Intervista. Greg diventa Gin Cooper per raccontare il suo rapporto col Diavolo: “l’ho incontrato alle elementari”
Fino al 19 ottobre, sempre a Spazio Diamante, seconda settimana di repliche per “Io sono il Diavolo” con Claudio “Greg” Gregori impegnato a raccontare il suo rapporto con il Diavolo attraverso una serie inarrestabile di aneddoti, gag, canzoni e immagini spiazzanti che ripercorrono la sua intera esistenza. Sul palco di via Prenestina 230/B tornerà a vestire i panni di Gin Cooper, una specie di crooner alla Dean Martin decisamente allergico al politically correct e che non ha paura di proporre spunti di riflessione dissacranti su questa discussa entità. Alla vigilia di questo secondo debutto, siamo riusciti a farci raccontare qualcosa in proposito dal poliedrico artista romano che, come sempre, per quanto simpaticissimo e garbato come suo solito, ha dimostrato di non avere peli sulla lingua.
Partiamo proprio dall’inizio. Quella del Diavolo è stata una vera e propria epifania nella tua vita o una semplice suggestione che poi hai in qualche modo razionalizzato con il passare degli anni? Ci racconti il vostro primo incontro?
Il nostro primo “incontro” è stato quando facevo le elementari dalle suore. Ce ne parlavano in continuazione a scuola e ci facevano leggere continuamente la Bibbia, dove però non è che si parlasse così assiduamente in modo diretto di questo famigerato Diavolo, anzi, praticamente mai.
Dunque dentro di me si sono innescati una serie di ragionamenti, che, nonostante la giovanissima età, afferivano un po’ a tutta la mia sfera spirituale, che è sempre stata attraversata da una specie di flusso energetico, da un modo di percepire le cose “pagano” (e forse proprio per questo mi sono sempre interessate divinità molto particolari come Diana, Cerere, Pan). E sono arrivato alla conclusione che, come ce lo hanno insegnato, il Diavolo non esiste: nel mio spettacolo, infatti, è quello che si potrebbe definire più che altro una sorta di particolare voce interiore.
Robert Johnson, per diventare il “dio” della musica che è stato, secondo la leggenda ha dovuto vendere al “maligno” la propria anima? A te che, al tuo personaggio, che cosa ha chiesto invece? E ti ritieni soddisfatto dell’accordo raggiunto, da quello che hai avuto?
Sì, assolutamente, perché penso che il protagonista del mio lavoro riceva in dono una chiarezza di visione che normalmente, obnubilati dalla continua, pedissequa accettazione di certi dogmi, dimostriamo di non avere. Noi non riusciamo a capire quanto sia fasullo e pieno di mistificazioni il mondo in cui viviamo. Un mondo in cui si è dimenticata qualsiasi forma di riverenza per la tradizione (popolare e artistica) e la genuinità, ma soprattutto nei confronti della verità.
Ecco, renderti conto di come vanno davvero le cose e avere la possibilità di poterti resettare completamente, come accade al mio Gin Cooper, è un’occasione imperdibile per tornare a sentirsi più liberi e leggeri. Più veri. Ci dichiariamo soddisfatti dell’accordo raggiunto!
Una volta che uno ha scelto di stare dalla “parte sbagliata”, che cosa dà più fastidio quando ci si trova a riflettere su quello che, in precedenza, ci avevano insegnato a considerare giusto?
La “parte sbagliata”… ci sarebbe tanto da dire rispetto a certe considerazioni assiomatiche che si fanno al riguardo. Non dimentichiamoci mai che la storia la scrivono i vincitori, che rappresentano solo una “campana”, la loro verità non è una verità assoluta. È per questo che nello spettacolo Gin Cooper cerca spesso di far capire che quello che siamo abituati a considerare giusto è spesso il frutto di un’imposizione che manca di un contraddittorio decente.
Pensiamo ai giorni nostri, all’incapacità che molto spesso dimostriamo di avere quando si tratta di decodificare la fondatezza delle notizie dalle quali siamo bombardati attraverso non soltanto la televisione, ma anche e soprattutto dai social: ecco, bisognerebbe porci più problemi intellettuali invece di assumere tutto in modo così stordito e assopito. Bisognerebbe sempre studiare, approfondire, verificare.
Quando hai concepito “Io sono il Diavolo” avevi in mente di portarlo in scena in un luogo suggestivo e raccolto come Spazio Diamante o no? Più in generale, quando immagini o scrivi uno spettacolo, hai subito chiaro dove vorrai rappresentarlo o ti lasci trascinare dagli eventi e ti adatti?
No, normalmente scrivo completamente al buio, in un flusso di totale libertà, non mi piace sentirmi in qualche modo “pilotato”. In questo caso specifico, però, le cose sono andate diversamente perché all’inizio con Alessandro Longobardi (direttore artistico di Spazio Diamante) si era deciso di portare in scena un altro spettacolo, insieme a Ninni Bruschetta.
Poi, quando invece per una serie di ragioni, le necessità sono cambiate e ho cominciato a lavorare su questo monologo, avevo di certo presente il luogo in cui sarebbe stato recitato e questo ha sicuramente influenzato la mia scrittura. Anche se c’è da dire che la prima versione durava circa tre ore e mezzo, perché comunque, dovendo trattare un certo tipo di materia (il Pentateuco, se ci pensiamo, è piuttosto lungo) e le sue, a volte, numerose contraddizioni (non so… pensiamo, per fare un esempio, che quando Adamo ed Eva escono dal paradiso e si ritrovano sulla terra, pur dovendo essere i primi “uomini” si trovano in un contesto dove vengono fin da subito chiamati in causa dei popoli, leggendo il racconto) uno si lascia prendere la mano.
Poi, ho tagliato, ho deciso di concentrarmi su certi aspetti invece che su altri, perché per cercare di razionalizzare e rendere fruibile un certo tipo di discorso, è necessario focalizzare la propria attenzione su scelte narrativamente mirate.
Cosa cambia nella ricerca dei tempi scenici giusti tra un monologo e uno spettacolo con altri attori? E quando di mezzo c’è anche da suonare e cantare come in questo caso?
Bella domanda! In un monologo come questo la difficoltà di trovare un’efficacia interpretativa su più livelli è resa maggiore, da un punto di vista strettamente teatrale, dal fatto che mi devo spostare continuamente attraverso diverse postazioni, dunque bisogna essere, nello stesso tempo, concentrati e rilassati per non perdersi. Paradossalmente, il fatto di dover fare anche musica sul palco mi aiuta in questo senso, soprattutto quando si tratta di trovare gli stacchi giusti tra una parte e l’altra.
Ma non è l’unico “escamotage” che adotto: infatti anche l’uso di certe luci concorre a farmi trovare il giusto equilibrio. E, in ogni caso, sono sempre stato un convinto assertore della necessità di mescolare diversi linguaggi, diverse culture narrative, anche quando sembrerebbero provenienti da due universi differenti. Per esempio, ricorro spesso ad alcuni espedienti propri delle serie televisive, tipo il cliffhanger (un accorgimento narrativo che conclude un’opera lasciando lo spettatore in un momento di grande suspence e costringendolo a seguirti nello sviluppo del racconto). O anche a delle insolite forme di “montaggio interno” delle scene, piuttosto diverse da quelle che si utilizzano nella commedia classica.
Domani hai la possibilità di fondare una band pescando come vuoi dall’intera storia della musica rock-blues: alla chitarra Claudio “Greg” Gregori, poi?
Premetto che io sono uno di quegli appassionati delle sette note che guardano con una certa diffidenza le superband. Detto ciò… Chuck Berry alla chitarra solista, Jerry Lewis al piano, Willie Dixon al contrabasso e Steve Jordan alla batteria. Sì, penso mi potrebbe andar bene una formazione così!
Puoi anticiparci qualcosa dei tuoi impegni su tutti i vari fronti nell’immediato futuro?
In questi giorni e fino alla prima metà di novembre girerò un film con Fabio Troiano, mentre nella seconda metà del mese, insieme al già citato Ninni Bruschetta, sarò impegnato per circa tre mesi nella nuova tournée di “A mirror” di Sam Holcroft. Non mancheranno sicuramente impegni musicali nei vari locali di Roma dove mi esibisco abitualmente con i miei progetti personali, né con i Latte & i Suoi Derivati (23 marzo 2026, al Teatro Olimpico). E, come quest’anno, sarò impegnato insieme a Lillo con il nostro ultimo spettacolo “Movie Erculeo” (dall’11 al 29 marzo 2026, sempre all’Olimpico).



