultismo occidentale. Non è solo narrativa fantastica bensì un mosaico di archetipi. Il Basilisco nella Camera dei Segreti richiama la creatura leggendaria del Medioevo, simbolo del male che si annida nelle viscere della civiltà; il nome stesso di “Fenice”, uccello che rinasce dalle proprie ceneri, evoca il ciclo iniziatico di morte e rinascita, tanto caro alle religioni misteriche.
Il concetto delle Reliquie della Morte – la bacchetta invincibile, la pietra della resurrezione, il mantello dell’invisibilità – sembra attingere a fonti alchemiche e simboliche precise: la triade richiama gli elementi della trasformazione spirituale, il potere, la memoria e l’anonimato. Alcuni studiosi hanno persino letto in esse un parallelo con la Trinità cristiana, o con i tre stadi dell’Opera Alchemica (Nigredo, Albedo, Rubedo), percorsi interiori di purificazione e conquista del Sé.
L’intera saga è punteggiata da richiami biblici come l’auto-sacrificio di Harry nel bosco, ad esempio, in cui riecheggia l’iconografia del Cristo che si offre volontariamente alla morte per salvare gli altri. Ma Rowling, da narratrice moderna, rovescia il dogma: non c’è salvezza dall’alto, solo la forza fragile ma incrollabile delle scelte umane.
E poi ci sono gli incantesimi in latino – Expecto Patronum, Lumos, Avada Kedavra – che non sono meri ornamenti, ma formule rituali, eco di una lingua sacra, capace di dare forma al desiderio e al destino. L’intero impianto di Hogwarts, con le sue torri, i passaggi segreti, gli insegnamenti arcani e i duelli simbolici, ricorda da vicino la struttura del percorso iniziatico massonico o esoterico, dove l’individuo è chiamato a “morire” al mondo dell’ignoranza per rinascere nella conoscenza. In questo labirinto di simboli antichi e trasfigurazioni moderne, la magia di Rowling si rivela per ciò che è: non un’illusione, ma una lingua segreta che parla direttamente al cuore del lettore, come facevano un tempo i miti, le parabole, i sogni.
Il successo, com’è noto, arrivò dopo una lunga attesa. Dodici editori rifiutarono il manoscritto del primo Harry Potter. Solo Bloomsbury, e solo grazie al parere entusiasta della figlia dell’editore, accettò di pubblicarlo. E da lì il mondo cambiò. Rowling ha venduto oltre 600 milioni di copie dei suoi libri, con traduzioni in più di 80 lingue, e un impatto culturale che ha superato i confini della letteratura per ragazzi.
Ma dietro il fenomeno editoriale, resta la scrittrice. Quella che ha saputo infondere nella propria opera non solo l’incanto del racconto, ma una mappa simbolica del dolore e della rinascita. La Camera dei Segreti non è solo un luogo fisico, è l’emblema di ciò che viene nascosto sotto le fondamenta delle istituzioni. I Dissennatori, esseri che risucchiano ogni gioia, sono la materializzazione della depressione che Rowling stessa ha attraversato in gioventù. Il Patronus, al contrario, è l’evocazione più pura del ricordo felice, del legame affettivo che ci salva dal buio.
Dopo Harry Potter, Rowling ha continuato a scrivere: “Il seggio vacante“, amaro e lucido ritratto della provincia inglese; la serie dell’investigatore Cormoran Strike, sotto lo pseudonimo di Robert Galbraith; e numerosi testi collaterali dell’universo magico. Ma nessuno di questi ha avuto l’impatto simbolico della saga di Hogwarts. Nel bene e nel male, Rowling resta una figura centrale nella letteratura contemporanea. Negli ultimi anni, le sue prese di posizione su temi sociali hanno generato polemiche accese e divisioni tra i lettori. Ma il valore simbolico del suo lavoro letterario — quell’alchimia fra mito, crescita, dolore e speranza — resta intatto.
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Sessant’anni dopo la sua nascita e quasi trent’anni dopo la prima comparsa di Harry nelle librerie, Rowling continua a rappresentare una custode del linguaggio simbolico, capace di evocare archetipi antichi dentro trame moderne. Ha dato al mondo un lessico condiviso, fatto di incantesimi, oggetti magici e creature fantastiche che raccontano, in fondo, le nostre paure più vere e i nostri desideri più nascosti. E se oggi qualcuno, in silenzio, torna a leggere quelle pagine, è perché dentro quelle storie si cela ancora qualcosa che ci riguarda: la lotta tra bene e male, certo, ma anche l’eterna ricerca di chi siamo davvero.



