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Giuli contro Geppi: duello all’ultima parola tra la Cupola e la Cupoletta”

Redazione Posted On 12 Maggio 2025
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Nel grande circo della cultura italiana, dove ogni tanto il leone si addormenta sulla tastiera e il domatore legge Schopenhauer a metà, va in scena lo spettacolo più atteso: Giuli contro tutti (con ospite d’onore Geppi Cucciari, paladina postmoderna della sinistra dei Parioli, in abito da gala e sarcasmo stirato). Il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha deciso che basta: troppi artisti che parlano, troppi attori che pensano, troppi comici che fanno… i comici. L’arte deve stare zitta, possibilmente in fila, e attendere che la riconfigurazione del tax credit sia compiuta, come le profezie maya o la digitalizzazione del catasto.

Elio Germano? Una “minoranza rumorosa”. Uno che al massimo dovrebbe leggere le battute e non scriverle. Che fastidio, questi attori con una coscienza civile: non li facevano così negli anni ’50! Lì sì che recitavano in silenzio e per la patria.

Leggi anche: Il cinema nel linguaggio dell’immaginazione: da Fellini a Sorrentino, contro la tirannia del reale

Ma il colpo di teatro arriva con Geppi Cucciari, una sorta di Giovanna d’Arco 2.0 della borghesia progressista da salotto, che sfodera la spada (di legno) della satira dal palco dei David di Donatello. Ironizza, punge, sorride. Sembra dire: “Guardate, sono ironica contro il potere!”. Solo che il potere, come spesso accade, è già a cena con lei, nel catering del Quirinale.

Geppi, che da anni coniuga “disincanto” e “smart working umoristico”, sembra convinta che fare una battuta durante una premiazione equivalga a una dichiarazione di guerra. Ma la verità è che la sua è una trincea morbida, con cuscini firmati e prosecco in frigo. Fa satira su chi la guarda, ma con il tono di chi sa benissimo che il giorno dopo scriveranno “Geppi fantastica!” su tutti i giornali che contano. E anche su quelli che contano solo a sinistra.

Dall’altra parte, Giuli non è certo il Che Guevara della nuova cultura. È più un bibliotecario arrabbiato che, dopo anni di silenzio polveroso, ha trovato finalmente un microfono e ha deciso di usarlo per regolare conti mai aperti. Parla di cupole culturali come se fossero entità mafiose, ignaro del fatto che ogni potere, anche quello “alternativo”, finisce per costruirsi il suo salottino, con tanto di bibliografia approvata.

La destra culturale si indigna per le battute, la sinistra ci costruisce le carriere. Uno dice “riconfigurazione” e l’altra risponde con “disco dei Black Sabbath”. È uno scambio equo: parole vuote contro metafore scadute.

Il risultato? Un duello all’arma bianca dove le armi sono tutte spuntate e i contendenti combattono per una roccaforte che non c’è più: la credibilità della cultura italiana, da tempo in fuga, forse rifugiatasi in qualche garage a girare corti indipendenti.

Leggi anche: Papa Leone XIV, il pastore silenzioso che inquieta i signori del potere

Ma tranquilli, tra una riforma e una frecciatina, ci penseranno Geppi e Giuli a salvare la nostra anima artistica. Lei con la battuta pronta e il tacco 12 da sinistra moderata. Lui con la penna retrò e la voce da podcast di nicchia. E se tutto va male, c’è sempre la prossima edizione del festival per riprovarci. 

Articolo di Carlo Di Stanislao

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