Henry Winkler compie 80 anni. Per tutti resta Fonzie, il ribelle gentile che fece sognare l’America (e non solo)
Cosa resta oggi di Fonzie, il meccanico con il giubbotto di pelle e il sorriso sornione che faceva impazzire il pubblico di “Happy Days“? Forse non il suo chiodo nero, oggi un cimelio da collezione che può valere più di centomila dollari, ma sicuramente l’aura del suo personaggio, quel misto di ironia, dolcezza e sicurezza che Henry Winkler seppe rendere immortale.
E pensare che Fonzie, all’inizio, doveva essere solo una comparsa. Un ruolo di contorno, ideato per dare colore alle avventure di Richie Cunningham, il bravo ragazzo americano interpretato da Ron Howard. Ma bastarono pochi episodi perché il “duro” con il cuore tenero rubasse la scena a tutti, conquistando lo schermo e l’affetto del pubblico con un semplice gesto del pollice e un “Ehi!” diventato linguaggio universale.
Quando il produttore Garry Marshall immaginò Fonzie, pensava a un tipo alto, biondo, atletico, di poche parole e molti sguardi. Poi arrivò Winkler: basso, bruno, newyorkese, con uno sguardo capace di fondere dolcezza e determinazione. Tom Miller, responsabile del casting, lo aveva notato nel film “The Lords of Flatbush“, dove già mostrava quella naturalezza da “duro per bene”. Il resto è storia: da semplice meccanico nel garage dei Cunningham, Arthur Herbert Fonzarelli divenne il simbolo della ribellione con buone maniere.
Nelle prime stagioni, Winkler recitava con la sua giacca personale, perché la produzione vietava la pelle nera nelle scene interne, considerata all’epoca troppo pericolosa. Poi, quando Fonzie cominciò a piacere a tutti, anche quella regola cadde e la giacca di pelle divenne parte del suo mito, insieme al ciuffo impomatato e al sorriso di chi sa di aver già vinto. Fonzie era il ribelle che non voleva ferire nessuno, un “duro” che nascondeva un bambino sensibile. Lo raccontava spesso il produttore Bill Bickley: “Fonzie è un eroe con la maschera, ma sotto c’è un’anima tenera”.
Indimenticabile la scena di “Guess Who’s Coming to Christmas“: Richie lo invita a passare il Natale con la sua famiglia, ma Fonzie declina con la scusa di dover partire. Lo ritroviamo poi solo, accanto a un piccolo albero di Natale e una scatola di ravioli. In quel momento, milioni di spettatori capirono che sotto la pelle di cuoio batteva un cuore grande così.
Happy Days non fu solo una sitcom ma un rifugio luminoso per un’America che, negli anni Settanta, stava perdendo l’innocenza. Rievocava gli anni Cinquanta con nostalgia. Le gonne a ruota, i juke-box, le birrerie e la fiducia nel futuro. Fonzie incarnava la possibilità di essere “cool” senza essere cattivi, di cavarsela con un sorriso e un colpo al motore, di essere amati anche se un po’ fuori dagli schemi. Per milioni di adolescenti, dallo Wisconsin all’Italia, Happy Days fu una lezione di leggerezza e amicizia, un manuale di sopravvivenza sentimentale dove la fedeltà contava più della forza e l’ironia più del cinismo.
Henry Winkler è nato il 30 ottobre a Manhattan nel 1945, figlio di immigrati ebrei tedeschi. Diplomato all’“Emerson College”, poi laureato in Belle Arti alla Yale School of Drama, ha dimostrato negli anni di essere ben più di un’icona televisiva. Dopo la fine della serie, ha prodotto film e fiction (“Alla scoperta di papà”, “Un piedipiatti e mezzo”), recitato in “Scream”, “Waterboy”, “Cambia la vita con un click”, e nel 2018 ha vinto il suo primo Emmy per “Barry”.
Parallelamente, ha scritto una fortunata serie di libri per ragazzi, “Hank Zipzer“, ispirata alla propria infanzia segnata dalla dislessia, con lo stesso spirito di tenerezza e ironia che un tempo animava il suo Fonzie.
“Happy Days” finì nel 1984, ma non davvero. Il suo spirito continua a vivere ogni volta che qualcuno alza il pollice per dire “Ehi!”, ogni volta che una storia parla di amicizia e riscatto, ogni volta che un “duro” si scopre vulnerabile. Fonzie non era solo un personaggio: era la promessa che anche chi sbaglia può essere amato, e che la forza più grande, ieri come oggi, è la gentilezza.



